Home > Una vita da precari, un futuro da lavoratori. Ventimila in corteo a Roma

Una vita da precari, un futuro da lavoratori. Ventimila in corteo a Roma

Publie le sabato 6 novembre 2004 par Open-Publishing

Una vita da precari, un futuro da lavoratori. Ventimila in corteo a Roma
di Paola Zanca

Il precariato non guarda in faccia a nessuno. Il precariato riguarda chi non ha un lavoro, giovani, donne, immigrati. Ma anche chi ormai dovrebbe già essere in età da pensione. Una varietà di anime che chiedono tutte una cosa sola: un lavoro decente. Un lavoro pagato dignitosamente, un lavoro che duri più di sei mesi, un lavoro che ti garantisca di poter fare un mutuo, un lavoro che ti permetta di far studiare tuo figlio. Ecco perché erano in ventimila oggi in piazza a Roma. Per chiedere questo. Niente di più.

Sono arrivati da tutta Italia: Roma, Bologna, Torino, Firenze, Brescia. Un ideale striscione che corre per tutta la penisola a manifestare contro la legge 30, una legge che riconosce una serie infinita di forme contrattuali atipiche, dai lavoratori a progetto alle prestazioni occasionali, dal lavoro intermittente al “job sharing”. Nomi complicati che in sostanza legittimano a pieno titolo la precarietà del lavoro e istituiscono le forme moderne dello sfruttamento.

Sfilano gli operatori sociali, coordinati su scala nazionale, per chiedere un aggiornamento del loro contratto nazionale adeguato al costo della vita, dopo che l’unico riconoscimento delle loro richieste si è risolto con un aumento di 25 euro lordi al mese. Una ridicola concessione, per il settore dove attualmente il precariato è più forte. La stragrande maggioranza di chi lavora nelle cooperative sociali oggi ha un contratto a progetto, gli ex co.co.co.

Protestano i Comitati di Base dei trasportatori del settore aereo. È il segretario nazionale, Antonio Amoroso, a spiegare che «la vertenza Alitalia ha di fatto determinato la vittoria del precariato. Oggi, solo nella compagnia di bandiera, ci sono 2500 precari». Ma è parlando con Silvia, una delle vittime del sistema, che questi dati prendono forma. Silvia, come tanti altri, lavora presso il call center dell’Alitalia. Assunta nel 1997, il suo contratto è rinnovato costantemente per 6 mesi, poi viene regolarmente lasciata a casa giusto il tempo necessario a non far scattare l’obbligo di assunzione, per poi essere chiamata di nuovo per un contratto di altri sei mesi. Va avanti così da sette anni. E ora, con l’accordo firmato tra l’azienda e i sindacati che ha diviso Alitalia in due, Az fly e Az service, i lavoratori del call center, che appartiene a Az service, rischiano che il loro servizio venga esternalizzato ad un’altra ditta, vedendo così sfumare per sempre l’ipotesi di essere assunti dall’azienda per cui da sette anni lavorano.

Manifestano i disoccupati organizzati napoletani e chiedono un reddito di cittadinanza, un salario minimo per chi è disoccupato. La loro lotta per il lavoro è iniziata otto anni fa, ma le risposte delle istituzioni non sono ancora arrivate. Così come tarda ad avverarsi la promessa di un corso di orientamento e formazione. Durante le scorse elezioni suppletive, i disoccupati organizzati hanno occupato un seggio di Napoli per farsi sentire ancora una volta. E qualcosa si è finalmente mosso. Il corso di orientamento è partito e forse, tra un po’, partirà anche quello di formazione. Ogni tanto la lotta dà i suoi frutti. E speriamo che anche quella di sabato 6 novembre possa servire a qualcosa.

Ci sono i ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità. Un istituto che dipende dal ministro Sirchia e che fa ricerca sull’Aids, fa analisi sui medicinali, e molte altre cose di vitale importanza. Ma, anche qui, il 50% dei lavoratori è precario. E per una professione così importante, avere un contratto che vale oggi sì e domani no, è squalificante per l’uomo e per l’istituzione. La stessa perdita di credibilità che si abbatterà sull’Università della Moratti.

Presente anche Action, che tra i baluardi della sua lotta mette il diritto alla casa. A parlare è Valentina, un’attivista della Garbatella. E le cosa che racconta lasciano davvero sbalorditi. Agli sportelli di assistenza per la casa organizzati da Action, racconta, non arrivano senza tetto e barboni, ma famiglie che fino a 10 anni fa vivevano tranquillamente con lo stipendio anche di una sola persona e che oggi invece non riescono ad arrivare a fine mese. Persone che sono state sfrattate o che sono in procinto di riceverlo, anziani a cui non viene data la possibilità di mutuo perché troppo vecchi. E ormai nemmeno i figli possono più fare da garanzia, i contratti da precario non convincono nemmeno le banche.

Nel corteo, pure le Rappresentanze di Base degli auto-ferro-tranvieri di Torino, che parlano di «fine della solidarietà tra le generazioni». Il responsabile provinciale, Leonardo Loggi, crede che nel mondo del lavoro oggi non si pensi più né al futuro dei giovani né al meritato riposo di chi è in età da pensione. A Torino, continua, «si respira un’aria pesante di deindustrializzazione e delocalizzazione». Parole piene di zeta e di rischio di povertà.

Il mondo del lavoro è ormai a un bivio e la strada della mercificazione delle persone sembra essere irrimediabilmente imboccata. Ma forse qualcosa si può ancora fare contro questo sfascio. Molti ci hanno provato concretamente questa mattina con il “surfing shop”. Un’idea sperimentata già altre volte che consiste nel provare a riprendersi ciò che ci è negato. A cominciare dal cibo: un gruppo di manifestanti è entrato in alcuni supermercati ed ha fatto una spesa un po’ anomala. Niente scontrini, niente soldi, e poi fuori a ridistribuire i prodotti a chi fatica a comprarseli. Un’iniziativa di facile strumentalizzazione, com’è ovvio, ma gli organizzatori parlano chiaro: il “surfing shop” vuole dare un segnale, è una fase di conflitto ma ha una sua progettualità. L’obiettivo è arrivare a costituire gruppi di consumatori che possano avere un reale potere contrattuale con i distributori. Ovvero, accorciare le distanze tra produttore e consumatore, rompere i meccanismi che hanno fatto salire i prezzi alle stelle, riuscire a determinare delle trattative. E far sentire alle persone che non sono sole, che non sono le uniche a non arrivare a fine mese, che non è colpa loro se tutto sta andando a rotoli.

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=38980