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Vendola: «La vittoria di Pirro del cardinal Ruini»

Publie le lunedì 20 giugno 2005 par Open-Publishing

Il governatore della Puglia: «Ogni ingerenza della chiesa nella temporalità si conclude puntualmente con una sconfitta, perché cosi la chiesa si allontana dall’ombra della croce»

di ANDREA COLOMBO

Poche settimane fa la Puglia elesse a sorpresa Niki Vendola alla presidenza di regione. Ora la stessa Puglia, come del resto tutto il sud, registra un trionfo dell’astensione sensibilmente superiore a quello delle regioni del nord e del centro Italia. Inevitabile, dunque, chiedere proprio a Vendola un’interpretazione di questo scarto tra il voto del meridione e quello del resto d’Italia.

Vendola, come ti spieghi il livello raggiunto dall’astensione nel meridione e in particolare nella tua Puglia?

Credo che il livello di disinformazione sia stato abissale. C’è stato un dibattito rarefatto e limitato alla dimensione urbana. Un dibattito che al sud è stato percepito soprattutto come il riverbero di una contesa tra gli stati maggiori degli schieramenti politici, interna al ceto del palazzo.

Dunque, a tuo parere, è sbagliato fare un paragone tra questo referendum e quelli, molto più sentiti, sul divorzio e sull’aborto...

Non vedo alcuna comparazione possibile tra questo referendum e gli altri due. Quelle battaglie erano state precedute da una lunga narrazione popolare che aveva anticipato il dibattito politico. Nel sud c’era una richiesta forte di uscire dal medioevo del delitto d’onore e del divorzio all’italiana, da una visione ottocentesca della famiglia. La necessità di trascendere questa dimensione era vissuta come un’epopea popolare. E infatti il popolo cattolico si divise.

Cosa intendi per «narrazione popolare»?

Pensa all’aborto. Il rovesciamento di quella pratica di ipocrisia che circondava l’aborto passò anche attraverso il racconto dei tavoli di marmo, delle mammane, dei cucchiai d’oro, di tutta la subordinazione del corpo femminile da parte di un ordine patriarcale.

Quanto al rapporto con la chiesa, vedi differenze tra questa campagna referendaria e le precedenti?

Nei casi del divorzio e dell’aborto fu visibile il segno dell’invadenza della morale cattolica sulla vita privata. Un certo magistero vaticano tentò di proporsi come precettore, anche dal punto di vista giuridico, dei costumi affettivi e sessuali degli italiani. E così un paese il cui popolo non era mai stato anticlericale espresse una allegra voglia di liberarsi da questa presa clericale.

Questo nel passato. Ma cosa è che invece non ha funzionato in questa campagna referendaria?

A mio parere questa non è stata una campagna molto impegnata. Ma non è questo il punto e non voglio fare polemiche. Il problema è che la campagna elettorale non è stata preceduta da un racconto che incrociasse tutte le questioni legate alla fecondazione assistita. E’ mancato un dibattito colletivo su cosa significhi generare la vita, o su cosa significhi oggi genitorialità. Questi temi noi li abbiamo subìti quando sono venute fuori, in modo piuttosto «sensazionalista», vicende come quella dell’embrione impiantato nell’utero della nonna. E quel sensazinalismo provocava legittime ansietà non solo nel popolo di dio.

Soprattutto nell’ultimo scorcio di campagna elettorale, era però chiaro che in ballo non c’erano solo gli oggetti materiali del referendum, ma anche il principio della laicità dello stato. Questo, tuttavia, non ha inciso sui comportamenti elettorali...

Io credo che tutti noi siamo orfani della laicità dello stato, e lo siamo da anni. Lo siamo dalla crisi della Dc in poi. Il partito che rappresentava l’unità politica dei cattolici garantiva anche che fosse dato a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Finita l’unità politica dei cattolici, nel paradigma di quella corsa al centro che include anche il centro sublime d’oltre Tevere, è stata scritta, rinuncia dopo rinuncia, la lunga storia del sacrificio progressivo di pezzi di laicità dello stato.

Mi pare che siano pochi dubbi sul fatto che l’esito del referendum segnali una crisi non solo della laicità dello stato, ma del laicismo in generale...

Sì, anche perché il pensiero laico non si è rigenerato in rapporto alla modernizzazione e alle sfide della modernità. Dunque è passata una sorta di equazione illecita per cui laicità è uguale a mercificazione. Non è così. Io sono laico ma la mia laicità, lo dico con tutto il rispetto, non è la stessa del ministro Martino. Lui è laico perché liberista, io lo sono perché anti-liberista. Dobbiamo riconoscere che c’è stata una povertà di percorsi teorici e di ripensamenti. La laicità non può essere sempre uguale a se stessa, e noi dobbiamo pertanto chiederci cosa significa essere laici in un mondo in cui c’è l’offensiva teo-cons, ma si prospetta anche un primato della tecnica tutt’altro che condivisbile.

Si deve a questo secondo te la distanza tra la capacità offensiva, anche sul piano propagandistico, del fronte astensionista e la nosta debolezza?

Si deve al fatto che quelli non si vergognano di proporre grandi narrazioni, mentre noi ci impaludiamo in microstorie. Quelli non subiscono la crisi delle ideologie, mentre per noi la crisi delle ideologie è diventata un’ideologia. Ma questa asimmetricità è probabilmente frutto anche di una nostra debolezza: la conservazione di alcuni miti positivistici, una sorta di apologia scientista. L’altro fronte, invece, ti mette in campo i grandi interrogativi sui limiti della manipolabilità della vita. Così, in conclusione, sembra uno scontro tra chi difende un mercato e chi, invece, difende un’etica.

E a questo punto?

A questo punto dobbiamo ricominciare senza disperarci troppo. Quella di Ruini è sta una vittoria di Pirro.

Perché?

Prima di tutto perché ogni volta che la chiesa devia sul piano dell’ingerenza temporale fatalmente perde, perché si allontana dall’ombra della croce. Ma, nel particolare, anche perché la legge 40 non abolisce affatto la fecondazione assistita. La sposta all’estero, oppure sul mercato clandestino.

Parlavi di ricominciare. Da dove?

Dal dibattito sulla vita. Possibile che si debba avere una visione così miseramente biologista come quella che lega un figlio all’accertamento del seme? E poi dalla natura della genitorialità, dal suo essere costituita soprattutto dall’amore, e questa è una sfida che può essere recepita anche dal mondo cattolico.

Quale sarà, secondo te, l’incidenza del risultato del referendum sul piano politico?

Quel che posso dire è che se c’è, oltre Tevere, chi pensa di mettersi di traverso sul terreno dei diritti civili e di allontanarsi dal faticoso percorso della mediazione affermando che non è più ora di mediazioni, deve sapere che si troverà di fronte un’Italia molto diversa da quella distratta del referendum.

E per quanto riguarda le tentazioni neo-centriste presenti in entrambi i poli?

Il referendum può sicuramente irrobustire velleità di questa natura. Ma si tratta appunto di velleità. Non è possibile riavvolgere all’indietro il nastro della nostra storia negli ultimi trent’anni.

Ultima domanda: tu come hai votato?

Quattro sì ovviamente. Da laico e da cattolico.

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/15-Giugno-2005/art12.html