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VII Congresso PRC : Documento Acerbo (Ferrero-Grassi-Mantovani)

Publie le martedì 13 maggio 2008 par Open-Publishing
2 commenti

“Esci partito dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada”
Majakovsky

1. Questo congresso. L’impegno unitario come scelta di libertà.
Il nostro congresso è carico di straordinaria responsabilità. Avviene
dopo una sconfitta drammatica che ha cancellato per la prima volta
nella storia dell’Italia repubblicana la sinistra dal Parlamento e una
vittoria delle destre che si affermano con grande consenso popolare.
L’indagine sulle cause della nostra sconfitta va oltre questo stesso
Congresso, ma il modo in cui sapremo affrontare questa nostra
discussione è decisivo, perché anche da questo dipenderà la capacità
di essere adeguati alla sfida che abbiamo davanti: continuare nel
percorso ancora da scrivere della rifondazione comunista, ricostruire
una efficacia e un futuro per la sinistra nel nostro paese.
Abbiamo bisogno di un congresso democratico, in cui la voce delle
iscritte e degli iscritti conti davvero, dal circolo al congresso nazionale
e in cui quella democrazia partecipativa che abbiamo indicato come
uno dei nodi decisivi su cui rifondare la politica viva non solo nei
dibattiti, ma nel nostro agire quotidiano, assai più di quanto non sia sin
qui avvenuto. Abbiamo bisogno di un congresso aperto, in cui la
sovranità piena delle donne e degli uomini che hanno scelto di
appartenere a questa comunità sui destini del partito e sulle scelte da
compiere, non delimiti uno spazio autosufficiente, separato dalla
discussione con chi una tessera non ce l’ha, ma con noi si interroga
sul futuro della sinistra nel nostro paese. Abbiamo bisogno di un
congresso che superi vizi antichi: inutili lacerazioni e unanimismi
esibiti; deleghe a leader carismatici e logiche di cordata che finiscono
per sequestrare la pienezza del dibattito e delle scelte al corpo del
partito.

La limpidezza sulle proposte in campo, su cui si è determinata la
dialettica delle posizioni negli ultimi mesi deve accompagnarsi
all’impegno inderogabile che assumiamo di governare unitariamente il
partito, rimuovendo dal nostro agire ogni introiezione di logiche
maggioritarie che hanno inquinato la nostra dialettica democratica.
Non è quindi solo per una condizione di necessità, relativa alla gravità
della situazione che viviamo, che abbiamo proposto un congresso che
vedesse un unico documento a tesi emendabili. Questo avrebbe
permesso di valorizzare il largo patrimonio unitario che tutti
condividiamo, isolando i singoli punti dove si registrano dissensi. Vista
l’indisponibilità dei presentatori degli altri documenti a procedere sulla
strada di un unico documento a tesi emendabili, vogliamo però assumere un impegno preciso per il futuro. Ci impegnamo sin d’ora ad
una gestione unitaria del partito dopo il congresso. Questa è la
condizione per rilanciare rifondazione e per superare l’ingessatura in
correnti che ha contraddistinto la vita interna negli ultimi anni. La non
esclusione nella gestione, il suo carattere democratico e partecipato, è
la condizione per il rilancio del progetto politico di rifondazione
comunista.

Nel corso del Congresso non possiamo chiuderci in una discussione
interna separata dalla necessità del lavoro politico, dall’ agire
quotidiano necessario, qui e ora. E’ questo il primo impegno da
assumere collettivamente.

C’è bisogno di costruire da subito l’iniziativa politica di opposizione al
governo Berlusconi proponendo a tutta la sinistra, politica e sociale, di
muoversi insieme.

La costruzione dell’opposizione sociale non aspetta il nostro
congresso. Comincia da subito.

2. La profondità della sconfitta e le sue cause

Il risultato elettorale ci consegna una Italia profondamente diversa da
quella che pensavamo di conoscere, caratterizzata da una vittoria
netta della destra, da una inconsistenza politica del centro sinistra e
dalla sconfitta verticale della sinistra.

2.1. La forza della destra. La forza della destra è stata quella di
confrontarsi apertamente con la crisi del neoliberismo e di far leva sulle
paure derivanti dall’insicurezza sociale e dal consumarsi delle reti
relazionali. Mentre il PD si è mostrato fermo nel sostenere il rispetto
dei vincoli europei, la destra li ha criticati con grande spregiudicatezza,
evocando il recupero dell’intervento dello stato, al quale riaffilare ruoli
di protezione e direzione economica. Si è così accreditata come
garante delle ragioni dei territori, a tutela degli interessi nazioanali e
delle comunità locali. Ciò le ha consentito di recuperare consensi
presso vasti settori di lavoratori dipendenti e autonomia e , nel caso
della Lega Nord, presso fasce popolari e di lavoro operaio. Sul terreno
dell’egemonia, la destra ha interpretato lo “spirito del tempo” dando
una risposta precisa all’insicurezza e alla paura: il nemico esterno. In
termini di insicurezza sociale il nemico è la Cina, la globalizzazione,
l’Europa, lo stato che impone le tasse. In termini di insicurezza
personale il nemico è lo straniero, lo zingaro, il diverso, chi dissente e
lotta contro l’ordine sociale esistente. La destra ha riproposto la
costruzione di una comunità basata sulla difesa verso l’esterno e sulla
necessità di disciplinamento all’interno. Più polizia e più dazi
potrebbero esserne le parole d’ordine. In questo contesto il
fondamentalismo religioso e il richiamo ad una presunta “civiltà
europea” sono connotati essenziali per costruire identità comunitarie
(europea, nazionale o locale a seconda delle versioni) in cui
riconoscersi e da difendere.

2.2. La debolezza del Partito Democratico. La debolezza del PD a
guida veltroniana è stata quella di oscillare tra l’inseguimento della
destra sul suo stesso terreno in materia di politiche securitarie, nella
modalità plebiscitaria di costruzione della direzione politica,
nell’interclassismo e dall’altra nella proposizione di un sogno
“progressista” scarsamente credibile. Una proposta da un lato
subalterna e dall’altro minoritaria, capace di parlare solo ad una parte
dell’Italia. La sconfitta di Rutelli a Roma ne è l’emblema.
Da questo punto di vista il PD è obiettivamente dentro una crisi
strategica, solo velata dalla presenza sui mezzi di comunicazione di
massa. La vocazione a partito che vuole tenere insieme tutto e il
contrario di tutto è spiazzata dall’azione politica che la destra agisce
dentro la crisi della globalizzazione, sia sul piano degli interessi
materiali che su quello valoriale, azione destinata a dividere il PD su
ogni passaggio significativo. Non a caso la dirigenza veltroniana del
PD punta ad un ulteriore restringimento degli spazi della
rappresentanza politica, alla eliminazione di ogni concorrente a sinistra
con la riforma della legge elettorale per il parlamento europeo e con il
referendum del prossimo anno. Contrastare questa prospettiva di
riduzione bipartitica del sistema politico italiano è dunque un punto
decisivo che ci consegna come interlocutori quelle parti del PD ed altre
forze politiche che si oppongono a questo progetto politico e
istituzionale.

