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Vendola scopre la socialdemocrazia

Publie le lunedì 26 gennaio 2009 par Open-Publishing

Vendola scopre la socialdemocrazia

di Marco Sferini

C’è chi si batte il petto e confessa di avere qualche peccato di gioventù dalle colonne del quotidiano delle parole violente, del linguaggio spadaccino come Libero e, poi, c’è chi afferma di non avere alcun rancore verso Rifondazione, e chi, ancora, guarda all’immediato futuro e alle geometrie variabili della composizione dei piccolissimi pezzi dello strano puzzle di una sinistra impazzita che nell’essere sempre più piccola e residuale scopre il grande slancio, il volo (di Icaro?) verso nuovi lidi.
Per dirla con Rina Gagliardi, l’attesa dei compagni e delle compagne che hanno seguito Nichi Vendola a Chianciano nella micro-scissione che ha ufficializzato la recisione di qualunque rapporto col PRC da parte dell’area politico-culturale "Rifondazione per la Sinistra", è quella di vedere ben presto una implosione del Partito democratico, la sua separazione in due tronconi - uno di sinistra moderata e uno di centro - e trovare in Massimo D’Alema il leader naturale di un nuovo soggetto politico socialdemocratico.

Bertinotti, demiurgo dell’operazione e benedicente da lontano sia chi resta nel PRC sia chi va via, si limita a mandare un messaggio laconicamente chiaro: "La sinistra in Italia non esiste più". Come a dire: Rifondazione Comunista non la rappresenta e voi fate bene, siete dei coraggiosi avanguardisti del moderno progressismo che lascia dietro di sè un Novecento complicato, un ancoraggio a categorie di pensiero e a schemi che non permettono il dialogo col Partito democratico e la possibilità di stabilire intese di un qual certo spessore per gli appuntamenti elettorali che di qui a pochi mesi ci troveranno tutti coinvolti in una campagna elettorale che ragionerà forse più sulle soglie di sbarramento che sui problemi concreti della società.

Inutile il richiamo di Paolo Ferrero all’utilità dell’unità e alla gestione unitaria del Partito: "Sono sereno e non ho acrimonia verso il segretario di Rifondazione", dice Vendola aprendo i lavori di Chianciano.
Meno male. Perchè invece, a compensare l’imperturbabilità dichiarata del presidente pugliese arriva il fiele di Piero Sansonetti. Dalle colonne del quotidiano di Vittorio Feltri l’ex direttore di Liberazione ne ha per tutti: dalla Città al Mondo.

Da Ferrero che sarebbe solo un infelice produttore di battute al secolo novecentesco che conterrebbe una sola idea di "comunismo": quella che "ha fatto un errore essenziale: pensare che esistano valori che vengono prima della libertà. Per questo ha fallito". "Fidel Castro? Un dittatore". E, visto che gli argini sono rotti, Sansonetti aggiunge pure il carico da undici: "A partire da Hitler, sono contro tutte le dittature, fin da bambino".
Confessa solo una debolezza: essere stato simpatizzante di Mao Tse Tung: una colpa che redime oggi aderendo al movimento di Nichi Vendola e candidandosi con una lista civica a sindaco di Bologna. Almeno questa è la sua disponibilità. L’ex direttore di Liberazione lascia ovviamente tutta la libertà al movimento vendoliano di decidere in merito.

Per tutti i compagni e le compagne di Chianciano è l’ "addio al grande sogno", a quel sogno di cambiamento radicale della società che univa libertà ed uguaglianza nel nome di un superamento del capitalismo che traghettasse gli uomini e le donne verso una società senza profitto. Loro dicono di credere in questa prospettiva, di volerla attuare: ma nel pragmatico odierno delle cose ammiccano a chi non vuole superare un bel niente, ma al massimo mitigare gli effetti nefasti del liberismo e dell’anarchia dei mercati, provando ad individuare una sostenibilità per la precarietà e per tutte le forme di trasformazione del lavoro in para-schiavismo moderno.

