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Usa: le carceri della fede

Publie le sabato 16 aprile 2005 par Open-Publishing

di Bianca Cerri

Premessa: "domenica 10 aprile, la trasmissione televisiva di RaiTre “Report” ha trasmesso un servizio che paragonava la giustizia italiana a quella ameriana, compresa la pena di morte che non è più contemplata da nessun paese in Europa. Un lavoro di ottima qualità, che è riuscito a far affiorare la sofferenza dei condannati evidenziando al tempo stesso le anomalie giuridiche. E’ molto diverso invece il reportage pubblicato solo una settimana prima dal settimanale Panorama sul quale mi permetto di intervenire a nome di due dei condannati le cui storie appaiono nel servizio e che ho conosciuto personalmente nella speranza di ristabilire alcune verità. (bc)". (Nella foto, Lynne Stewart).

Non capita spesso che i giornalisti italiani sappiano raccontare cosa significhi vivere in attesa di essere giustiziati in modo realistico ma anche sentito e lo conferma un servizio apparso sul settimanale Panorama, nel quale compaiono le storie di alcuni condannati a morte che ho avuto modo di conoscere durante le visite nel penitenziario di Ellis e poi incontrati di nuovo in quello di più recente costruzione di Polunsky, già Terrell Unit.

Nell’affrontare il tema dei movimenti che si oppongono alla pena capitale, l’autore dell’articolo cita unicamente l’impegno del mondo cattolico, rappresentato dalla Comunità di Sant’Egidio, e menziona l’ex-cappellano del braccio della morte del Texas, ma la cosa più preoccupante è il tentativo di umanizzare la figura di Jim Willet, dipendente del Dipartimento di Giustizia Criminale degli Stati Uniti, che per 30 anni ha agevolato lo svolgimento delle esecuzioni.

La sua poco onorevole carriera è stata da poco riassunta in un libro autobiografico che, come spiega lo stesso autore, “alterna storie macabre ad aneddoti divertenti”, dove aleggia il rammarico per aver dovuto spogliare i corpi dei giustiziati “senza almeno una mascherina”. Assunto nel 1974, Willett dovette attendere quasi otto anni per assistere alla prima esecuzione, perché solo nel 1982 lo stato del Texas riprese ad applicare la pena capitale una volta revocata la moratoria in vigore fino al 1976 e da quel momento in poi la sua funzione fu quella di dare il via alla somministrazione delle sostanze letali.

Detentore del record assoluto come assistente alla camera della morte con il maggior numero di esecuzioni all’attivo, Willet dice oggi di aver ripudiato la violenza, ma la sua posizione è molto simile a quella del reverendo Pickett, ex cappellano del braccio della morte del Texas, anche lui contrario alla violenza benché non abbia mai fatto nulla per impedirla nei 13 anni della sua missione. Senza nulla togliere al senso di compassione di entrambi né all’impegno del mondo cattolico va tuttavia detto che sia gli uni che gli altri si sono raramente spinti sino ad analizzare i meccanismi di un sistema giudiziario corrotto fino al midollo.

Lo stesso Martin Luther King, al tempo della sua carcerazione in Alabama, rimproverò al clero cattolico una certa cecità nei confronti della sperequazione sociale. Esiste un robusto fronte impegnato nella battaglia contro la pena di morte ed è composto da persone di tutte le religioni e da migliaia di laici, schierati a fianco degli stessi condannati, alcuni dei quali hanno maturato scelte precise, più orientate verso la maturazione politica che verso la religione. Benché vivere in attesa di essere giustiziati sia un’esperienza terribile, capace di prosciugare completamente la capacità di resistenza di un essere umano, in Texas, dove i repubblicani fatto il bello ed il cattivo tempo nel sistema legislativo, non tutti i reclusi trovano conforto nella fede e, anzi, cercano di tenere lontani i movimenti religiosi che sono notoriamente schierati a fianco di Bush.

