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Valerio Morucci, l’antifascismo non è un western [di F. Raparelli]

Publie le domenica 1 febbraio 2009 par Open-Publishing
4 commenti

Ci sono alcune pagine di Nietzsche sulla «cattiva coscienza» che più di altre ci aiutano a capire la «questione Morucci», ma i giganti vanno scomodati di fronte alle cose serie e il caso dell’ex-Br (che sarà ospite del centro sociale neofascista Casa Pound) di certo non rientra tra queste. A cercare meglio, dietro la rabbia che immagino abbia colpito molti, c’è una biografia che per i movimenti, quelli di massa, ha avuto poco amore. Meglio i western.
Sono passati solo pochi giorni, dal divieto di Frati, pochi giorni da una questione che ha visto protagonista la Sapienza, Morucci e, suo malgrado l’Onda. Durante le feste natalizie, infatti, un docente di Scienze umanistiche ha deciso di invitare Morucci per parlare degli anni di piombo. Puntuale la replica del Rettore: l’iniziativa è stata vietata e in compenso Rettore e sindaco Alemanno hanno pensato bene di attaccare l’Onda («i trecento criminali»), di riproporre la questione del Papa e della libertà di parola. Il professore si difese chiamando in causa il consiglio poliziesco, Morucci fece finta di nulla, l’Onda rispose al meglio (era il 5 gennaio!). Oggi la musica cambia, a parlare è Iannone che presenta l’iniziativa di Casa Pound (di cui è portavoce), «oasi» del libero pensiero e della democrazia. Casa Pound e Morucci, infatti, sono accomunati da un problema comune e dallo stesso desiderio: interdetti dall’università, il problema; farla finita con «l’antifascismo ideologico», il desiderio. Sul desiderio Casa Pound ha già lavorato sodo in questi anni, con tutti gli strumenti tecnici a sua disposizione: per chi ha la memoria corta basta ricordare le cinte e i bastoni tricolore di Piazza Navona (29 ottobre 2008), quelli che colpivano con forza (altro che ideologia!) studenti e studentesse di non più di sedici, diciassette anni. Parlano le foto, parlano le ricostruzioni più oneste (Curzio Maltese primo fra tutti), parla la verità.
Ma a Morucci interessa poco la verità, tanto che – ci racconta Iannone sul Corriere della sera di ieri ‒ dopo i fatti del 29 ottobre ha chiamato proprio i giovani di Blocco studentesco e non certo gli studenti dell’Onda per esprimere la sua solidarietà. Sulla Stampa dello scorso maggio stessa cosa: nessuna difesa per gli studenti aggrediti in via De Lollis dai neofascisti di Forza nuova, piuttosto una condanna bipartisan. Verrebbe da diventare scortesi, fortunatamente la vita e la storia di Morucci non parlano più a nessuno. Ci spiace per le sue ambizioni pretesche (Ratzinger è interessato all’acquisto?) e per quanto riguarda i movimenti appartengono ad un’altra era, un’era in cui l’antifascismo è un fatto di realtà, non una patologia da nostalgici.

di Francesco Raparelli,
da il manifesto, 31 gennaio 2009

ripubblicato da incidenze

Messaggi

  • E’ evidente costume in questo paese, anche da parte di chi dovrebbe comportarsi al contrario, di non informarsi sui fatti su cui si interviene, magari dai diretti interessati, ma basarsi su quanto altri dicono.
    Che dopo gli scontri di piazza Navona io abbia espresso solidarietà al Blocco Studentesco è una balla. Ho, invece, scritto una mia allarmata riflessione per il quotidiano ’Liberazione’. Non pubblicata perchè poco opportuna in quel momento di instabilità della direzione a causa della guerra apertasi tra le due anime di Rifondazione.
    Comunque, a chiarimento, la metto qui dappresso.