2.3. La sconfitta della Sinistra Arcobaleno. La sconfitta della Sinistra
Arcobaleno nasce dentro l’esperienza di governo. Dopo le grandi lotte
di massa che hanno caratterizzato il periodo del governo Berlusconi da
Genova in avanti, una parte consistente del popolo italiano ci ha votato
affidandoci un cambiamento da realizzare non solo sul piano del
quadro politico, ma direttamente sul piano delle proprie condizioni di
vita. L’aspettativa di cambiamento è rimasta frustrata. Sui punti
fondamentali della vita delle persone non siamo riusciti a realizzare il
programma che avevamo concordato nell’Unione. Nel concreto
svolgersi dell’esperienza di governo, la nostra gente ci ha visto come
impotenti e subalterni, cioè inutili. Il risultato lo si è misurato nelle urne
dove larghissima parte delle persone che ci aveva votato nel 2006 non
ci ha votato ad aprile. In questo contesto la parola d’ordine della
sopravvivenza della sinistra è risultata politicista, percepita come
l’esigenza di autoriproduzione di un ceto politico di cui non era chiara
l’utilità sul piano sociale.

2.4. Per un bilancio critico di Venezia. Si possono rintracciare le ragioni
di questa sconfitta in mille passaggi, ma il punto fondamentale è che
nel congresso di Venezia abbiamo sbagliato l’analisi dei rapporti di
forza esistenti. Abbiamo creduto che fosse possibile rendere
permeabile la sinistra moderata alle istanze sociali quando la sinistra
moderata si è invece mostrata assai permeabile alle istanze dei poteri
forti. Abbiamo pensato che le forze sindacali potessero svolgere un
positivo ruolo di pressione quando invece hanno svolto un ruolo di
stabilizzazione del governo in diretta concorrenza con la sinistra.
Abbiamo pensato che la scrittura del programma legasse ad un patto
le altre forze politiche e invece queste ne hanno fatto carta straccia.
Abbiamo cioè sopravvalutato la nostra capacità di incidenza sul quadro
politico quando la dislocazione dei poteri reali era tutta contro di noi.
Noi abbiamo fatto parte della maggioranza parlamentare e siamo stati
nel governo ma il paese lo hanno governato altri, spesso nella
dialettica tra sinistra moderata, opposizione e poteri forti.
In questa esperienza il partito si è progressivamente ripiegato su se
stesso, i circoli si sono in buona parte svuotati. La crisi del radicamento
sociale deriva dalla nostra impotenza politica e dall’incapacità a darci
una comprensibile direzione di marcia, in un continuo ed inconcludente
cambiamento di obiettivi.

Per di più, in una fase in cui veniva a maturazione la crisi della politica
a livelli mai visti, ci siamo trovati a ricoprire ruoli percepiti come
totalmente interni alla «casta».

Oltre a questi elementi di fondo e decisivi, le modalità di costruzione
della Sinistra Arcobaleno hanno prodotto ulteriori effetti negativi sulla
costruzione della campagna elettorale.
In questo contesto siamo andati alle elezioni e abbiamo perso perchè
per molti qualsiasi voto è sembrato più utile del nostro: il non voto, il
voto al PD in una logica frontista, addirittura il voto alle destre
populiste.

Abbiamo sbagliato l’analisi di fase e ne abbiamo subito
impietosamente le conseguenze.

2.5. La nuova fase caratterizzata dalla crisi della globalizzazione
capitalista. Dalla nostra sconfitta elettorale non si può uscire
semplicemente riprendendo il percorso interrotto prima del governo
Prodi perché la crisi nel rapporto con la nostra gente e il
contemporaneo affacciarsi della crisi economica frutto della crisi della
globalizzazione neoliberista ci consegnano un quadro tutto modificato.
La negativa esperienza di governo e la contemporanea crisi della
globalizzazione esaltano gli effetti di alcuni processi di lunga durata
che già da tempo stavano venendo a maturazione:

a) La crisi di un modello di sviluppo basato sulla presunzione di
illimitatezza delle risorse. Già oggi l’accaparramento delle residue fonti
energetiche è alla base di molti conflitti e nei prossimi anni lo sarà il
tentativo di accaparramento delle fonti idriche. Le devastazioni
territoriali prodotte dalle grandi opere ci parlano di una contraddizioni
palese tra gli interessi delle popolazioni e questo modello di sviluppo.
L’inquinamento, i mutamenti climatici, la scarsità delle materie prime,
dell’acqua, ci parlano della fine di una fase in cui lo sviluppo del
movimento operaio e della sinistra si era intrecciato allo sviluppo
economico.

b) La ripresa della corsa al riarmo (convenzionale e non
convenzionale). Essa va di pari passo con l’acuirsi di una tendenza
alla guerra come mezzo di risoluzione violenta delle controverse
internazionali e di conflitti regionali eterodiretti sulla base delle
esigenze geopolitiche ed economiche dei potenti del pianeta. Questa
escalation è connessa all’indebolirsi dell’unipolarismo statunitense e
alla ridefinizione dei rapporti di forza a livello mondiale all’interno della
crisi della globalizzazione neoliberista.

c) La chiusura del ciclo istituzionale nato dalla Resistenza e fondato
sulla Costituzione repubblicana. Le spinte bipolari oggi riproposte
come bipartitiche, la sostituzione dei partiti di massa con partiti costruiti
attorno al leader, la rottura del meccanismo della rappresentanza
sociale e la conseguente crisi della politica hanno radicalmente
cambiato il quadro in cui si svolge l’azione politica. Anche qui il terreno
politico su cui la sinistra era cresciuta nel nostro paese si presenta
come nettamente cambiato di segno.

d) La modifica radicale della composizione di classe su cui si era
costruito il ciclo di lotte del 68/69: la consunzione degli elementi di
unità di classe e la frantumazione dei lavoratori in un contesto di
profondissime modifiche sul piano dei processi lavorativi e dei
meccanismi di valorizzazione del capitale, pongono problemi inediti ai
fini della costruzione del blocco sociale di riferimento.

