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Gli appuntamenti, le iniziative, le riflessioni dei compagni dai territori verso la manifestazione unitaria
20.000 in piazza a Torino, affianco ai lavoratori, verso l’11 ottobre
Una bella manifestazione, il primo appuntamento di un percorso che per Rifondazione vuol dire ritessere un rapporto lacerato, per costruire insieme ai lavoratori, agli uomini e alle donne pratiche di comunità e alternative di società
di Silvia Iracà, Segreteria Federazione PRC Torino
La città si risveglia: nel corteo che colma il percorso da piazza Vittorio Veneto a piazza Castello sfilano donne e uomini protagonisti del lavoro e della società, l’uno e l’altra defraudati di diritti e dignità dalle politiche del Governo sempre più impudenti e reazionarie, sempre più sfacciatamente complici di Confindustria.
Quelle donne e quegli uomini hanno deciso di uscire e far sentire la loro presenza, lanciando un messaggio chiaro e inequivocabile: “non c’è più tempo da perdere; stanno giocando con le nostre e le vite di tutti; noi non ci stiamo e da qui e da oggi comincia l’opposizione sociale contro quest’asta al ribasso con cui i poteri forti stanno svendendo il Paese e i suoi cittadini”.
Sfila da sola la Cgil, in assenza di una mobilitazione unitaria di tutti i confederali, e lo fa per provocare e spostare l’ago della bilancia verso il peso sociale dei lavoratori, alzando la testa. È accaduto in queste settimane con il “no” al primo accordo CAI per Alitalia; accade oggi con le decine di piazze italiane che manifestano per i diritti negati.
In principio il raggruppamento sembra timido; ma poi, quasi inavvertitamente, la piazza va riempiendosi di cartelli, striscioni e bandiere e si ritrova il filo di un discorso antico, ma sempre attuale: le parole e gli atti che declinano la lotta collettiva, che danno voce, braccia e gambe alle ragioni di chi questa società la costruisce e la vuole migliore; parole, braccia e gambe per sottrarre terreno a chi questa società la vuole distruggere.
Una società che ancora si professa democratica, ma che, senza opposizione e conflitto sociale, rischia di diventarlo solo di facciata.
Quegli amici sfilano per il lavoro, i diritti, la dignità negati. Contro la riforma Gelmini, il carovita, i tagli che corrodono lo stato sociale, l’assalto al contratto nazionale, contro ciò che progressivamente e sempre più chiaramente si sta delineando come un progetto di destabilizzazione e deregolamentazione delle fondamenta costituzionali del nostro Stato e delle conquiste delle lotte di milioni di lavoratori in più di mezzo secolo di storia.
Ci sono gli striscioni e le bandiere di tutte le categorie CGIL (FIOM, Settore pubblico, SPI, FLC, UDU…) e tra di esse cartelli con messaggi che invocano una presa di responsabilità del Governo nei confronti del Paese e dei suoi cittadini.
Tra questo popolo in piazza c’è anche Rifondazione con le sue bandiere: molti di quei lavoratori sono compagni, con molti si sono combattute battaglie, con tutti si condivide l’emergenza e la necessità di una mobilitazione la più ampia e unitaria possibile.
Soprattutto questo: l’emergenza. Non possiamo più attendere, non possiamo più stare a guardare. Oggi è stata anche un’occasione per far convergere obiettivi comuni, come l’importante appuntamento della manifestazione nazionale dell’11 ottobre: l’appello di adesione e di sostegno è circolato nel corteo e sono apparse altre firme che vanno ad aggiungersi alle centinaia già raccolte dal Comitato organizzatore.
Questo è un bel segno, che va però consolidato e potenziato: tutti i nostri sforzi devono tendere alla mobilitazione collettiva per quella data. Non possiamo permetterci di mancare l’appuntamento, perché un tale segnale di debolezza aprirebbe un vuoto di opposizione sociale e laddove se ne creano - il recentissimo passato ce lo ricorda (se mai lo avessimo dimenticato) - non è l’edulcorata e moderata sinistra di nuova generazione a guadagnare terreno, bensì l’antica, ma sempre baldanzosa e prepotente ideologia della destra liberista e reazionaria.
Chi si illude del contrario e pensa di organizzarsi sotto nuove insegne per migliorare l’appeal e riproporre il già sperimentato e fallito schema “ancoriamo il moderatismo da sinistra” sta commettendo un errore molto grave. Non è da rimescolamenti verticistici che potremo riconquistare il “popolo della sinistra”, ma è ritornando a intercettarne le istanze e i bisogni, facendo da “connettori” tra questi e l’istituzione, riconquistando quell’utilità sociale per quelle donne e quegli uomini di cui abbiamo perso la fiducia, riappropriandoci di un’azione autenticamente e coraggiosamente antagonista.
A chi chiede che cosa ne è o che cosa ne sarà di questo partito dobbiamo rispondere con chiarezza e determinazione. Gli amici che abbiamo incontrato in piazza vorrebbero da tempo sentirsi dire, ma soprattutto constatare con i loro occhi, che il nostro antagonismo politico ha ancora terreno, perché quegli amici non sono ancora arresi, eppure non si aspettano più granché; proviamo a smentirli e stupirli, come abbiamo fatto oggi. Mostriamo loro, come abbiamo fatto oggi, che ci siamo e che saremo al loro fianco.
Questo 27 settembre è stato un segno forte, facciamo in modo che non sia l’unico.
Le prossime scadenze dell’autunno ci richiamano al dovere di un’azione unitaria. Ne va della sopravvivenza del potere conflittuale dell’intera società.
Torino, 28 Settembre 2008