    Francamente a guardare su You-Tube i video degli scontri a piazza Navona un grumo di sgomento si è piazzato nello stomaco. Come sentirsi scaraventati dentro una macchina perversa che riproponeva in loop le peggiori immagini della nostra vita. Quaranta anni fa, cioè nel ’68, gli universitari fascisti raccolti ne “La Caravella” si ritrovarono dentro la protesta degli studenti, scatenata allora dalla riforma presentata dal ministro democristiano Luigi Gui. Essendo anch’essi dei giovani che discutevano di come cambiare il mondo erano ben lieti di parteciparvi e – anche, certo – non volevano che la ‘contrapposizione con il Sistema’ fosse a tutto appannaggio degli studenti di ‘sinistra’. Per parte sua il ‘movimento studentesco’ non era, ancora, caratterizzato da stimmate di ‘sinistra’, era di più una massa eterogenea di figli del boom che potevano, finalmente, manifestare la propria esistenza e il proprio disagio a seguire regole, ritmi e contenuti di una società finalizzata all’omologazione ma non alla felicità. Alle prime manifestazioni si notavano le facce di giovani straniate nel dire “non sono comunista”. Straniate non per rifiuto o negazione, ma perché quell’etichetta rimandava a un lessico, cioè a un mondo, che gli era estraneo. Non erano arrivati lì seguendo una formazione politica ma perché esplosi come soggetti sociali. La “cultura antifascista” – se può dirsi cultura e non semplicemente damnatio memoriae – gli era quindi del tutto estranea. Nel senso che non sapevano cosa fosse.
    Ragione per cui non si pensò di dover ‘espellere’ gli universitari fascisti. Ragione per cui i fascisti erano con noi nelle manifestazioni, e anche a Valle Giulia. Fianco a fianco ‘fascisti’ e ‘comunisti’ uniti nella lotta. Iniziava un ‘nuovo mondo’ e tutto quello che c’era prima non fregava nulla. Erano categorie, e schemi di pensiero incasellanti, già di per sé superati perché quello in cui stavamo crescendo non era più il mondo della spiga e della falce e martello. Della pietra, del ferro e delle canzoni strappacore, ma il ‘nuovo mondo’ della plastica, della malleabilità e infinita riproducibilità delle forme, della desuetudine del sacrificio. Del rock, del pop, e del rhythm & blues.
    Ma, oltre a tutti gli altri, non erano per nulla felici di questo, gioioso e spontaneo, scavalcamento della Repubblica fondata sul lavoro, e sull’antifascismo, i dirigenti del MSI. Soprattutto quelli, più stradaioli e di mano, che intendevano scalzare la segreteria del doppiopettista Michelini. Il fatto che i loro giovani lottassero spalla a spalla coi ‘comunisti’ non poteva che mettere a repentaglio la strategia sui cui puntavano dal dopoguerra. L’anticomunismo militante che poteva garantirgli sia la riconoscenza democristiana, e anche padronale, sia un futuro nuovamente radioso se l’acuirsi della guerra fredda e dello scontro di classe avesse, finalmente, portato all’instaurazione di regimi autoritari.
    Strapazzati quindi gli ‘idealisti’ di Caravella, rastrellarono tra l’università e le sezioni di periferia un centinaio di sicuri anticomunisti e assaltarono Lettere. A respingerli e poi a rincorrerli nella rotta c’erano assieme a noi anche dei ‘fascisti rivoluzionari’. Da lì a non molto iniziò la politicizzazione del movimento – cioè la sua rovina perché alla dirompente novità dell’affermazione di un modo alternativo di vedere, e volere, il mondo, vennero sovrapposte le vetuste categorie ideologiche della lotta di potere rivoluzionaria – e la contrapposizione con i missini, e loro derivati, travalicò nella riproposizione dell’antifascismo militante. Non si è ancora venuti a capo, né da una parte né dall’altra – in mezzo sì naturalmente, perché lo scannatoio era a tutto loro vantaggio – della strage di giovani cui tutto ciò ha portato negli anni successivi.
    Da qui è arrivato il grumo di sgomento nel vedere le immagini dei giovani del Blocco Studentesco con le mazze avvolte dal tricolore e i giovani di Rifondazione protetti dal casco che avanzavano al grido di “Siamo tutti antifascisti”. Non è possibile, siamo ancora lì, non finirà mai questa storia? Deve tutto ripetersi un’altra volta, senza che ci si renda conto dei passaggi che uno a uno possono riportare alla carneficina?
    Non c’è memoria di nulla in questo paese, non deve esserci perché regga la finzione che tutto cambi restando uguale. E’ però anche possibile che chi la memoria ce l’ha cada nell’equivoco delle immagini, nella loro ingannevolezza causata proprio da ciò che è infisso nei ricordi. E’ possibile che ciò che sembra non sia. Ma in questo caso ciò che potrebbe sembrare non dovrebbe mai più essere.
