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Una tessera non si disegna a colpi di maggioranza
Publie le venerdì 19 dicembre 2008 par Open-PublishingUna tessera non si disegna a colpi di maggioranza
di Alessandro Serra
La produzione di simboli è un processo fondamentale in qualsiasi tipo di organizzazione politica, religiosa sociale o in generale associativa umana. La creazione del simbolo è una peculiarità dell’uomo, che dalla notte dei tempi ha utilizzato simboli, che possono essere segni, immagini, suoni e musiche per sintetizzare eventi, patti, associazioni. Basti pensare al termine greco che ha dato origine alla parola “Simbolo”, per capire appunto la funzione che nella storia ha avuto la produzione simbolica.
In Grecia il “simbolo” era una tessera, in genere di terracotta, che due individui o più gruppi di individui spezzavano a conclusione di un patto o di un alleanza, e la prova del patto era appunto il perfetto combaciare delle due parti rotte della tessera.
In pratica il simbolo ha in genere una doppia azione: includente all’interno ed escludente all’esterno del patto o dell’associazione.
Esso crea una comunità d’intenti tra chi quel simbolo lo riconosce e separa questa comunità dalla generalità di chi non è sottoscrittore del “patto”. Il simbolo politico tende a riassumere qualcosa che risulterebbe difficilmente spiegabile, o almeno troppo lungo da spiegare che l’associazione di più uomini e donne che ha un origine con le sue cause e uno sbocco finale in un obiettivo e una comunità d’intenti che la regge durante il suo cammino.
L’identificazione di un uomo o una donna in un idea politica è sempre passato per l’accettazione simbolica che quell’idea portava con te. E’ proprio la politica, con la sua estrema complessità, ha necessità dei simboli per riassumerla, ed ha bisogno di richiami irrazionali, passionali oltre che appunto di razionale adesione.
Nei simboli e nella simbologia del movimento operaio e comunista troviamo appunto la risposta a queste due diverse necessità. Essere comunisti ha sempre avuto un significato non univoco, come qualsiasi idea politica il comunismo non è mai stata un idea totale della società univoca per tutti e per tutti i movimenti sparsi per il mondo. Anzi il campo culturale del comunismo è sempre stato diviso in tantissime sfaccettature, tante diverse scuole di pensiero, tendenze politiche e culturali ma anche semplici opinioni personali si sono confrontate,e a volte anche scontrate duramente, sempre all’interno di quel “movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti”. Di questa ricchezza di dibattito in seno ai comunisti, rifondazione comunista ne è un esempio più che rappresentativo, anche se, a dir la verità, spesso il nostro dibattito interno ha assunto le forme di un vero e proprio conflitto autolesionista, ma questa è un altra storia.
La simbologia del comunismo però è sempre stata, almeno all’interno dei partiti una simbologia univoca, gli inni, i simboli del lavoro, le bandiere rosse, i saluti col pugno chiuso, avevano l’obiettivo di unificare una comunità e non di dividerla.
Qui arriviamo alla nostra questione, la tessera dei GC del 2009.
Il primo passo di adesione ad un comunità politica, è appunto un adesione fortemente legata al simbolismo politico, prendere la tessera di un organizzazione è appunto quell’atto simbolico che porta chi aderisce ad un accettazione formale della simbologia di quell’organizzazione che ne rappresenta appunto cause della nascita, comunità d’intenti ed obiettivi. Il nuovo iscritto prendendo la tessera diviene parte di una comunità e spesso si separa da altre comunità quali nel caso della politica, partiti e movimenti politici avversari.
La tessera quindi è la massima espressione del simbolo.
E’ per questo che è fondamentalmente sbagliato che nella tessera dei Giovani Comunisti sia presente l’anniversario del crollo del muro di Berlino, e qui non voglio andare ad argomentare perché io o altri singoli compagni non siamo d’accordo nel merito, ma voglio semplicemente enunciare un semplice ed elementare principio. I simboli, hanno come si detto una valenza doppia, includere ed escludere allo stesso tempo, ebbene, proprio perché non vi è all’interno della nostra organizzazione una lettura univoca su un avvenimento tanto importante per il movimento operaio, nel bene, per alcuni, nel male per me e per altri compagni; questo momento storico non può essere assunto a simbolo e richiamo storico della nostra organizzazione.
A meno che, chi, oggi propaganda la necessità di unire la sinistra senza se e senza ma non voglia utilizzare quel simbolo con lo scopo meno nobile con il quale vengono usati i simboli appunto: dividere, e dividere non dagli avversari politici, ma dividere all’interno della stessa nostra organizzazione.
Un organizzazione, come si sa, è ricca di diversità e a volte di divisioni, una cosa è però la diversità dialettica di un dibattito, che rispetta i ruoli di maggioranza e minoranza; altro è utilizzare la propria posizione di presunta maggioranza per imporre violentemente un simbolo che ci divide, quando è oggettivamente piena la storia a il mondo di simboli di riscatto che ci uniscono.
Dico presunta maggioranza perché nessun dibattito si è mai sentito nel corpo dell’organizzazione su questo argomento, e l’esecutivo dei giovani comunisti, eletto su base politica, non è stato eletto sulla base di un dibattito sul muro di Berlino, ma su un progetto politico che quel dibattito non comprendeva.
E’ un imposizione, in cui vedo elementi di arroganza e un pensiero latente di imporre la verità a chi la verità (l’ottantanove come simbolo di libertà) non l’avrebbe ancora recepita, e in questo senso vi vedo anche un po’ di autoritarismo, proprio quell’autoritarismo che i compagni dell’esecutivo dei GC hanno sempre attribuito ai paesi del socialismo reale, e che ora pensano di esorcizzare con una tessera.
Proprio perché io non ho la verità in tasca non mi permetto di dare lezioni a nessuno di storia, e non mi metterò a spiegare perché secondo me il crollo del muro è un evento negativo nella storia del movimento operaio, non lo voglio spiegare, è un’opinione personale e la riservo per un eventuale dibattito. Il problema è che io penso che neanche l’esecutivo dei giovani comunisti abbia la verità in tasca e quindi invito i compagni a non disegnare una tessera a colpi di (presunta) maggioranza, gli inviterei invece, una volta tanto, con modestia, ad ascoltare il dissenso di una parte delle/dei Giovani Comuniste/i, e a non usare i simboli in modo violento per escludere i compagni e distruggere una comunità politica, già malata e lacerata che invece ha bisogno di essere unita e ricostruita.