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Una Corte Suprema

Publie le lunedì 4 dicembre 2006 par Open-Publishing

Una Corte Suprema

di Michele Bono

“Non voglio fare l’eroe, ma alla fine chi ha pagato sono stata soprattutto io, il testimone. Il cittadino che ha raccontato quello che aveva visto.”

Stefania Ariosto

Giovedì 30 novembre, alle ore 20, la Corte Suprema di Cassazione ha deciso, in merito al processo Sme, che i giudici di Milano sarebbero “incompetenti” a giudicare l’on. Cesare Previti, ex Ministro della Difesa del primo governo Berlusconi. La questione non ha sollevato alcuna polemica, anzi, politici di ogni schieramento si sono prodigati ad esprimere all’interessato “sentite felicitazioni”.

Ma chi è Cesare Previti? Nato in Calabria nel 1934 diviene avvocato a Roma, collabora presto con Silvio Berlusconi e, come amministratore della proprietà della marchesa Casati Stampa, minorenne nobile lombarda, nel 1974 vende la sua villa San Martino di Arcore, passata a Berlusconi per il prezzo di vendita estremamente basso di 500 milioni di lire (circa un terzo del valore di mercato). In seguito Previti lavora per la Fininvest, guadagnando la reputazione di avvocato molto efficiente.

Dal 1994 occupa una poltrona qualsiasi del Parlamento italiano senza mai perdere un colpo. Fallisce addirittura di poco il progetto del lungimirante Silvio di farlo Ministro di Grazia e Giustizia. Dal ’96 iniziano i guai giudiziari seri: è accusato di aver corrotto i giudici del processo Sme in favore e con i soldi della Fininvest. Nel novembre 2003, dopo molti rinvii, viene condannato in primo grado a 5 anni di reclusione (ne erano stati chiesti 11).
Il 2 dicembre 2005, il parlamentare è condannato in appello nel caso Sme a 5 anni di carcere dalla Corte d’Appello di Milano per corruzione semplice. Successivamente, il 4 maggio 2006 la Cassazione esprime il verdetto definitivo, condannando Previti a 6 anni di detenzione per l’accusa di corruzione nella vicenda Imi-Sir. Il 5 maggio si fa arrestare volontariamente a Rebibbia. Esce dopo 5 giorni grazie alla legge Cirielli, varata su misura per lui.
Poi, appunto, arriva il 30 novembre 2006. La Corte Suprema dichiara “incompetente” la procura di Milano. “Competente” era quella di Perugia: tutto da rifare. E gli undici anni di processo e di sforzi giudiziari enormi, i soldi dei contribuenti, una verità scottante da accertare, la testimonianza puntuale di Stefania Ariosto? Semplicemente sprecati. La Corte Suprema è intransigente. Tutto da rifare. Piccola postilla implicita: il 30 aprile 2007 incombe la prescrizione, quindi Previti è praticamente assolto. E tutti a casa felici e contenti.

Ma cosa si ricorderà di tutta la vicenda? L’avvocato difensore del parlamentare, il signor Giorgio Perroni, dice: ”Tutto. Soprattutto le lacrime di Carla, la figlia di Cesare Previti. Ricorderò sempre le sue lacrime e la sua voce quando ha telefonato al padre”. Povera Carla, chissà quanto avrà sofferto.

Noi italiani, invece, cosa ricorderemo? Niente. Come al solito. E non faremo domande, non ci faremo assalire dai dubbi, semplicemente continueremo a convivere con la nostra inettitudine. Non ricorderemo, per esempio, che la Cassazione si era già espressa nel gennaio del 2003 in merito alla “competenza” giudiziaria del processo, ed aveva respinto la richiesta di trasferimento da Milano perché lì era avvenuta la prima iscrizione al registro degli indagati e lì abitava il Cavaliere. Perché, allora, questo improvviso ripensamento?

Non ricorderemo che Previti, in nome della verità, aveva promesso più volte che si sarebbe dimesso dal parlamento, ma che poi in realtà non lo ha mai fatto, sfruttando anzi il suo ruolo per inventare impegni continui che hanno inasprito e sconvolto il regolare svolgimento del processo con una litania infinita di rinvii. E la verità, onorevole Previti? Probabilmente dirà che avevamo capito male.

Non ricorderemo che Stefania Ariosto è stata prima costretta a testimoniare, poi abbandonata. È rimasta sola, in balia dei potenti e delle continue minacce di morte, come quella volta che, dopo la sentenza Imi-Sir, le è stata regalata una bomba molotov all’uscita dall’ufficio.

Credo che la memoria sia la linfa della dignità e dell’identità di ogni popolo, e infatti noi siamo quello che siamo. Attraverso l’autorevole espressione “incompetenza territoriale” il massimo organo giudiziario del paese delegittima la procura comunista di Milano a proseguire un duro lavoro che esso stesso aveva legittimato in precedenza.

Una formula lessicale cavillosa, che rispecchia il nostro sistema legislativo pachidermico, lascia che il processo Sme appassisca come un fiore e -cosa ancor più grave- svincola gli imputati dalla morsa del giudizio, lasciando tutto infangato e tutti impuniti.

La scandalosa legge sull’immunità parlamentare e quella sulla prescrizione dei reati hanno fatto il resto, l’una ostacolando continuamente le indagini, l’altra sotterrandole definitivamente. Sostanzialmente noi italiani autorizziamo le persone che deleghiamo a rappresentarci, dando loro la responsabilità di guidare il paese e centinaia di migliaia di euro, a commettere reati senza doversene preoccupare.

Tutti i politici sventolano alta la bandiera del garantismo e poi si barricano dietro l’impunità. La sinistra aveva gridato allo scandalo quando il governo Berlusconi aveva reintrodotto l’immunità parlamentare durante una losca seduta notturna del parlamento, ma salita al governo non si è ricordata di toglierla. Stessa sorte per la legge sul conflitto di interessi.

Tutti gareggiano a chi è più bravo ad affermare che il nostro sistema giudiziario è troppo lento, che va assolutamente riformato, ma poi lasciano intatti i cinquecento estenuanti gradi d’appello e la possibilità di vedersi prescritti i reati anche dopo averne persi quattrocentonovantanove.

Il risultato di questa becera conduzione della politica da parte della nostra classe dirigenziale è l’adombramento della verità ed il disinteresse della gente comune nei confronti del processo d’amministrazione del paese. La stessa asfittica gente che si sente presa in giro, ma che allo stesso tempo è annichilita dalla propria ignoranza.

Il rischio di questa lenta corruzione della democrazia è un’invisibile dittatura oligarchica.

Anche io sono un garantista e non ho la certezza che Previti sia colpevole dei reati di cui è stato accusato, così come sul conto di Berlusconi e di tutti i politici che hanno avuto guai con la giustizia. Il fatto è che un dubbio legittimo, se soffocato, si trasforma -in assenza di giudizio- in pregiudizio, che a sua volta alimenta un dietrologismo fallimentare ed omnipervasivo.

Non ho la pretesa di vivere nel paese dei balocchi, dove regnino il bene e l’onestà incondizionati, ma ho il diritto di esigere rispetto da parte di chi è, in fondo, soltanto un mio dipendente, perché una classe politica senza un popolo è soltanto una contraddizione in termini.

Già...Ma un popolo senza memoria è la negazione della cultura, e a noi purtroppo la storia non ha insegnato nulla.

"La cultura [...] è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri."

Antonio Gramsci (1891-1937), politico italiano.

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