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Val di Susa : "Noi terroristi? Ci hanno aggrediti mentre stavamo cantando cori alpini"
Publie le giovedì 8 dicembre 2005 par Open-Publishingdi Paolo Crecchi
«Noi terroristi? Ci hanno aggrediti mentre stavamo cantando cori alpini»
Possono passare solo i residenti, naturalmente mostrando i documenti. In
località Mompantero il signor Biagio Rolle, 82 anni, guerra combattuta in
Montenegro e pace faticata fra mille lavoretti nella cintura torinese,
spiega che da oltre un mese non è più possibile invitare a casa propria
amici e parenti: «Dovrebbero lasciare l’auto sulla statale - sospira
sbuffando il fumo della seconda sigaretta del mattino - e farsi tre
chilometri a piedi. Io dei lavori me ne infischio, perché quando
cominceranno davvero non ci sarò più, ma mi sembra che a Roma stiano
perdendo la testa».
Il bivacco espugnato dalle forze dell’ordine nella notte fra lunedì e
martedìè un campo di battaglia. Tende divelte, stoviglie rotte, zaini
abbandonati, sotto un noce c’è un sacco rovesciato: sparse sull’erba,
decine di mele gialle. Sui tavolini bottiglie di vino stappate. A
sorvegliare il nastro biancorosso che recinta gli ottantadue lotti di
prato, noci e faggi espropriati agli abitanti di Venaus, ci sono almeno
trenta camionette e cento fra poliziotti e carabinieri.
«Pensare - scuote la testa Laura Rivetti, impiegata, 37 anni - che fino
all’altro ieri offrivamo anche a loro the e caffè. Sembravano ragazzi come
tutti gli altri. Adesso non riusciamo più a guardarli in faccia». Passa
Diego Rumiani, 38 anni, tecnico dell’Alenia che ogni giorno macina 120
chilometri per andare e tornare da Torino: «Guardi qua, le foto. Le
sembrano no global? Violenti? Eravamo noi, la gente del paese. Stavamo
cantando cori alpini per tenerci svegli».
Nelle foto si vedono signore anziane, ragazzi con la chitarra, il
pensionato Silvano Borgis che ora è ricoverato all’ospedale di Susa per
«traumi alla regione addominale»: manganellate. Manganellate sono state
assestate anche a una donna di un paese vicino, sulla testa e sulle
braccia che teneva davanti al volto per difendersi. Tentativo vano:
nell’istantanea perde sangue dalla bocca.
«Questo», spiega Diego Rumiani, «è uno dei due motivi principali per cui a
Venaus ci opponiamo alla Tav. Ci trattano come delinquenti, come dei
pericolosi sovversivi con i quali non bisogna perdere tempo, dimenticando
persino che i sindaci sono figure istituzionali e che se tutti sono
contrari all’alta velocità, come sono contrari il mondo della scuola, le
fabbriche e gli intellettuali, forse vale la pena rifletterci un momento.
L’altro motivo è che qui davanti passerà un viadotto lungo un chilometro e
mezzo. Dico: perché in Francia no? Perché nella Maurienne vogliono
interrare tutto e in val Susa costruire l’ennesimo ecomostro»?
A Venaus c’è già il viadotto dell’autostrada, longitudinale rispetto
all’asse della valle. Quello dell’alta velocità taglierebbe il pianoro
nell’altro senso. Rumiani: «In pratica non vedremmo più il sole. Va bene
sacrificarsi nell’interesse di tutti, pensare alle generazioni future, ma
cosìè francamente troppo. Allora ci comprino le case che andiamo ad
abitare da un’altra parte».
Nella cabina dell’Iveco, alla terza ora di sosta forzata, Xavier Rosines
gioca a fare l’avvocato delle merci in viaggio. Padroncino indipendente
catalano, abbonato da almeno cinque anni alla rotta Valladolid-Torino,
anche oggi trasporta un carico di materie plastiche. Non ha fatto il
traforo del Frejus: «Il pedaggio costa 219 euro. Io ne guadagno 820
all’andata e 1.400 al ritorno, sono tariffe imposte dal mercato, e non mi
va di perderci così tanto. Preferisco la statale, anche se ci metto due o
tre ore in più».
Ci fosse il traforo? Ci fosse il ferroutage, così si chiama l’imbarco dei
Tir sui vagoni dell’alta capacità, come è più corretto definire la
Lione-Torino? «Sarebbe sempre il pedaggio a farmi decidere».
Davanti all’Iveco di Xavier Rosines c’è il bisonte Renault di Antonello
Perino, torinese, dipendente di una ditta che trasporta ricambi per auto.
Dice che ormai si limita a viaggiare tra Italia e Francia, ma in passato
una delle sue mete fisse era l’Inghilterra: «E lì il ferroutage, tra
Calais e Dover, c’è e conviene a tutti. Quaranta minuti contro un’ora e
mezza. Trenta euro. Rispetto alla nave è un po’ di più, ma non c’è
paragone. Tra l’altro ti riposi pure».
Riposi e non inquini, 9.500 tir al giorno significano una pioggia letale
di metalli pesanti per i boschi di conifere, gli animali, i residenti
delle valli alpine e pure per i turisti sciatori. Non è un caso che gli
ambientalisti francesi abbiano detto di sì alla Tav, subordinando la
collaborazione con il governo a una garanzia: «tout en tunnel», come
intimano i cartelli e gli striscioni appesi oltre il tunnel del Frejus. E
se adesso il malumore serpeggia anche nella Maurienne, è perché da Parigi
arrivano segnali di ripensamento: per motivi economici, non tutto potrebbe
finire nel tunnel. Proprio ieri i Verdi francesi hanno ufficialmente
smentito l’ottimismo a oltranza del loro portavoce nella regione
Rhone-Alpes, che ignorava l’allarme lanciato dai due movimenti Vivre en
Maurienne e Intercommunale: «Se a gennaio non ci assicurano che tutto
procede come stabilito, e cioè che l’alta velocità cancella i camion dalle
strade e non scempia l’ambiente, le barricate le facciamo anche noi».
Il vero problema sta qui. Come ripete Emma Bonino, «senza una strategia
complessiva» e una comunicazione appropriata le grandi opere come la Tav
«scatenano ovunque resistenze localistiche altrimenti evitabili». Nessuno
sa cosa significhi per l’ambiente e la salute portare «tout en tunnel»,
nessuno ha mai spiegato i vantaggi ai cittadini della Val Susa. Ai quali
viene anzi prospettato un viadotto di un chilometro e mezzo dove ce n’è
già uno, e come accusa ancora Emma Bonino «senza adeguati risarcimenti, né
economici né ambientali».
Per questo ieri si è consumato il secondo giorno consecutivo di paralisi.
Ora i sindaci garantiscono che non ci saranno più blocchi di autostrada e
ferrovia (i colleghi delle stazioni sciistiche si sono fatti sentire, la
stagione è cominciata ufficialmente ieri) ma questo non vuol dire che la
protesta sia destinata a rientrare. Già stamattina un corteo marcerà da
Susa alla volta di Venaus, «per riprenderci il paese da dove ci hanno
cacciato». Centinaia di poliziotti in tenuta antisommossa presidiano il
cantiere, che prima o poi dovrà cominciare a lavorare davvero.
L’appuntamento è alle 10: Xavier Rossines, con il suo bestione
superinquinante, comincerà a risalire il Moncenisio giusto a quell’ora.