    Quei giovani del Blocco Studentesco erano schierati come i fascisti anticomunisti del ’68 prima dell’assalto a Lettere: in linea, gambe divaricate e mani ai bordi delle mazze a formare col corpo un angolo acuto di risolutezza. Quelli di Rifondazione più colorati, più incasinati, più ammucchiati: il contrario della marzialità. Il primo fatto a contraddire la memoria è che gli assalitori sono quelli di Rifondazione. Ma questo non cambierebbe molto le cose. Non sarebbe un inganno ma solo un rovesciamento. Dietro le immagini c’è il sonoro, e qui si insinua il dubbio. Mentre quelli di Rifondazione avanzano reclamandosi ‘antifascisti’, quelli del Blocco Studentesco dicono che “è finita la cultura dell’antifascismo”, e che loro slogan è “Né rossi né neri ma liberi pensieri”. E questo slogan una volta srotolato potrebbe voler dire molte cose: ‘Non ci riconosciamo nel vecchio scontro tra fascisti e comunisti, e vogliamo che i pensieri valgano per ciò che sono e non per gli incasellamenti della storia’. Quindi non sono anticomunisti, quindi non cercano lo scontro coi ‘rossi’. Quindi non avrebbe senso scontrarcisi al grido “siamo antifascisti”. Fin qui l’inganno delle immagini. Se da una parte c’è una residualità antifascista, dall’altra non ci sarebbe residualità anticomunista. Quindi, almeno da una parte, e la guerra si fa in due, non ci sarebbe la riproposizione dell’imperituro copione. (Per intenderci quel “Fermiamo la marea nera” della campagna PD per le elezioni a Roma).
    Lo scioglimento dell’inganno potrebbe essere in ciò che quelle immagini non possono farci vedere. Cioè il fatto che quelli del Blocco vorrebbero presentarsi come organizzazione guida di un movimento che ha fatto della non rappresentabilità la sua parola d’ordine. A questo fine sgomitano e picchiano, e a questo fine, evidentemente, avevano quelle mazze nel furgone.
    All’epoca c’era un’organizzazione che aveva le stesse pretese. Mentre gli altri gruppi si riunivano e cercavano un compromesso sulla formazione del corteo e sull’ordine degli interventi, questo gruppo si presentava in ordine schierato con striscioni e bandiere sul percorso delle manifestazioni c cercava di conquistare la testa del corteo. Erano i maosti dell’Unione, quelli con cui era impossibile parlare perché si limitavano a sbandierarci in faccia il libretto rosso di Mao, urlando slogan a raffica. Sembravano dei robot. Ovviamente finiva a botte ogni volta per ricacciarli indietro. Per come si comportano, e anche per come parlano per slogan e frasi fatte, questi del Blocco sarebbero quindi assimilabili a quelli dell’Unione. E quindi – più o meno come allora – sarebbe uno scontro tra il movimento che non vuole essere rappresentato e un gruppo che, forte del suo seguito, è disposto a usare la forza per apparirne il rappresentante.(Poco prima dello scontro dicevano anche: “Gli studenti erano con noi”, in un loop autoreferenziale tipico delle avanguardie politiche del ‘900 che dovevano salvare il mondo e guidare i popoli). Solo che questo gruppo afflitto da invadente protagonismo è formato da fascisti. Quindi, tornando all’equivoco, sembrerebbe uno scontro fascisti/antifascisti mentre potrebbe essere uno scontro sulla leadership, o meglio, oggi finalmente, contro la leadership.
    E’ se fosse questo, tanto più se fosse questo, sarebbe deleterio farlo diventare ciò che sembra ma non è. Se questa protesta ha più anime dovrebbe essere al suo interno che se ne affrontino discordie e pretese. Contrastando chi si dichiara per la libertà dei pensieri portandosi appresso mazze tricolori, senza bisogno di ricorrere all’allarme antifascista. Perché alla seconda, o alla terza, non è escluso che si evochi dall’altra parte la pericolosa riesumazione dell’“All’armi siam fascisti”.
    Alcuni reagiscono a questi timori controbattendo che la società è troppo cambiata, e soprattutto i giovani. Non si può che augurarsi fermamente che sia così; e che sia sufficiente. Così come altrettanto fermamente non dovrebbe essere chi c’era allora a sentire il bisogno di manifestare quei timori. Ma. Anche allora la società era radicalmente cambiata, e soprattutto i giovani. Assai più che oggi rispetto a 40 anni fa. Un ribaltamento, una cesura epocale tra il ‘900 e un futuro che, sprecato allora l’attimo per agganciarlo, è tuttora da scoprire. E ancora oggi la parte di società che non ha paura, quella che non si è rifugiata nella Restaurazione e che ancora vorrebbe camminare per strade mai percorse, segue l’onda del capovolgimento di allora. Eppure, nonostante questo, bastò che l’ideologia politica si insinuasse per non essere poi più capaci di fermarne il dilagare. Troppo comoda come appiglio, come risparmio di energie intellettuali da spendere per capire. Troppo comoda per le parole/definizioni che offre e buone in ogni occasione. E poi è solo uno strumento, occasionale magari, siamo noi a controllarlo. E invece, in una società così diversa, con giovani così diversi, ci si ritrovò comunque in un battere d’occhi buttati indietro nel mondo di prima. Eravamo sul crinale, noi. Perché, al solito, la Cultura, cioè il luogo di parole che descrivono il mondo, era decine d’anni indietro rispetto alla rivoluzione industriale della produzione di massa. E della produzione di massa di nuovi desideri e orizzonti. Eravamo lì ma non sapevamo dove prendere le parole per dirlo. E le abbiamo prese nei posti sbagliati. Fascisti, comunisti, lotta di classe, rivoluzione proletaria. Tutte le parole di quando il mondo era ancora miseria, non ricchezza. Umana, soprattutto; riscattata dal bisogno.
    Un vantaggio c’è oggi rispetto ad allora. Ed è che tutte quelle parole muffe, tutti quegli abbagli presi nell’illusione di accorciare la strada, o meglio di precorrerla prima ancora di percorrerla, cioè la pavidità, tutta quella roba è stata consumata. Portata a tali estreme conseguenze da avere – forse, speriamo – creato una auto immunità per chiunque si ponga sulla strada della rivolta.