La costruzione di una risposta alla crisi in cui versa la sinistra oggi non
è possibile senza una risposta ai quesiti che nascono dalla chiusura di
questi cicli storici: come si costruisce un legame tra difesa degli
interessi materiali degli strati subalterni della popolazione e progetto di
trasformazione in un contesto di crescita economica scarsa o nulla?
Come si costruisce un nuovo sistema di partecipazione democratica
nella parziale inutilizzabilità del sistema istituzionale odierno? Come si
ricostruisce la coalizione del lavoro e la solidarietà di classe nel tessuto
produttivo disperso, atomizzato e frantumato territorialmente?

Dalla risposta a questi quesiti e non da qualche operazione di
ingegneria organizzativa dipende la possibilità di ricostruire un ruolo
storico per la sinistra che altrimenti risulta completamente spiazzata.
Tanto più che la forza della destra populista risiede proprio nell’aver
interpretato questi processi e nell’aver individuato nella risposta al
tema dell’insicurezza il punto focale della propria proposta politica. Che
la risposta all’insicurezza declinata dalla destra sia al fondo fasulla e
propagandista nulla toglie alla sua forza materiale nella misura in cui
noi non siamo in grado di elaborare una risposta alternativa che abbia
almeno pari forza evocativa e concreta efficacia.
.
In questo quadro avanziamo la nostra proposta politica, nella
consapevolezza della sua parzialità e della necessità di agire
attraverso l’inchiesta, la riflessione e la lotta per la costruzione di
queste risposte.

COME USCIRE DALLA SCONFITTA

3. Il ruolo del Prc

3.1. Il rilancio politico e organizzativo del Prc. La rifondazione
comunista non ha esaurito la propria “funzione storica”. Essa continua
per innovarsi, per proseguire una ricerca aperta sulle nuove forme
della politica, che provi a colmare il divario tra culture e pratiche
politiche, a partire dalla soggettività delle donne e dall’internità al
movimento altermondialista.

La rifondazione comunista continua perché è strutturale a questo
sistema la contraddizione tra capitale e lavoro, con gli esiti nefasti dello
sfruttamento e della guerra, che tale contraddizione sistematicamente
riproduce; continua perché solo all’interno di un movimento reale si
può conoscere e trasformare lo stato di cose esistente. La rifondazione
“senza aggettivo”, senza dispositivi interpretativi dell’attuale fase
capitalistica, è pensiero debole, sinistra debole, un “oltre” senza
orizzonte: la “rifondazione comunista” intende tematizzare e praticare il
divenire oggi comunisti, non una divisa statica e dottrinaria, ma una
ricerca attuata nella convinzione che il vigente sistema sociale, con le
sue iniquità e la sua violenza non sia la fine della storia.

Tutti ora propongono di “ripartire da Rifondazione”: ma è
manifestamente contraddittorio proporre di preservare un partito e,
contemporaneamente, considerare questo partito residuale, un’entità
in via di superamento. Attivare una “costituente della sinistra” significa
considerare la sopravvivenza del Prc sterile e conservativa, priva di
carica progettuale, meramente funzionale al traghettamento verso un
altro soggetto politico. Per noi, al contrario, Rifondazione comunista
rimane per l’oggi e per il domani, poiché é essenziale per lo stesso
processo di ricostruzione della sinistra.

3.2. Il partito in movimento. La fase politica inedita che affronteremo
nei prossimi mesi e anni, con l’intera sinistra priva di rappresentanza
parlamentare, impone di dedicare particolare cura al rafforzamento
organizzativo e all’ insediamento sociale e territoriale del partito. La
condizione extraparlamentare rende ancor più necessaria l’esigenza di
ripensare la nostra strutturazione organizzativa e le nostre modalità di
funzionamento partendo dalla valorizzazione di passioni e esperienze
che vivono nella comunità dei militanti e degli iscritti al PRC.

La consapevolezza dei limiti della forma – partito e le difficoltà della
fase apertasi dopo la sconfitta elettorale ci spingono a proseguire sulla
strada della sperimentazione e dell’innovazione, avendo ben chiara
l’idea che abbiamo bisogno di un partito radicato nella società e nei
territori, capace di organizzare lotte e vertenze quanto di praticare
forme di mutualismo nello spazio della quotidianità, che sia
culturalmente autonomo dalle ideologie dominanti quanto aperto alla
relazione con la realtà sociale e interno alle reti di movimento.
Se concepiamo il partito come strumento per la costruzione di un
blocco sociale della trasformazione e se constatiamo che la crisi della
sinistra trova la propria radice anche e soprattutto nel progressivo
distacco tra le rappresentanze istituzionali e una società sempre più
frantumata diventa centrale la riflessione intorno alle forme dell’agire
politico e l’accentuazione del carattere sociale del partito e più in
generale della sinistra.

Ritrovare una connessione con il nostro popolo non può essere una
scelta ideologica o puramente politica: deve essere primariamente una
pratica. Nella crisi della politica che è anche crisi della società, il
“partito sociale”, inteso come punto d’incrocio tra movimenti che si
“politicizzano” e partiti che si“socializzano”, superando l’illusione
dell’autosufficienza che sarebbe nociva agli uni ed agli altri è in questa
fase una feconda traccia di lavoro per Rifondazione e la sinistra.

3.3. La rivoluzione delle pratiche: l’innovazione di Rifondazione
comunista. Il nostro Partito ha disatteso gli impegni collegialmente
assunti con la Conferenza nazionale d’Organizzazione di Carrara.
L’idea del rafforzamento del PRC e della contemporanea costruzione
di un soggetto unitario e plurale, si è rapidamente involuta nell’idea di
un soggetto unico nel quale il comunismo sarebbe sopravvissuto come
semplice «tendenza culturale». Avere proceduto in una direzione
opposta alla democratizzazione del partito indicata a Carrara è tra le
ragioni degli errori compiuti negli ultimi mesi, sino alla modalità
autoritaria di costituzione della Sinistra l’Arcobaleno e della formazione
delle sue liste.

Oggi noi riteniamo non più differibile il tema della riforma del partito, di
una sua vera e propria rigenerazione democratica, al fine di superare
l’autoreferenzialità dei gruppi dirigenti, l’incapacità di costruire relazioni
positive tra centro e organismi periferici, la separatezza dei gruppi
istituzionali, il burocratismo, il personalismo, l’affacciarsi dentro il
partito di comitati elettorali, il verticismo, la pratica di
«esternalizzazione» delle decisioni dai luoghi statutariamente previsti.