La giustizia americana è oggi fortemente condizionata dal cattolicesimo e da altre dottrine di ispirazione cristiana, tanto che molte scuole di legge vengono sovvenzionate da donatori privati cattolici fino al midollo che ne finanziano le ricerche e i programmi di evangelizzazione dei detenuti con miliardi di dollari ogni anno. Gli afro americani e i reclusi di origine araba che rifiutano di farsi indottrinare vengono privati dei diritti più elementari e persino i loro avvocati vengono perseguiti, come dimostra la vicenda di Lynne Stewart, incriminata nel 2002 con l’accusa di terrorismo e poi arrestata lo scorso 13 marzo solo per aver difeso un detenuto arabo sospettato di attività anti-americane in carcere già da due anni prima dell’11 settembre.

Robert Hicks, finito nel braccio della morte della Georgia, è stato condannato da un giudice che, al momento della sentenza, ha affermato di aver agire in nome delle leggi bibliche. Un ispettore generale alle carceri ha scoperto che molti detenuti musulmani sono stati sottoposti arbitrariamente ad iniezioni di eparina, un medicinale che contiene derivati del maiale la cui carne non può essere ingerita dai fedeli dell’Islam.

Qualcuno ha scritto che l’apertura di prigioni “religiose” è forse il secondo programma di Bush in ordine di importanza perché nulla impedisce di servirsi dei detenuti come acquisitori di voti. D’altra parte, la stessa parola penitenziario viene da penitenza e alcune carceri del Texas, come quello di Vance, hanno già assunto dei tutori che accompagneranno uomini e donne fino alla conversione totale. E’ un’iniziativa di Mark Earley, avvocato della Virginia che ha suscitato molta preoccupazione fra le organizzazioni per i diritti civili.

I detenuti devono frequentare incontri con i predicatori che poi li interrogheranno sulla vita di Gesù. Bill Yates, rinchiuso in un carcere del New Hampshire, ha chiesto di essere esentato dai programmi di disintossicazione dall’alcol e dalla droga, gestiti esclusivamente da gruppi religiosi. Eppure, i predicatori sono sempre più presenti all’interno delle carceri. Quando possono, si tengono lontani dalle telecamere di sorveglianza, forse perché alcuni di loro hanno alle spalle un passato non proprio cristallino.

Ma il passato conta poco davanti alla puntualità delle sovvenzioni e le elargizioni: Spiritual Life Center vanta un “ministro” che è riuscito a raccogliere 23.000 dollari solo vendendo stracci per lavare il pavimento fabbricati in casa dalla moglie. Naturalmente nessuno riesce a fare meglio del famoso Charles Coulson, già consigliere di Nixon al quale propose di bombardare il Brooking Institution. Arrestato per reati legati allo scandalo Watergate, Colson si è riproposto sul mercato come icona della vera fede. Guadagna 4 milioni di dollari e mezzo l’anno smistando i suoi missionari nelle galere americane, donazioni a parte.

I reclusi che hanno alle spalle reati di natura sessuale sono i più difficili da avvicinare per gli uomini di Colson e delle altre centinaia di agenzie del divino. “Non sono previsti programmi di rieducazione alla sessualità se non quelli dedicati al recupero degli omossessuali”, ammettono alla Innerchange, “ma avremmo bisogni di più fondi per aiutarli a ritrovare la retta via”. Tutto dipende dal saper aspettare, visto che George Bush è deciso ad affidare l’assistenza sociale solo ai gruppi religiosi. Dovendo guidare una nazione che vanta più di un quarto della popolazione carceraria mondiale, ha pensato bene di servirsi delle carceri per favorire l’avanzata della destra religiosa che ha contribuito alla sua seconda vittoria.

Per vedere i risultati si dovrà tuttavia aspettare, sembra che il più eclatante sia stato quello di aver convinto gli omosessuali in carcere a farsi crescere la barba: è un po’ poco, ma aiuta...

Bianca Cerri

Ps.A proposito, tra le ultime parole di Dominique Green, giustiziato lo scorso 26 ottobre in Texas figura anche la frase "mi hanno abbandonato". (I destinatari ne prendano nota).

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