    Valerio Morucci

    • Ho sempre avuto il sospetto che le Brigate Rosse fossero le brigate Andreotti a sentir parlare Morucci che tira fuori gli opposti estremismi che si toccano,gli sbagli che non ci furono ,sempre piu’ democristiano, ne ho un’ulteriore conferma
      Alex

    • per motivi di anagrafe non ho " fatto" il ’68 ; mi sono limitato a fare il ’ 77 , e allora mi colpi la incredibile confusione ideologica della parte preponderante della sinistra alternativa e i ragionamenti labirintici di capi e capetti vari ; per me , che studiavo giurisprudenza, che già lavoravo con il sindacato e che in famiglia ero stato educato al " leggere le Storie" ,i ragionamenti di costoro erano puro narcisismo , inaccettabile ed anzi assolutamente dannoso, perchè sviante rispetto ai problemi .
      Leggendo Morucci debbo confermare che la confusione ideologica e lo scrivere contorto si ritrovava anche nel ’68 ; e che poi questi maestri nel non dire nulla e delle analisi dannunziane siano finiti a fare in parte gli assassini o i manutengoli di assassini, dall’altra i giornalisti di Mediaset non mi stupisce.
      Per ciò che riguarda Morucci, complice di vili assassini quali erano i brigatisti , e uomo dalle idee ancora confuse , non posso che suggerire il silenzio e la meditazione piuttosto che il partecipare ad incontri ed eventi nei quali altro non può esporre che la sua esperienza di violento sconfitto

    • AI burattini di bella ciao
      complimenti per l’arroganza stalinista con cui ha cancellato i miei post!
      stalinista del cazzo!
      (A)