Innovazione è prima di tutto superamento delle forme autoritarie,
burocratiche ed escludenti – in senso proprio violente – che spesso
rendono il nostro partito non accogliente, persino respingente in
particolare per giovani e donne, restringendo di fatto le decisioni a
chiuse oligarchie, che si riconoscono autorità e si spartiscono incarichi
e potere. L’innovazione va praticata innanzitutto nelle relazioni
interpersonali, nella partecipazione, nell’apertura a chi non è dentro le
logiche di partito (che peraltro vanno cambiate) e che deve poter
partecipare alle discussioni e alle scelte. Innovazione è aprire i nostri
circoli a esperienze significative di movimento, di vertenze territoriali, di
pratiche associative

Il PRC deve assumere irreversibilmente l’impegno di dare forma ad
una partito bisessuato e paritario, al cui scopo non è sufficiente
introdurre le regole della democrazia di genere (in primo luogo
l’obbligatorietà della rappresentanza paritetica dei sessi), ma è
necessaria una innovazione nelle modalità della vita democratica, per
cercare soluzioni condivise alle divergenze e ai conflitti e rompere la
cristallizzazione delle posizioni statiche e precostituite.

Il contributo del pensiero e della pratica politica del movimento
femminista consente di alludere ad una forma partito non gerarchica,
non oligarchica, non piramidale, nella quale il leaderismo e la
conseguente formazione dei gruppi dirigenti per tramite di cooptazioni
rispondenti a logiche di fedeltà sono definitivamente superati.

Il superamento di tali limiti, consolidati negli anni all’interno di
Rifondazione Comunista chiama in causa la necessità di un recupero
della «connessione sentimentale» con la vasta comunità politica di Rc
e con l’intero “popolo della sinistra”. Per rompere il muro di diffidenza
rappresentato dalla visione dilagante dei politici come “casta”, si rende
necessaria una misura concreta di autoriforma: la fissazione di un tetto
alle retribuzione di dirigenti ed eletti del partito che sia commisurato a
quello dei settori sociali che intendiamo rappresentare.

Dobbiamo tornare a sperimentare il valore di una gestione collegiale e
unitaria della direzione politica. Il superamento e la critica al partito
novecentesco non può avvenire attraverso una liquidazione dei
processi democratici. Bisogna, invece, ripensare alla costruzione
condivisa del progetto politico a partire dalle esperienze territoriali.
Correggendo la tendenza verso un partito “leggero” e “mediatico”, i
circoli devono essere rafforzati, dotati di strumenti operativi che
rendano materialmente possibile la sperimentazione di forme di
organizzazione e partecipazione più efficaci e coinvolgenti.
La destinazione delle risorse va decisamente riequilibrata a favore dei
territori e realizzata una ristrutturazione dello schema organizzativo
che consenta in aree omogenee di avere forme di coordinamento tra le
varie realtà territoriali regionali.

3.4. Le ragioni della divisione. Nel difficile contesto della sconfitta, il
Congresso è caratterizzato dalla divisione del gruppo dirigente di
Rifondazione comunista. Spiegare le ragioni della divisione è
essenziale per comprendere le scelte che siamo chiamati ad assumere
con il Congresso. Sono ragioni che nulla hanno a che vedere con
l’assunzione di responsabilità per la sconfitta pesantissima che
abbiamo subito che ci riguarda tutti. Sulle ragioni di questa sconfitta
storica c’è da scavare, da capire, non da dividersi o da cercare capri
espiatori. Tutto il gruppo dirigente della maggioranza emersa dal
Congresso di Venezia, a partire da molti firmatari di questo
documento, è quindi parimenti responsabile.

Il punto di conflitto ha riguardato e riguarda invece la prospettiva di
scioglimento di Rifondazione Comunista in un nuovo soggetto politico.
Nel corso della campagna elettorale è stata autorevolmente avanzata
la proposta politica del superamento di Rifondazione Comunista
all’interno di una costituente della sinistra, da fare “con chi ci sta”.
Questa proposta politica è stata avanzata sui mezzi di comunicazione
di massa ed ha visto la predisposizione di appelli finalizzati a questo
scopo. E’ stata cioè agita da una parte del gruppo dirigente come una
prospettiva politica da praticare nel concreto. Addirittura, anche dopo
la sconfitta elettorale è stato proposto di accelerare nella prospettiva
del processo costituente della sinistra arcobaleno. Su questo si è
diviso il gruppo dirigente, sia per ragioni di metodo – poiché mai era
stata discussa né decisa da alcun organismo dirigente del partito – che
di merito.

Riteniamo infatti che la costituente della sinistra sia una proposta
politica sbagliata.

In primo luogo questa proposta non fa i conti con la sconfitta della
sinistra. Il punto su cui si è determinata la sconfitta non riguarda le
forme di organizzazione della sinistra politica ma il rapporto tra la
sinistra e la società. Siamo stati percepiti come non utili dai nostri
referenti sociali e non siamo stati in grado di aggredire gli effetti della
crisi della globalizzazione, il diffuso senso di paura e insicurezza e
paura su cui le destre populiste hanno costruito un processo
egemonico che le ha portate al successo elettorale. Mettere al centro i
processi di riaggregazione politica della sinistra (concretamente tra
PRC e Sinistra Democratica, vista l’indisponibilità di PdCI e Verdi), non
ci fa fare un passo in avanti nella soluzione della crisi verticale in cui è
la sinistra è precipitata nel suo rapporto con la società.

In secondo luogo la proposta della Costituente della sinistra aumenta
la concorrenza interna alla sinistra stessa e questo è il contrario di ciò
che serve per ripartire. Infatti, nella fase in cui la sinistra di alternativa
ha funzionato meglio, a partire da Genova e nella fase successiva
dell’opposizione a Berlusconi, un punto fondante era l’unitarietà del
processo di costruzione di movimento che ha evitato sia spinte
centrifughe e distruttive, sia gli elementi di moderatismo e di
politicismo. In una situazione di sconfitta il punto dell’unità è infatti
decisivo. La proposta della Costituente di sinistra inoltre apre spazi
politici alla Costituente comunista, altrettanto sbagliata perché basata
esclusivamente sul piano ideologico, incapace quindi di avere respiro
programmatico e apertura ai movimenti, tali da incidere positivamente
sulla realtà. Entrambi questi processi determinerebbero un terreno di
spaccatura strutturale del movimento e metterebbero in grave difficoltà
la costruzione di una sinistra e di una opposizione efficace. La
realizzazione delle due costituenti rappresenterebbe la negazione del
progetto politico di rifondazione comunista maturato dopo Genova.

La riproposizione dell’importanza di Rifondazione Comunista, se
finalizzata alla realizzazione della Costituente della sinistra, è infine un
fatto politicamente residuale e conservatore, perchè non coglie il ruolo
storico del progetto di Rifondazione Comunista. Tale progetto è
basato, a partire dalla rottura con lo stalinismo, sull’unità dialettica di
due termini che si qualificano a vicenda: la scelta dell’innovazione
radicale e la scelta di rifarsi criticamente e praticando profonde cesure,
ad un filone politico qualificato dal tema della rivoluzione, intesa come
superamento del modo di produzione capitalistico. Il termine comunista
è sinonimo di rivoluzionario. Proprio nella fase della crisi della
globalizzazione capitalistica, in cui le politiche socialdemocratiche si
rivelano inefficaci, ed in cui la destra populista si presenta con un volto
“rivoluzionario”, la messa in discussione delle compatibilità
capitalistiche rappresenta l’unica politica efficace con cui contendere
l’egemonia alla destra. La proposta della Costituente di sinistra non
rappresenta quindi l’inveramento o il superamento del progetto politico
di rifondazione comunista ma la sua negazione in chiave moderata: la
sopravvivenza dei ceti politici nella dissoluzione del progetto politico,
proprio quando questo si presenta come effettiva necessità storica e
non come mera conservazione di un patrimonio.

