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Una rapida inversione di marcia nel mondo del lavoro
Publie le mercoledì 2 luglio 2008 par Open-PublishingUna rapida inversione di marcia nel mondo del lavoro
di Dino Greco
Il documento approvato a maggioranza dal Comitato direttivo della Cgil alla fine dei lavori del 23 e 24 giugno rispecchia il preoccupante stato di impasse del sindacato italiano, tanto più paradossale quanto esplicita è la denuncia della gravità dell’attacco che il governo muove al reddito, ai diritti, al potere di coalizione dei lavoratori. In tre fitte cartelle vengono elencati i tratti dell’arrembante offensiva del geverno: tagli alla spesa sociale, all’occupazione nella scuola pubblica e nella sanità, agli investimenti nel Mezzogiorno; revoca delle misure di contrasto all’evasione fiscale e al lavoro nero.
E un’ulteriore deregolamentazione delle norme sugli orari di lavoro, sul part-time, sui contratti a termine, sull’avviamento al lavoro dei portatori di disabilità, sulla stagionalità dei lavoratori agricoli; reintroduzione del lavoro a chiamata. Il documento prosegue denunciando l’incursione governativa sull’autonomia negoziale delle parti sociali sulla struttura della contrattazione, critica la fissazione di un tasso di inflazione programmata lontano persino dalle inattendibili stime dell’Istat e tale da comportare un taglio salariale di circa mille euro nel prossimo biennio. La sola misura «sociale» è quel bonus per gli alimenti elargito agli anziani più poveri.
Guglielmo Epifani, nella sua relazione, è parso comprenderlo sottolineando come questa insana politica sociale si saldi a altri vulnus della Costituzione: dall’attacco alla magistratura a quello alla libertà di stampa all’introduzione del reato di clandestinità, sino alle misure contro il popolo rom.
A questa analisi non reticente corrisponde l’assenza di una qualsiasi risposta di lotta. Nel documento, come nell’impostazione della maggioranza della Cgil, non vi è traccia di giudizio sulle posizioni di Confindustria. I padroni sembrano scomparsi. Anzi, si è fatta strada la convinzione che la confederazione guidata da Emma Marcegaglia si accinga a sottoscrivere con il sindacato una sorta di compromesso fra produttori capace di scoagulare un fronte antisindacale.
Nulla di più velleitario, a maggior ragione se si pone mente al fatto che le tre confederazioni sindacali entrano in quel confronto con un’attrezzatura tanto fragile da essere di per sé esposta allo sbancamento: una piattaforma che inchiavarda il contratto nazionale al puro e semplice recupero dello scarto inflazionistico non riuscirà a raggiungere neppure quel modesto risultato; una contrattazione decentrata che riduce il salario a funzione derivata della redditività, della produttività, dell’aumento delle ore lavorate non può che sancire la più violenta subordinazione dei lavoratori all’impresa; la proliferazione degli enti bilaterali e delle materie su cui essi esplicano la propria attività consociativa assorbirà - pervertendoli - contenuti sempre più ampi della contrattazione, garantendo sì al sindacato, con le quote di servizio, una sopravvivenza burocratica e funzionale, ma al prezzo di snaturarne autonomia e rappresentanza.
La Cgil, non tutta, dice di aborrire un simile esito, ma non si vede come possa scongiurarlo, se non con un drastico cambio di marcia. Un accordo nelle condizioni date traccerebbe una frattura con la storia del sindacalismo italiano. La tesi secondo cui all’assedio non si può che rispondere consegnando al nemico le chiavi della città dietro la promessa che saranno risparmiati donne e bambini porta soltanto alla disfatta. Meglio sganciarsi, non per rintanarsi in un inesistente rifugio, ma per ricostruire con i lavoratori una linea e una pratica sindacale oggi compromesse. Costerà tempo e fatica. Ma ogni scorciatoia porta alla capitolazione alle ruvide pretese delle imprese che sarebbe ingenuo pensare di addomesticare con qualche gioco di prestigio. Tocca a una sinistra sindacale unita indicare il necessario salto di qualità.
su Il Manifesto del 01/07/2008