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Proletari di tutti i paesi, uniamoci!
Verso la fine del febbraio 1848 veniva dato alle stampe il “Manifesto del partito comunista”, di K.Marx e F.Engels, in lingua tedesca, ma tradotto più o meno contestualmente in polacco, danese, francese, italiano, fiammingo e svedese. Nel 1850, apparve in inglese. In russo nel 1869.
Inutile ricordare la fama mondiale di questo “bestseller”, che diventerà “il manifesto”(1) per antonomasia. Ma come nacque l’idea di scriverlo? Nel 1845, quando la sua attività pubblicistica a Parigi comincia ad avere qualche eco, Marx riceve un ordine di espulsione dalla Francia dal capo del governo francese Guizot. Riparato a Bruxelles, Marx trova, nella capitale belga, un nascente movimento operaio. Colpito da questo fatto, vi trova una conferma della sua teoria che la diffusione dell’industria fa crescere l’antagonismo della classe operaia nei confronti dell’ordinamento sociale esistente, e si convince che quel che occorre realizzare è un coordinamento internazionale della classe operaia stessa, per favorirne la maturazione politica. Coadiuvato da alcuni capi operai belgi, oltre che da Engels e da alcuni intellettuali tedeschi, egli allora crea, a Bruxelles, un comitato di corrispondenza, col compito di organizzare collegamenti epistolari tra i vari gruppi operai socialisti e comunisti esistenti in Europa, al fine di promuovere uno scambio di informazioni tra loro e una sempre più stretta unità di intenti politici. Ben presto, però, si accorge che per influire come si propone sulla classe operaia europea deve poter influire sulla Lega dei Giusti (sorta nel 1836), cioè sull’unica organizzazione che all’epoca unisca operai inglesi, francesi, svizzeri e tedeschi, e che abbia messo radici nelle fabbriche di Colonia, cioè della città allora più industrializzata della Germania e divenuta negli ultimi anni la più recettiva d’Europa alle idee comuniste.
La Lega dei Giusti ha allora il suo centro direttivo tra gli esuli tedeschi a Londra. Qui, infatti, si reca Weitling, che è la figura più rappresentativa e prestigiosa dell’organizzazione, quando, nel 1845, esce dal carcere francese. I comunisti e gli operai londinesi gli riservano un’accoglienza trionfale, ma egli ben presto si aliena le loro simpatie con la sua continua insistenza sulla necessità che il proletariato tenti subito un’insurrezione contro le altre classi della società, per la conquista immediata del potere. Il successo del sindacalismo inglese ha infatti orientato gli operai londinesi verso metodi di lotta più articolati e verso l’abbandono di ogni avventurismo. Lo stesso centro direttivo, a Londra, della Lega dei Giusti, ha assorbito questo orientamento, cosicché fnisce per emarginare il pur prestigioso Weitling. Ma avendo ripudiato le idee di Weitling, la Lega dei Giusti viene a trovarsi priva di un programma. Questa assenza di programma rischia di disarticolare ogni collegamento tra i piccoli nuclei operai sparsi per l’Europa che fanno riferimento ad essa.
Di fronte a questo grave problema, i dirigenti londinesi della Lega dei Giusti si dividono. Karl Schapper propone, infatti, di abbandonare, con l’idea di un’insurrezione violenta, anche l’idea della necessità di un programma rivoluzionario, e di orientare la Lega dei Giusti verso il compito, sostanzialmente prepolitico, di creare tra gli operai rapporti di solidarietà reciproca, in modo da sottrarli alla dipendenza alle altre classi e da farli sentire separati da esse, e di favorire la loro maturazione spirituale. Joseph Moll, al contrario, rimane fedele all’idea di Weitling circa la necessità di mantenere il più possibile la classe operaia sul terreno politico. D’altra parte, essendo contrario a isolare la classe operaia dalle altre classi e a condurla all’insurrezione violenta come Weitling, avrebbe voluto, avverte per ciò stesso l’esigenza di un programma che indichi alla classe operaia precisi obiettivi politici e definisca le sue possibilità di convergenza politica con altre classi.
All’inizio del 1847 Moll riesce a prevalere su Schapper e a far accettare al gruppo dirigente londinese della Lega dei Giusti la proposta di invitare il comitato di corrispondenza esistente a Bruxelles, e Marx personalmente, ad entrarvi e a collaborare alla stesura di un nuovo programma. Così nel novembre del 1847, la Lega dei Giusti, in un suo congresso tenutosi a Londra e formato dai rappresentanti degli aderenti francesi, svizzeri e tedeschi, oltre che inglesi, accetta le proposte di Marx di darsi un’organizzazione allo stesso tempo democratica e centralizzata (basata su circoli locali diretti da un comitato centrale residente a Londra e rinnovato in occasione di congressi generali da tenersi periodicamente), di ripudiare l’avventurismo insurrezionalista e i metodi cospirativi, di cambiare il suo nome in quello di Lega dei comunisti (nella quale confluisce per intero il comitato di corrispondenza di Bruxelles, sciogliendosi come tale), e di enunciare pubblicamente le sue idee ("manifestarle").
E’ così che Marx ed Engels, incaricati di procedere alla stesura organica di tali idee, preparano, come programma della Lega dei comunisti, il famoso documento intitolato “Manifesto del partito comunista”.
