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Una casa gay e la puntura dell’ape

Publie le venerdì 21 novembre 2008 par Open-Publishing

Una casa gay e la puntura dell’ape

di Marco Sferini

Anche l’omofobo più incallito, avevamo cominciato a pensare in questi anni, non avrebbe il coraggio di discriminare una persona perché prende un tram, un autobus, un treno o una casa in affitto. Ed invece, proprio in questo ultimo caso, avevamo pensato male. Avevamo sopravvalutato la capacità di una cultura della solidarietà sociale e del buon senso di radicarsi nella mente delle persone e di trasformare il loro culto tradizionalista dei rapporti sociali basato sulla figurazione esclusiva della correttezza dei rapporti tra soli uomini e donne.

Un giornalista di Rete Sole, una emittente romana, ha fatto un’inchiesta interessante: ha telefonato ad un bel po’ di signore e signori che avevano messo annunci per affittare stanze o case e, dopo aver chiaramente detto di essere alla ricerca dell’appartamento insieme al suo ragazzo, gli è stato risposto, nel migliore dei casi, che "io sono democratico ma... capisce... non vorrei ci fosse un via vai di gente", "non vorrei che il condominio mi criticasse". Queste le risposte più civili nella complessità dell’imbarazzo del momento, nel sentire "il mio ragazzo", invece de "la mia ragazza" o "la mia fidanzata".

Normale, anormale, naturale, non naturale, sociale, non sociale. Siamo sempre sul piano fermo del pregiudizio e, qui, anche della aperta discriminazione sessuale. Due gay o due lesbiche, o due trans che vivono in una casa condominiale che danno apportano al resto del palazzo? Inquinano come l’amianto o le onde elettromagnetiche dei telefonini? Camminando per le scale o scendendo con l’ascensore spargono malattie infettive ovunque? Se si tengono per mano o, distraendosi dalla legge universale del pregiudizio cattolico, si baciano scatta già il reato di atti osceni in luogo pubblico?

Se poi si fermano a parlare con qualcuno o invitano un amico a casa loro vuol forse già dire che fanno un’orgia?

Non è vero che la gente immagina tutto questo e non lo confessa? Non è vero che il pregiudizio e la discriminazione sono così forti da incutere le paure più tremende nell’animo delle persone?

Tutto è sempre e solo legato alla sfera sessuale. Siccome sono "contro natura", sono anche "contro sociali" e quindi possono turbare il quieto vivere dei "normali" cittadini romani (ma vale per qualunque città italiana), causando traumi psicologici di non poco conto magari ai bambini che, grazie al cielo, sono molto più maturi dei loro genitori.
I gay fanno dunque fatica a trovare casa a Roma e qui vince la Chiesa, vince la sottigliezza del doppiofondo di una morale che non si confessa apertamente ma che sta nelle viscere dei nostri corpi e negli strati più reconditi delle nostre menti. Che in questi anni si sia creato un dibattito sui motivi di esclusione dei così detti "diversi" dal resto delle attività comunemente svolte dal resto della gente nel quotidiano è, fuori da ogni dubbio, un dato positivo. Ma il conflitto tra il pensare e l’essere non è ancora risolto.

Esiste, perdura e rischia di allargarsi una paura in più rispetto a quelle per i migranti, per i rom, per le prostitute e per tutti coloro che vengono condannati a vivere ai margini della capitale (e non solo in senso logistico). C’è un ritorno dell’omofobia legato non ad episodi di molestie da parte dei gay agli eterosessuali. Sarebbe una riedizione di comportamenti e reazioni già visti. No, l’omofobia di oggi è legata ad un insieme di paure che attanagliano il cittadino "perbene", quello che paga le tasse, quello che non fa sporcare il cane per strada, quello che si fa i fatti suoi e che non si impiccia degli affari degli altri.

Ecco il punto: nessuno più ha il coraggio di impicciarsi. A nessuno importa più nulla dell’altro da sé. Che sia gay, migrante, nero, cinese, musulmano, ecc. Oggi si vive nel proprio confine domestico e non ci si muove oltre, perché oltre c’è l’insicurezza, l’incertezza, il non definito. La paura. E la paura, che è un numero del lotto su cui ha giocato sempre questo governo e su cui ha vinto fior fior di partite politiche e pseudo-culturali, è l’opposto della sicurezza. E’ sempre e solo ghiaccio nelle vene, gelo nelle ossa, torpore della mente e inattività cardiaca. E’ una lenta morte dei sensi e delle sensazioni, crea una debolezza psico-fisica che delega al governo qualunque misura purché ne esca una cura efficace per sé stessi e per i propri simili.

Chi è "diverso" dalla moltitudine poco importa che fine farà: se non troverà casa, se sarà preso in giro al cinema perché si stringe al suo compagno in un abbraccio o perché per strada gli dà un bacio. Chi è diverso fa paura perché genera una insicurezza psicologica in tutti coloro che sono da sempre convinti di essere sicuri della propria sessualità, dei propri comportamenti in generale.

L’elemento estraneo da noi, sia la puntura di un’ape o un gay che viene ad abitare davanti a casa nostra, ci fa paura. Ma che sia pericolosa solo la puntura dell’ape sembra che siano davvero in pochi, oggi, a saperlo.