La rinascita della sinistra non può quindi ripartire da una costituente
che non risolve nessuno dei problemi che abbiamo dinnanzi, anzi li
aggrava. La ricostruzione della sinistra in Italia implica invece
l’attivazione di tre processi: il rilancio politico e organizzativo del
progetto della Rifondazione Comunista; la costruzione della sinistra dal
basso; la costruzione di una efficace opposizione al governo
Berlusconi.

4. La costruzione della sinistra

La sconfitta della Sinistra Arcobaleno non ha per nulla ridotto la
necessità di unire la sinistra. In primo luogo vi è una richiesta di unità,
di lavoro comune che viene posta da tanti compagni e compagne, in
particolare dopo la sconfitta elettorale. Questa disponibilità si fonde
con la necessità di organizzare rapidamente l’opposizione al governo
Berlusconi e da questa riaprire il cammino dell’alternativa.
Le ragioni di fondo della necessità di unire la sinistra stanno nel fatto
che oggi solo una piccola parte dei compagni e delle compagne che
fanno attività politica a sinistra si riconoscono nel nostro partito. La
maggioranza non appartiene ad alcun partito e fa politica in comitati,
movimenti, associazioni, sindacati. Così come moltissime persone di
sinistra fanno attività volontarie di aggregazione del tessuto sociale, di
risposta a problemi reali delle persone, di costruzione di elementi di
mutualità o solidarietà sociali che nulla hanno a che spartire con il
terreno della rappresentanza politica. Questi anni – e il movimento
antiglobalizzazione ne è stato un esempio – è cresciuta la crisi della
rappresentanza ma sono cresciute parimenti mille forme di attività e di
lavoro politico che occorre riconoscere favorendone la messa in rete.
Si tratta quindi di porsi il problema di come unire la sinistra, dalle forze
politiche alle associazioni ai singoli individui senza ripetere gli errori e
le forzature che hanno caratterizzato la sinistra arcobaleno.

4.1. Rovesciare il processo

La sinistra arcobaleno è nata dall’alto come accordo di vertice tra
quattro forze politiche, finalizzata alle elezioni, cioè assorbita dal
terreno della rappresentanza politica. La sinistra arcobaleno non è
stata una federazione ma un accordo di vertice tra segreterie di partito.
Una federazione avrebbe chiesto regole democratiche chiare, un
processo di partecipazione, il coinvolgimento non solo dei vertici dei
partiti ma di tutti i soggetti interessati. Tutte cose assai diverse da
quanto è avvenuto. Si tratta quindi di rovesciare la piramide,
costruendo la sinistra dal basso, a partire dal sociale, in forme
democratiche e partecipate, coinvolgendo iscritte/i e non.
L’esproprio dell’elemento della discussione e della decisione collettiva
è stata una ferita inferta alla comunità politica del partito. Una ferita
resa più amara dalla mancanza di chiarezza nella proposta politica e
nella discussione politica (tra il livello mediatico-informale, e la
discussione nei gruppi dirigenti). Da ultimo nella riduzione del
femminismo, del comunismo e dell’ecologismo a tendenze culturali si è
manifestato il tratto eclettico e politicista del cosiddetto “neorevisionismo”,
ossia il pensiero debole verso la Cosa rossa: la
riduzione dei soggetti a “culture critiche”. Non è, dunque, il ritardo nella
sua costruzione ad aver segnato la non credibilità della Sinistra
Arcobaleno, bensì il metodo e le pratiche con cui è stata costruita, la
mancanza di progetto e di soggetto. Una sinistra senz’anima
Noi non pensiamo alla sinistra né come a un campo né come ad un
microcosmo da riaggregare e tanto meno come a uno spazio politico
“apertosi”, come pure è stato detto, alla sinistra del PD: pensiamo
occorra ridefinire oggi il significato della sinistra a partire dalla sua
utilità sociale e dal suo progetto.

Pensiamo alla rifondazione della sinistra non sulla base di formule e
modelli, ma a partire da soggetti, esperienze, sperimentazioni: che
proceda per approssimazioni successive, sulla base del metodo del
consenso e a partire da esperienze e contenuti di lotta. E’, dunque, un
processo, non un modello quello che proponiamo. Un percorso in
parte sperimentato con la costruzione della Sinistra Europea, che ha
rappresentato un momento di intuizione importante e di
sperimentazione sulle forme della politica: superare una concezione
classica del rapporto partito-movimento, mantenere come strategica la
scelta dell’internità ai movimenti, unire “nella rete di reti” soggetti
politici diversamente organizzati. Una esperienza non priva di limiti ma
che rappresenta il precipitato di un punto di ricerca che ancora tutto
davanti a noi: ossia la costruzione di processi decisionali, nella
costruzione del soggetto politico, che possano coniugare democrazia e
partecipazione.

4.2. Il progetto unitario

Il nostro progetto unitario è rivolto a tutti i soggetti che si schierano a
sinistra e non chiede a nessuno di sciogliersi, si tratti di un comitato o
di un partito. Occorre costruire una sinistra plurale non come fase di
passaggio da superare verso più alte e mirabili sintesi ma come
condizione fisiologica di una sinistra che vede una pluralità di pratiche,
una pluralità di riferimenti ideali. Se la sconfitta che abbiamo subito
riguarda principalmente la percezione dell’inutilità sociale della sinistra,
dal radicamento sociale, dalla presenza sui territori deve ripartire il suo
percorso di costruzione.

In primo luogo proponiamo di costruire in ogni quartiere, in ogni paese
case della sinistra, spazi pubblici della sinistra in cui sia possibile
socializzare i diversi elementi di inchiesta sociale, mettere in rete le
diverse forme di iniziativa sociale, costruire vertenzialità territoriale,
pratiche di mutualità, consulenze, spazi di socialità. Se la destra
costruisce la sua egemonia sulla paura che deriva dall’insicurezza
sociale vissuta come dramma individuale, le case della sinistra devono
essere luoghi in cui – come ci ha insegnato don Milani - i problemi
individuali possano essere affrontati collettivamente. Ricostruire i
legami sociali attraverso il canale prioritario della partecipazione diretta
e non della delega alla politica intesa come regno della
rappresentanza. Costruzione di coalizioni, di patti d’azione,
individuazione di obiettivi attraverso il metodo del consenso.