Il manifesto compendia i principi fondamentali del marxismo. Enumeriamoli: 1°) il principio della lotta di classe, che la storia delle società civili (schiavismo, modo asiatico di produzione, feudalesimo, capitalismo) è storia di lotte di classi e che la lotta tra proletariato e borghesia culmina nella dittatura del proletariato; 2°) il principio del carattere conseguentemente rivoluzionario e universalmente liberatorio della lotta proletaria in quanto di tutte le classi che stanno di fronte alla borghesia soltanto il proletariato è una classe veramente antagonista e, a differenza di tutte le altre classi che impossessandosi del potere hanno assoggettato la società ai propri interessi, esso libera l’intera società dal dominio dell’uomo sull’uomo; 3°) il principio del raggiungimento dell’autonomia di classe attraverso l’organizzazione in partito politico; 4°) il principio che il partito comunista è l’avanguardia che guida il proletariato al rovesciamento del dominio borghese; 5°) il principio che il lavoro, che nella società borghese serve ad arricchire il capitalista, nella società comunista serve invece ad arricchire la vita sociale.
I concetti le idee la teoria esposta nel Manifesto danno alla classe sfruttata gli strumenti elementari per capire e rivoluzionare la società. Sono quindi il primo armamentario dell’arsenale del marxismo.
Il Manifesto ebbe una prima grande diffusione con le insurrezioni popolari del 18 marzo 1848 a Milano e a Berlino. Da allora, sia pure con alti e bassi, esso ha formato generazioni su generazioni. E ancora oggi, nonostante gli enormi cambiamenti intervenuti, esso conserva la sua validità generale e si presta bene ad essere utilizzato come testo base.
Ovviamente, anche la piattaforma immediata (misure da attuare subito dopo la presa del potere da parte della classe operaia) inclusa nel Manifesto era ritagliata per quei tempi. Nella Prefazione all’edizione tedesca del 1872, gli autori infatti precisano: “L’applicazione pratica di questi principi, come dichiara il Manifesto stesso, dipenderà sempre e dovunque dalle circostanze storiche del movimento; quindi non si dà alcuna importanza particolare alle misure rivoluzionarie proposte alla fine della sezione seconda”. Tenuto conto di questa precisazione, se dovessimo riproporne una analoga, ma aggiornata, dovremmo riformularla, più o meno così (tra parentesi tonde le nostre aggiunte, e tra le quadre le parole che noi toglieremmo). Quando si parla di “Stato” si intende “Stato proletario” ("lo stato, cioè il proletariato organizzato come classe dominante").
1. “Espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della rendita fondiaria per le spese dello Stato”: cioè espropriare il Vaticano, Pirelli R.E., Beni Stabili, Caltagirone, Zunino, Ricucci, ecc. ecc. Non è male come idea... soprattutto se aggiungiamo la riduzione degli affitti per i proletari!
2. “Imposta (diretta) fortemente progressiva” (e riduzione/abolizione delle imposte indirette): tutto il contrario del programma berlusconiano.
3. “Abolizione del diritto di eredità”: primo passo per abolire la proprietà privata!
4. “Confisca della proprietà di tutti [gli emigrati e ribelli]” (i contro-rivoluzionari, rimasti o fuggiti all’estero): secondo passo.
5. “Accentramento del credito nelle mani dello Stato per mezzo [di una banca nazionale con capitale di Stato e con monopolio esclusivo]” (della Banca d’Italia e con ripristino della Lira italiana): il sistema bancario in Italia è già fortemente accentrato (5 grandi gruppi), i cui fili si intrecciano in bankitalia...
6. “Accentramento dei mezzi di trasporto nelle mani dello Stato” (ri-nazionalizzazione delle ferrovie, compagnie aeree, compagnie di Tir, navali): per le Ferrovie, almeno ridurremo le stragi e gli omicidi bianchi di ferrovieri e passeggeri!
7. “Aumento delle fabbriche nazionali e degli strumenti di produzione” (siderurgia e chimica pubblica; nazionalizzazione e razionalizzazione telecomunicazioni; nuove tecnologie), “dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano comune” (rivitalizzazione dell’agricoltura, privilegiando le colture tradizionali, naturali e biologiche; no agli ogm)”: visto che tutti lamentano il “declino industriale” italiano e i continui aumenti dei prezzi dei generi alimentari!
8. “Eguale obbligo di lavoro per tutti, [istituzione di eserciti industriali, specialmente per l’agricoltura]”: lavorare tutti, lavorare meno! Non solo mettere i pensionati a fare i vigili davanti alle scuole ...
9. “Unificazione dell’esercizio dell’agricoltura e di quello dell’industria, misure atte ad eliminare gradualmente la differenza tra città e campagna”: andare cioè ben oltre le targhe alterne...
10. “Educazione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli. Abolizione del lavoro dei fanciulli nelle fabbriche” (e nelle aziende in genere) “nella sua forma attuale. Unificazione dell’educazione e della produzione materiale, ecc.”: chissà cosa avrebbero detto Marx ed Engels della ... Moratti?
(1) Sta per proclama, dichiarazione pubblica delle proprie idee, di contro all’abitudine cospirativa dei comunisti dell’epoca di tenerle segrete, in quanto costrettivi dalla clandestinità.
Bibliografia
– Marx-Engels: Il manifesto del partito comunista
– F.Engels: Principi del comunismo (1847)
– F.Engels: Per la storia della Lega dei comunisti (1885)
– Bontempelli, Bruni: Storia e coscienza storica, Vol.III




