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Un sì ragionato, critico,preoccupato e responsabile

Publie le mercoledì 28 marzo 2007 par Open-Publishing

La dichiarazione di voto di Rifondazione comunista al Senato
Un sì ragionato, critico,
preoccupato e responsabile
di Lidia Menapace
Il nostro voto a favore della conversione
in legge di questo decreto lo
diamo per nostra decisione, come
componente originaria e molto importante
dell’Unione, e per volontà
del popolo. Veniamo definiti in vari
modi, più o meno pittoreschi ma
quello che ci caratterizza è che abbiamo
scelto questa posizione e che
in questa il popolo ha confermato
per noi un significativo ruolo.
Tuttavia il nostro voto non è tranquillo.
E’ un voto insieme ragionato
e critico, preoccupato e responsabile,
anche sofferto. Non potrebbe essere
diversamente: la situazione è
talmente complicata, drammatica
e difficile che soltanto una leggerezza
veramente incomprensibile o la
passione piccina per piccoli giochi
di potere, potrebbe far votare un argomento
di questo genere a cuor
leggero.
Mi tratterrò brevemente su due soli
punti: il caso Mastrogiacomo e, naturalmente,
l’Afghanistan. Prima
che ci fossero tutte le polemiche su
Mastrogiacomo e se era meglio che
fosse liberato o che morisse - una
discussione indecente - il senatore
Tonini disse che è costante tradizione
dell’Italia trattare su tutto
tranne ciò che non è negoziabile, e
non lo è la caratteristica della missione
e la sua finalità. Mi pare assolutamente
condivisibile e molto
importante. Significa anche rivendicare
una caratteristica della nostra
tradizione nazionale e popolare:
quella di distinguere attentamente,
di volta in volta, fino a che
punto ci si può spingere.
È stato citato spesso il caso Moro. Me
lo ricordo bene. Con Rina Gagliardi,
Rossana Rossanda e alcuni altri, eravamo
per la trattativa. Scrissi allora
sul “manifesto” che i nazisti trattavano
con noi partigiani: ci chiamavano
banditi, ci sparavano a vista se
sforavamo di 20 minuti il coprifuoco,
ma quando noi catturavamo un
soldato della Wermacht trattavano
con noi perché pensavano che fosse
in gioco qualcosa di particolarmente
importante persino per loro. Nella
città dove io ho lottato nella resistenza,
Novara, per noi trattava il vostro
vescovo, monsignor Orsola, un
famoso vescovo, e trattava a dimostrazione
del fatto che queste cose
sono sempre piene di ambiguità e di
ritorni all’indietro: i nazifascisti misero
un milione di taglie sulla sua
barba, era un frate cappuccino, e gli
bruciarono l’automobile. Ogni volta
che ci troviamo in queste vicende,
dobbiamo sempre tenere conto che
ci sono alcuni punti non negoziabili,
ma per tutto il resto bisogna avere
il massimo di abilità e anche di scaltrezza.
Siamo molto contenti e contente
che Mastrogiacomo sia libero.
Ma non capisco per quale ragione,
repentinamente, chiunque altro si
trovi nella sua stessa situazione sia
scomparso dalla scena: del rappresentante
di Emergency, ancora prigioniero,
sembra non interessarsi
più nessuno. Noi invece aggiungiamo
il nostro appello a quello di Gino
Strada perché anche di lui ci si occupi.
Appartiene alla nostra sovranità
nazionale, che è un aspetto della nostra
sovranità popolare, anche avere
caratteristiche specifiche nel trattare
questi argomenti: i tedeschi trattano
di meno, i francesi trattano abbastanza.
Dipende sia dalle circostanze,
che dalle tradizioni popolari.
L’importante è che non venga
messa in dubbio la finalità della
missione.
Quanto alla missione in sé, sono
convinta che spingerla, per motivazioni
anche giustificate o comprensibili,
verso altri lidi, ossia verso un
aumento della sua caratteristica militare,
sarebbe incostituzionale.
Nell’articolo 11 della Costituzione
non c’è soltanto il secondo comma
ma anche il primo, quello che afferma
che ripudiamo la guerra non solo
come offensiva, ma anche come
strumento di risoluzione delle controversie
internazionali.
Dunque la nostra Costituzione ci fa
obbligo di cercare altri strumenti di
risoluzione delle controversie internazionali,
sempre e in ogni momento:
appena si apre una crepa, una
possibilità, una incertezza, una difficoltà,
siamo obbligati dalla nostra
Costituzione non a spingere verso la
guerra, bensì verso la sua riduzione,
la riduzione del danno continua.
Un paio di giorni dopo l’attentato alle
Torri Gemelle, una Associazione
della quale sono una delle portavoce
e che si chiama Convenzione permanente
di donne contro le guerre,
emise un comunicato che naturalmente
la stampa trascurò, ma che a
noi è ancora molto caro: dicevamo
che guerra e terrorismo sono crimini
contro l’umanità, ambedue; non
si elidono, ma si fomentano e pensare
di spegnere il terrorismo con la
guerra è come pensare di spegnere
un incendio con la benzina: una pura
follia. Sarei contenta se i fatti ci
avessero smentite perché a quest’ora
ne saremmo usciti dalal guerra.
Invece è risultata giusta, tanto che
anche chi appoggiò con piena coscienza
la scelta della guerra, deve
pur constatare che cinque anni dopo
la situazione non è migliorata e
non è in fase di risoluzione. Ricordo
un’altra osservazione che mi è già
capitato di svolgere: dopo la Seconda
guerra mondiale nessun esercito
regolare ha mai più vinto una guerra:
non gli americani in Corea, non i
francesi in Indocina, poi di nuovo gli
americani in Vietnam, poi di nuovo i
francesi in Algeria, poi i sovietici in
Afghanistan, poi persino l’esercito
di Israele, così motivato, importante
e così sorretto da appoggi internazionali
non riesce a venire a capo di
un popolo senza terra come i Palestinesi.
E anche non mi si dirà che
padre e figlio Bush abbiano avuto
grandi successi militari, nonostante
l’enorme sperpero di mezzi e di vite
umane che hanno fatto. C’è qualcosa
che non funziona. A me capita di
dire che la guerra è diventata una
mastodontica residualità, perché
non risolve più i problemi che pone.
Può essere ridotta, tenuta sempre
sotto controllo e diventare una
componente di una scelta politica e
diplomatica. Questa è la ragione per
la quale è così importante la scelta,
la proposta, il tentativo di svolgere
una Conferenza internazionale di
pace: perché viene incontro ad un
punto. È una scelta pacifica e tranquilla?
No, è rischiosissima, ma quale
scelta non lo è in questo momento?
Lo è anche scegliere la coazione a
ripetere dell’intensificare la guerra.
Ma questo rischio si sa già che finisce
male: è un rischio sicuramente
destinato ad essere mortale e terribile.
Anche il tentativo di tirare indietro
la violenza, tentare la Conferenza
di pace è un rischio, però è un
rischio volto verso il futuro, che apre
veramente delle soluzioni: è un rischio
che merita di essere corso, che
ci porta, nonostante tutte le nostre
piccolezze e piccinerie, un po’ al di
sopra della situazione così asfissiante
in cui spesso viviamo. Diciamo
pure che siamo inferiori all’importanza
della situazione in cui viviamo:
soltanto la prospettiva di
una scelta così, se volete, rischiosa,
ma volta verso il futuro merita di essere
http://www.liberazione.it/giornale/070328/default.asp