In secondo luogo proponiamo di costruire da subito una coalizione a
base nazionale tra tutti i soggetti organizzati per costruire
l’opposizione al governo Berlusconi. Non sfugge nessuno l’urgenza di
questo percorso unitario che non può ridursi alla progettazione di una
manifestazione nazionale per l’autunno.

Si tratta di un punto decisivo perché i propositi del governo Berlusconi
sono chiari con un’offensiva decisa sul terreno del lavoro e delle
relazioni sindacali, sull’ambiente e sulle grandi opere, sul welfare,
sull’immigrazione.

In terzo luogo, a partire dalla messa in pratica dei due obiettivi sopra
descritti, cioè la centralità del radicamento sociale e l’opposizione,
proponiamo di costruire un processo aggregativo di tutta la sinistra.
Contro i progetti di spaccare la sinistra nella Costituente della sinistra e
nella Costituente comunista, proponiamo di costruire una soggettività
politica basata su una rete di relazione stabili tra i diversi soggetti
organizzati e su regole democratiche che garantiscano la piena
partecipazione dei singoli compagni e compagne. Il PRC, senza abiure
o scioglimenti, intende partecipare come soggetto collettivo alla
costruzione della sinistra unitaria e plurale. Saranno pertanto le
compagne e i compagni del PRC a decidere democraticamente le
modalità della partecipazione a questo percorso. Infatti, al contrario di
quanto accaduto nell’esperienza della Sinistra Arcobaleno, il processo
unitario che proponiamo, non deve essere un accordo di vertice
centralistico e antidemocratico ma aprire invece un percorso di
partecipazione che sposti i poteri in basso.

Per noi, la costruzione della sinistra politica passa necessariamente di
qui: dalla ricerca, dall’ascolto, dalla partecipazione, dalla costruzione
collettiva di lotte e progettualità politica.

5. La costruzione dell’opposizione al governo Berlusconi-
Montezemolo

Il governo Berlusconi sta agendo molto rapidamente per la
realizzazione del suo programma e, data l’ampia maggioranza
parlamentare di cui gode, potrà procedere speditamente a realizzare i
suoi propositi di controriforma. Visto il programma con cui il PD si è
presentato alle elezioni è tutt’altro che scontato che questo partito
faccia una vera opposizione al governo. Decisivo è quindi costruire
una opposizione sociale che sappia da subito misurarsi con la rapidità,
la durezza e nello stesso tempo l’intelligenza dell’attacco. E’ infatti
assai probabile che Berlusconi, lungi dal ripetere gli errori del 2001 e
2002, punti ad un coinvolgimento concertativo degli attori sociali in
particolare sul tema del lavoro, potendo tra l’altro contare sulla
mancata distribuzione dell’extragettito e dunque su una certa quantità
di risorse utilizzabili per offrire ai lavoratori soldi in cambio della
cessione di potere e diritti.

Va ricordato come la presidente di
Confindustria abbia oggi individuato nell’attacco al contratto nazionale
di lavoro - uno degli ultimi strumenti di regolazione universalistica dei
rapporti tra capitale e lavoro - l’obiettivo padronale immediato. In
questa posizione vi è una profonda assonanza con il governo
Berlusconi che vuole detassare straordinari, premi e regalie aziendali
proprio per sostituire il paternalismo individuale alla contrattazione
collettiva. La stessa proposta di reintrodurre le gabbie salariali va nella
direzione di smontaggio del contratto nazionale di lavoro. Dopo la
cancellazione della sinistra dal parlamento, governo e Confindustria
vogliono far scomparire il movimento dei lavoratori, con una
innovazione che ci riporterebbe all’ ‘800. A nessuno può sfuggire come
questa offensiva trovi assonanze anche all’interno della CGIL:
contestualmente all’attacco nei confronti della sinistra politica, è partito
l’attacco alla sinistra sindacale e alla Fiom.

Con l’accettazione del
documento sulla riforma della contrattazione, la maggioranza della
CGIL, vuole aprire un nuovo capitolo della rappresentanza sociale
connotato dall’interclassismo sindacale. Questa scelta cambia il
modello di sindacato generale, rivendicativo, conflittuale e di classe
che ha contribuito all’emancipazione dei lavoratori e ha diffuso con le
lotte sindacali la conquista dei diritti nel mondo del lavoro.
L’attacco di Berlusconi ovviamente non sarà rivolto solo al mondo del
lavoro. Le grandi opere – dalla Tav al ponte sullo stretto ai
rigassificatori - saranno un cavallo di battaglia motivato in nome di un
colbertismo anticiclico. L’attacco al welfare - con la riduzione dei servizi
pubblici, la costruzione di un mercato dei servizi e il rilancio deciso
della sussidiarietà - costituirà un ulteriore pilastro di questa offensiva,
intrecciato all’attacco dei diritti delle donne. Le stesse misure proposte
in materia di immigrazione cercheranno sicuramente il consenso
popolare in una logica securitaria, di guerra tra i poveri. In questo
contesto, anche alla luce dell’omicidio squadrista di Verona, è
necessario far crescere l’iniziativa antifascista rivolta soprattutto ai
giovani.

Inoltre, non mancherà di farsi strada il progetto complessivo di
revisione costituzionale, largamente condiviso tra PD e centro destra,
all’insegna di logiche autoritarie e oligarchiche e della volontà di
costituzionalizzare (attraverso il federalismo fiscale) i divari di
ricchezza e di sviluppo tra le varie aree del paese.
Occorrerà dunque riattivare i luoghi del conflitto e provare a
organizzare una controffensiva sociale, anche con l’individuazione
dello spazio europeo come terreno indispensabile per dare efficacia
alla nostra azione. E si dovrà tenere viva la connessione tra i contenuti
sociali e la mobilitazione per politiche di pace e in solidarietà con i
popoli minacciati o direttamente aggrediti (a cominciare da Palestina,
Cuba e Venezuela). In ogni caso, la costruzione dell’opposizione non
sarà una operazione semplice o automatica; non basterà dire di no,
ma sarà necessario costruire piattaforme che riconnettano senza
scorciatoie i nessi della frantumazione sociale.

Questo vale in particolare per il Sud, ove occorre un progetto che
abbia l’ambizione di forzare i vincoli di una storica dipendenza
economica, sconfiggendo parimenti le politiche liberiste che puntano
alla riduzione dei trasferimenti verso le regioni e gli enti locali. Per
questa via è possibile intaccare una realtà sociale in cui persistono ed
anzi si accentuano la presenza e il peso della malavita organizzata. Un
Mezzogiorno che restasse confinato nel suo destino storico di area di
consumo, di manodopera precaria e a basso costo cui sono riservati i
segmenti poveri e nocivi della produzione, non potrebbe mai trovare gli
anticorpi materiali necessari per contrastare in radice il potere
criminale.

