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Usa, l’era dello spionaggio «privatizzato»

Publie le mercoledì 11 giugno 2008 par Open-Publishing

Usa, l’era dello spionaggio «privatizzato»

di Massimo Gaggi

su Corriere della Sera del 09/06/2008

David Rubenstein, il fondatore di Carlyle Group, - la regina del «private equity» che è molto attiva anche in Italia - dice di vedere la luce in fondo al tunnel della crisi della finanza americana. Un segnale l’ ha appena dato proprio il suo gruppo decidendo di rilevare una parte della società di consulenza Booz Allen, quella specializzata in «government consulting».

Il valore dell’ acquisizione (2,5 miliardi di dollari) non è enorme, ma è uno dei primi affari significativi dopo l’ «infarto» che ha colpito a marzo Wall Street costringendo la Fed, la banca centrale Usa, a interventi di salvataggio senza precedenti nella storia del capitalismo americano. Per gli scettici - che non sono pochi - le cose non stanno, però, affatto così. Anche se la ripresa dell’ economia fosse ormai vicina, a certificarla non potrebbe essere un affare come quello Carlyle-Booz Allen che col mercato ha ben poco a che fare, visto che riguarda attività come l’ organizzazione dei servizi di «intelligence»: funzioni spesso delicate che il Pentagono e un arcipelago di agenzie federali - dalla Cia alla Nsa - hanno parzialmente dato in «outsourcing» a contrattisti privati.

Negli ultimi anni questi appalti, affidati a poche imprese «fidate», sono diventati imponenti. E su di essi non è ammesso alcun controllo efficace: motivi di sicurezza. In questo periodo si parla molto di «eccessi del mercatismo». Quello della «privatizzazione dello spionaggio» è uno dei casi più eclatanti. Lo schema sembra quello già visto in altri casi: l’ Amministrazione impone un liberismo ideologico e un pò pasticcione che, accoppiato con la crescente inefficienza degli uffici federali, produce fallimenti come quello di New Orleans dopo l’ uragano Katrina.

In realtà la vicenda dello spionaggio rispecchia una realtà molto più complessa. Tutto comincia con la fine della «guerra fredda» e con l’ amministrazione Clinton che a metà degli anni ’ 90 smantella una parte dell’ apparato bellico e della struttura di «intelligence»: sistemi che, dissolto il blocco sovietico, hanno parzialmente perso la loro ragione d’ essere. Alla fine del decennio, però, gli Stati Uniti si ritrovano coinvolti in nuovi conflitti. Torna l’ esigenza di una rete di spionaggio capillare. Il ricorso all’ «outsourcing» comincia già con Clinton, ma è con Bush che esplode; anche perché, dopo l’ attentato del 2001 alle Torri Gemelle, l’ America precipita di nuovo in piena emergenza.

La scelta della Casa Bianca e del ministro della Difesa Rumsfeld di affidarsi, per quanto possibile, a imprese private ha una sua logica, ma quello che viene messo in piedi è un sistema poco trasparente, privo di efficaci controlli, che ben presto sfugge di mano. Tanto che quando, un paio d’ anni fa, alcuni giornalisti specializzati cominciano a scrivere che ormai metà dei finanziamenti pubblici per lo spionaggio vanno ai privati, il direttore del National Intelligence decide di ordinare uno studio interno sui contratti delle ben sedici agenzie governative che si occupano di queste attività. Per un pò sembra che il governo, pressato dalla stampa e dal Congresso, voglia pubblicare questi dati, ma alla fine prevale la volontà di mantenerli segreti.

Poco dopo, però, a una conferenza in Colorado organizzata dalla Defense Intelligence Agency, un’ agenzia del Pentagono, viene proiettata - pare per errore - una diapositiva che rivela che addirittura il 70 per cento dei dollari spesi dal governo per lo spionaggio vanno a imprese private. La giornalista R.J. Hillhouse che sul «blog» «The Spy Who Billed Me.com» racconta spesso i retroscena di questo mondo di ombre, va più in là: in pochi anni i contratti privati per l’ «intelligence» sarebbero più che raddoppiati, passando dai 18 miliardi di dollari del 2000 ai 42 del 2006.

Calcoli ormai generalmente accettati dagli analisti, dai quali emerge anche che la spesa complessiva per lo spionaggio Usa ha ormai superato i 60 miliardi di dollari: un quarto in più di quanto fin qui stimato. Ma un coinvolgimento così ampio di società private non pone solo un problema di trasparenza e di controllo della spesa. In «Spies for Hire» (Spie in affitto), un libro appena pubblicato da Simon & Shuster, Tim Shorrock racconta che il 50 per cento delle attività della Cia sono realizzate in «outsourcing» mentre i contrattisti arrivano addirittura al 95 per cento alla National Geospatial Intelligence Agency, l’ ente che gestisce i satelliti-spia.

A Fort Mead, nel Maryland, nel parallelepipedo di cristallo nero sede della Nsa, il «grande orecchio» elettronico, il personale è fatto per i due terzi di contrattisti di società come Booz Allen, Lockheed e General Dynamics. Se, poi, da queste sedi asettiche ci trasferiamo sul campo, vediamo che vengono dati in appalto anche compiti delicatissimi come l’ interrogatorio dei prigionieri catturati in Iraq e sospettati di essere terroristi. Società come Caci International hanno fornito le loro consulenze ad Abu Ghraib, il famigerato carcere teatro di abusi sistematici.

E’ la Caci, ad esempio, che ha introdotto l’ attacco coi cani come tecnica per terrorizzare i detenuti e indurli a testimoniare. I privati dovrebbero almeno portare l’ efficienza del mercato nei servizi tecnologici sottratti alle spie di Stato, ma pare che le cose non vadano neanche qui per il verso giusto: in Iraq, ad esempio, decine di migliaia di contrattisti - in genere ex militari - percepiscono compensi infinitamente superiori rispetto a quelli dei loro colleghi in divisa e non sono soggetti ad alcuna autorità. Lo scandalo Blackwater ha poi dimostrato che anche chi sbaglia viene confermato nell’ incarico. Ufficialmente perché nessun altro è in grado di fornire servizi di sicurezza analoghi.

Quanto potrà andare vanti questo sistema? Parecchio è la risposta implicita nella decisione di Carlyle di comprare Booz Allen: il «club dei presidenti» - la società texana è chiamata così perché ha avuto tra i suoi dirigenti e i consiglieri stipendiati i due presidenti Bush, l’ ex premier britannico John Major, l’ ex segretario di Stato Usa, James Baker e l’ ex ministro della Difesa, Frank Carlucci - è convinto che le cose non cambieranno sostanzialmente neanche in caso di «en plein» (Casa Bianca e Congresso) dei democratici.

* Casi di inefficienza 11 settembre 2001 La Cia fallì nel prevenire l’ attacco nonostante vi fossero stati avvertimenti sul pericolo costituito da Al Qaeda Abu Ghraib Il compito di interrogare i prigionieri in Iraq è stato dato a società private. È accaduto nel carcere di Abu Ghraib. Risultato: abusi sistematici Katrina Il fallimento nel rispondere prontamente all’ uragano fu il risultato dell’ outsourcing dei soccorsi e delle carenze degli uffici federali