Home > Una scelta d’indipendenza
Una scelta d’indipendenza
Il rinvio a giudizio del marine Mario Lozano è il minimo che il senso di giustizia si doveva aspettare. Non per fornire un capro espiatorio all’omicidio di Nicola Calipari, ma (al contrario) per non ridurre la verità alla condanna di un soldato. Arrivare a un processo è - appunto - solo un inizio, semplicemente un minimo di verità. Ma quanta fatica è costato affermare quel minimo di indipendenza contro le bugie del Pentagono, i vincoli internazionali, i segreti degli stati. Soprattutto contro le leggi non scritte della guerra.
La sera del 4 marzo 2005 Mario Lozano sparò contro un’automobile inerme che viaggiava verso l’aeroporto di Baghdad. A bordo la nostra Giuliana Sgrena, reduce da un mese di sequestro, e i suoi due liberatori. Quel marine - ammesso che sia stato solo lui a farlo - sparò anche contro la trattativa tra il Sismi e i sequestratori, contro una missione di pace che affrontava un teatro di guerra secondo una logica incompatibile con quella «distruzione del nemico» che rappresenta la cultura di fondo della guerra preventiva scatenata in Iraq. Senza saperlo Lozano, con quelle pallottole, rese tragicamente materiale il contrasto - rimasto per un mese sotto traccia - tra due pratiche opposte: quella italiana che, spinta dai movimenti pacifisti, privilegiava la politica e quella americana che conosceva solo il linguaggio delle armi. Il delitto politico «per aver minato la sicurezza dello stato» (Calipari in quella situazione era lo stato italiano), cui fa riferimento il rinvio a giudizio di Lozano, riconosce neppure troppo implicitamente questo contrasto.
Da qui partirà il processo che, seppure in contumacia (visto che per gli Usa il «caso è chiuso» e continuano a negare l’estradizione), dovrà occuparsi dell’evento specifico, per cercare di scoprire le responsabilità nascoste di quell’omicidio. Perché quella pattuglia era lì e lì rimase a lungo nonostante le sue ripetute richieste di rientrare? A cosa e a chi sono dovute le «mancate comunicazioni» tra i comandi americani di Baghdad e il «posto di blocco mobile» appostato dietro una curva sulla strada per l’aeroporto della capitale irachena? Insomma, perché non si impedì - con un ordine - a quei soldati di sparare? E’ una ricerca della verità che - anche in questo caso - rappresenta il minimo che si deve alla memoria di Nicola Calipari e al bisogno di giustizia di chi gli ha voluto bene.
Ma è anche un esercizio di sovranità nazionale, affidata a un tribunale, visto che la politica ne sembra incapace. Non la sovranità patriottica che rimbomba nei discorsi ufficiali, ma un atto d’indipendenza e di libertà. Concetti che andrebbero estesi a tutti gli aspetti della politica estera, in particolare al rapporto tra questo paese e gli Stati Uniti d’America, che non può essere considerato un dogma di fronte al quale scompaiono il diritto e la volontà dei cittadini. Perché non abbiamo eletto Bush, ma Prodi e il rispetto del mandato ricevuto dovrebbe essere la prima regola di una democrazia, contare persino di più della saldezza di una coalizione elettorale: almeno sulle scelte politicamente «identitarie», dalla missione in Afghanistan alla base militare di Vicenza.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/08-Febbraio-2007/art20.html