6. I soggetti e le culture della trasformazione per l’alternativa di
società

Dobbiamo confrontarci col nostro deficit di conoscenza e di analisi
critica delle nuove forme del dominio, con la dilatazione
tendenzialmente totalitaria del capitalismo del nostro tempo, con
l’inedito processo di passivizzazione che attraversa la nostra società.
La costruzione della sinistra sociale e politica pone allora il problema
della soggettivazione: rinvia alla possibilità di costruire processi di
liberazione dalla colonizzazione sempre più pervasiva dei corpi e delle
menti. La vittoria delle destre, è stata, infatti, prima ancora che
elettorale, culturale: una gigantesca “rivoluzione passiva” basata
sull’ideologia della sicurezza come risposta immediata all’insicurezza
sociale. E’ questa la risposta del neoliberismo alla sua crisi: una
risposta egemonica, divenuta senso comune. Per contrastare
l’egemonia della destra, l’alternativa di società, la capacità di ricostruire
relazioni e soggettività, rimane l’orizzonte della nostra possibile
risposta, nel rapporto con i movimenti. La nostra inchiesta si svolge,
dunque, in primo luogo nella relazioni con i soggetti dell’alternativa.
Ripartire dalla alternativa di società non significa, dunque,
semplicisticamente, ritornare o rifugiarsi nel sociale o “andare ai
territori”. Significa tornare a fare società, reimmaginare una politica dei
nessi, tra vertenze territoriali, esperienze locali, contenuti di lotta,
progetto politico, speranze. Pensare e praticare la nostra rivoluzione
molecolare, qui ed ora. Come ci ha insegnato il movimento delle
donne, la costruzione del soggetto politico non può non essere un
processo di liberazione dei corpi e delle menti. Dobbiamo allora
interrogarci sul rapporto tra libertà e liberazione, uguaglianza e
differenza, volontà e desiderio.

L’internità al movimento. La risposta alla sconfitta deve ripartire dalla
scelta strategica dell’internità al movimento altermondialista, che ha
affermato, ad esempio, la propria efficacia nell’impedire che per
quattro sessioni negoziali del WTO le multinazionali potessero ottenere
una generalizzata immissione nel mercato dell’acqua, della sanità e
dell’istruzione, le cui lotte ed elaborazione sono all’origine di quella
primavera latinoamericana. Il subcontinente che per primo ha
sperimentato e messo in atto le teorie neoliberiste e monetariste e in
cui l’opposizione al neoliberismo, ha visto nascere movimenti come
quello zapatista, indigenista e bolivariano, che oggi costituiscono una
speranza di emancipazione non solo per i rispettivi paesi, ma per
riaprire la prospettiva di un socialismo del XXI secolo, segnato dalla
democrazia partecipativa e dalla pluralità di modalità con cui si sta
costruendo. La costruzione della mobilitazione contro il G8 alla
Maddalena, è, per noi un impegno fondamentale e nella costruzione
all’opposizione al governo Berlusconi e nell’ottica dell’internità al
movimento antiglobalizzazione.

Il conflitto capitale lavoro: I problemi e le lotte del lavoro costituiscono
uno dei terreni cruciali per la ricomposizione di un nuovo movimento
operaio. Intendiamo con ciò riferirci non solo ai problemi del salario
(considerate anche le prestazioni dello Stato sociale) e della copertura
pensionistica; e alla tutela dei diritti e delle condizioni di sicurezza
contro malattie e infortuni. Ma anche al tema politico della
(ri)costruzione della soggettività del lavoro come protagonista sulla
scena sociale democratica. Di fronte al drammatico impoverimento
delle classi lavoratrici e allo sfondamento capitalistico sul campo dei
diritti e delle tutele occorre rimettere in comunicazione tutti gli attori del
conflitto di classe, a cominciare dalle organizzazioni sindacali. Occorre
porsi al servizio delle lotte delle lavoratrici e dei lavoratori per un
salario adeguato e contro l’abbattimento dello Stato sociale, contro la
precarietà (le leggi Treu e 30) e la vergogna delle pensioni da fame,
contro lo smantellamento del contratto nazionale e a difesa della salute
e della sicurezza sul lavoro. Un compito primario è ricostruire la cultura
del conflitto e restituire a chi lavora la consapevolezza dell’essere
classe, quindi controparte del capitale. La ricomposizione della
soggettività del conflitto chiama in causa quella vera e propria
“mutazione antropologica”, la frammentazione determinata dai
processi di precarizzazione del lavoro e delle vite: di qui la necessità
ridefinire il nesso lavoro-non lavoro, tempo di lavoro, tempo di
produzione, tempo di vita. Si tratta più in generale, di analizzare la
capacita del capitale di mettere a valore ogni facoltà umana: è questo il
tratto distintivo del precariato cognitivo così come dei processi di
femminilizzazione del lavoro.

Il movimento per la pace: Sostenere le lotte dei popoli per il proprio
diritto all’autodeterminazione, significa riprendere il cammino per la fine
di ogni colonialismo, sia nelle forme militari dove è ancora presente,
sia in quelle della nuova dipendenza economica. In questo contesto,
l’Europa rimane divisa e subalterna all’amministrazione Bush, come
nel riconoscimento del Kosovo, o in Italia, con la costruzione della
base di Vicenza. Rifondazione comunista deve reinvestire nel
movimento per la pace e per il disarmo, sostenere la battaglia per
un’Europa libera dalla Nato e per il disarmo su scala globale. A fronte
dell’allargarsi dei conflitti e della guerra come elemento costitutivo della
crisi della globalizzazione, la lotta per la pace e l’opposizione alla
guerra sono indissolubilmente legate a quella per un’alternativa al
neoliberismo, alla ricostruzione di una sinistra di classe, di un punto di
vista internazionalista sul mondo.

La sinistra in Europa. Partiti e movimenti di sinistra alternativa
registrano successi e crescite. E’ il caso della Germania, dell’Olanda,
della Grecia e di Cipro. Sono casi differenti ma che hanno negli anni
proposto un profilo radicalmente alternativo a quello delle
socialdemocrazie, e in contrasto ai sistemi bipartitici di fatto dominanti
in quei paesi. Al contempo, la Sinistra europea ha rappresentato, in
Italia, un momento di sperimentazione sulle forme della politica:
superare una concezione classica del rapporto partito-movimento,
mantere come strategica la scelta dell’internità ai movimenti, unire
“nella rete di reti” soggetti politici diversamente organizzati. Una
esperienza non priva di limiti, in primo luogo l’eccessiva internità alle
dinamiche dei gruppi dirigenti, ma che rappresenta il precipitato di un
punto di ricerca che ancora tutto davanti a noi: la costruzione di
processi decisionali, nella costruzione del soggetto politico, che
possano coniugare democrazia e partecipazione

La soggettività politica femminista: Il movimento delle donne ha
rimesso al centro della politica nodi “tradizionalmente impolitici” quali il
rapporto tra i sessi, il rapporto tra personale e politico, il rapporto tra
corpo e legge. La critica femminista ha messo a tema la critica
all’ordine patriarcale vero e proprio sistema proprietario e
colonizzatore, fondatore di un tempo e di uno spazio di violenza non
solo interpersonale ma anche sociale e simbolico: ha svelato, dunque,
la falsa neutralità del maschile e posto il tema della fondazione della
politica sulla rimozione di uno dei due generi. Siamo oggi di fronte di
fronte ad una vera e propria reazione culturale che si misura ancora
una volta sul corpo delle donne. Una nuova generazione politica
femminista, nella fertile relazione col movimento LGBTQ, è uscita dal
silenzio: ha posto alla sinistra il tema della sua rifondazione a partire
dal nodo dell’autodeterminazione, della difesa della legge 194, della
abrogazione della legge 40, dalla critica al familismo, dei diritti civili
della violenza maschile sul corpo delle donne, con la straordinaria
manifestazione del 24 novembre. Nodi considerati “eticamente”
sensibili, ma ,per noi, pienamente politici.

Migranti: Il punto da cui partire è la presenza stabile di quattro milioni
di uomini e donne migranti all’interno dell’economia e della società
italiana. L’ideologia che giustifica i meccanismi di esclusione è un
composto in cui si mescolano vecchie e nuove forme identitarie, la
concorrenza fra strati sociali impoveriti, la frammentazione delle
relazioni, l’insorgere di una condizione perenne di paura che fa
dell’immigrato il capro espiatorio su cui scaricare tensioni. Occorre
operare su più fronti, intervenendo nella società e nelle istituzioni per
concrete politiche che aggrediscano questo razzismo in quanto
strumento di sfruttamento materiale. Vanno combattute le limitazioni
alla libera circolazione delle persone, l’inscindibilità fra contratto di
lavoro e permesso di soggiorno, ogni forma di detenzione
amministrativa. La percezione degli “stranieri” come causa di
insicurezza sociale, va combattuta svuotando i bacini di marginalità,
collaborando per la realizzazione di forme di mutuo solidarismo. Un
lavoro di lungo respiro da fare “con” le/i migranti che devono trovare
spazi di agibilità politica più stabili.

Le nuove generazioni: una generazione nichilista, frammentata dalla
precarietà, attirata, come dimostra una prima analisi del voto, dalla
immediata risposta delle destre alla propria insicurezza. Potrebbe
essere questa una fotografia della condizione giovanile oggi. Una
fotografia che non racconta però, dei nuovi processi di soggettivazione
precaria che danno, ogni anno vita, ad esempio all’Euromayday, della
lotta per riprendersi spazi nelle metropoli e nelle periferie urbane, per
liberare la conoscenza come bene comune nella scuola-univeristà
azienda, della capacità di sottrarsi quotidianamente alla logica della
competizione per dare vita ed esperienze associative e cooperative. “Il
nostro tempo è qui e comincia adesso”: liberare il futuro di questa
generazione è la scommessa della sinistra.

La nonviolenza: Noi vogliamo contribuire a costruire e a far vivere una
idea della nonviolenza come teoria e pratica di lotta, cioè come forma
attuale di costruzione dell’egemonia, come critica dei rapporti violenti
di potere tra le persone, lontana, dunque, dalla versione di assoluto
metafisico o, peggio ancora, di metro eurocentrico con il quale
giudicare il mondo o rileggere il passato. La nonviolenza è per noi la
forma intrinseca dei processi di trasformazione della società,
disobbedienza dinanzi al potere di classe e al patriarcato, rifiuto della
guerra e delle pratiche terroristiche di annientamento di sé per
uccidere l’altro.

La critica allo sviluppismo: La violenza del capitale è alla radice della
crisi ambientale. Ciò è vero soprattutto se si cumulano gli effetti crudeli
e smascherati del vecchio capitale a quelli più intrusivi e raffinati del
capitale nella fase della globalizzazione dei mercati. L’acqua, la terra,
l’aria, l’energia- e non più solo la fatica e l’intelligenza dell’uomodiventano
così le basi organiche del nuovo capitalismo. Essi entrano in
un processo totale di nuove “recinzioni” che trasformano i beni comuni
dell’umanità e della vita in merci, in profitti privati, addirittura in usi
privati. Il modello che ne scaturisce, basato sulla pretesa di uno
sviluppo illimitato e proteso simmetricamente allo sfruttamento
dell’umanità e al saccheggio della natura è ancora più crudele. Nella
prospettiva della rielaborazione di un pensiero anticapitalista, l’ecologia
politica diviene allora una cultura critica fondativa, una prospettiva
radicale di cambiamento del sistema: un modello economico, etico e
politico del tutto alternativo.

Laicità: la laicità per noi non è un contenuto da difendere, o un insiemi
di valori. E’ lo spazio della politica, in cui i soggetti si autodeterminano
e liberano. La politica delega al papa e alla Chiesa cattolica il terreno
dell’etica, immiserendosi in una visione ridotta alla gestione
dell’esistente. Occorre porre fine a questa deriva reazionaria: costruire
un’etica pubblica libera dal potere del sacro, spezzare la
sovrapposizione tra religione e norma. Una rigorosa difesa della
laicità, dunque, non solo come lotta all’invadenza della Chiesa
cattolica nella vita pubblica e privata di donne e uomini, ma anche
come difesa delle libertà personali.

La rifondazione continua, allora, in primo luogo riprendendo quella
ricerca sulla innovazione della propria cultura politica costitutiva della
sua soggettività. Una ricerca che si è costruita, non nella sommatoria
di culture critiche, ma nella relazione e nel riconoscimento di altre
soggettività. Uscendo da sé, senza perdersi. Dunque, l’innovazione
non è per noi un patrimonio da “preservare” o contendersi, nella
dialettica interna, ma l’asse lungo cui pensiamo che la ricerca della
rifondazione comunista possa essere utile, nella sua relazione con le
altre soggettività, alla lettura degli attuali processi di globalizzazione. Si
tratta non solo di elaborare una lettura complessiva delle
contraddizioni del presente: la scommessa che abbiamo di fronte è
quella della ricomposizione delle soggettività del conflitto, della
costruzione di un nuovo movimento operaio.

Maurizio Acerbo

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