Far apparire tutto il resto un pezzo di incrostazione del passato, un insieme di adoratori feticisti di simbologie e nomi è facile. Davvero molto facile. Lo è proprio nel momento in cui si dice che chi vuole ancora coniugare insieme la "rifondazione" e il "comunismo" è solo uno che ha un torcicollo storico, che si volta indietro e non guarda ad Obama, non guarda al fallimento della sinistra, non guarda alle potenzialità che ha.
E, invece, ancora una volta, siamo davanti ad una separazione fatta sulla base di una non condivisione della linea politica di un partito. Se Vendola avesse vinto il congresso di Chianciano nel luglio scorso, avrebbe utilizzato lo stesso metodo che ha adoperato per convincere molti compagni e molte compagne a votare per la mozione 2 dicendo di "andare oltre Rifondazione" senza volerla sciogliere. Un ossimoro mai detto prima del congresso. E se, presentando il documento nei congressi di circolo si criticava questo aspetto, ci è sempre stata gettata addosso l’accusa di voler mistificare le volontà, di voler precorrere i tempi, di voler fare un processo alle intenzioni.

Come si può ben vedere, non erano intenzioni, ma precise, programmate e definite strade già costruite e pronte per essere solcate con tutta Rifondazione Comunista portata al suo scioglimento lento e indolore, mediante le parole mezze dette, infarcite di qualche calambour poetico, con giochi di parole che solo dopo la sconfitta congressuale si sono trasformati in quello che erano: velature verbali che nascondevano tutto il contrario di quello che esprimevano.

Gramsci diceva che fare politica vuol dire mettersi dalla parte della verità che "è rivoluzionaria". E’ vero. E’ proprio rivoluzionaria, perchè scuote le coscienze e dice pane al pane e vino al vino. Ma se Vendola e compagni avessero detto nei congressi di circolo che il loro intento era quello di portare il PRC alla fusione con Sinistra democratica, con una parte dei Verdi e con una microparticella del PdCI, avrebbero ottenuto quel 47% dei voti che si è registrato (anche grazie a un tesseramento molto libertino e per niente aderente alle regole democratiche stabilite dallo Statuto)? No. Avrebbero avuto molte percentuali in meno. Perchè si può condividere o meno la linea politica dell’attuale maggioranza del Partito della Rifondazione Comunista, ma chiederne il superamento, lo scioglimento lenito da dorate pillole parolaie, da anaestesie di concetti alti fatti di promesse di unità invicibile della sinistra di nuovo modello, avrebbe frenato moltissimi compagni e moltissime compagne.

Ed anche con questi trucchetti, il congresso ha definito una linea che è frutto di una sintesi tra posizioni diverse che si sono riconosciute in un documento finale che, tuttoggi, è alla base dell’agire politico e sociale del PRC: ricostruire, rafforzare e riposizionare nella società Rifondazione Comunista. Un partito che, lo si voglia o meno, resta tra i piccoli quello più radicato, più forte e capace di costruire mobilitazioni sui territori.
Le molte iniziative di queste settimane per Gaza hanno preso il via, in molte città, per iniziativa di Rifondazione e hanno visto il nostro Partito non proiettato alla direzione di queste manifestazioni di solidarietà con i palestinesi, ma ad assumere un ruolo paritetico con tutti coloro che hanno costruito momenti unitari di protesta per le azioni di guerra di Israele nella Striscia.

E’ stato poi detto che uno dei motivi della scissione di Vendola - lo stesso presidente pugliese lo ha affermato a Chianciano ieri - risiede nella sostituzione del direttore di Liberazione: Dino Greco al posto di Piero Sansonetti. Sono piovute accuse di stalinismo contro il segretario nazionale, contro gli stessi compagni della Direzione nazionale. "Volete fare di Liberazione una ’Pravda’, un bollettino di Partito". Chi ha letto e legge Liberazione in questi giorni può tranquillamente constatare che l’unica differenza tra la direzione Sansonetti e quella di Greco sta nel proporre ai lettori la linea politica di Rifondazione Comunista. Mentre Sansonetti aveva trasformato il quotidiano del PRC in quello che oggi potremmo definire il quotidiano di "Rifondazione per la Sinistra".
Credo, per chiudere queste riflessioni, che non anche noi, che rimaniamo e che vogliamo fare sempre più forte Rifondazione Comunista, dovremmo assumere un atteggiamento lontano da qualunque vizio competitivo con il movimento di Vendola, allontanando da noi odii e rancori, delusioni e incomprensioni.

Viviamo, ormai, in due progetti politici differenti. Prendiamone atto. Noi comunisti scegliamo di continuare a rifondare una pratica politica e sociale che, permettetemi di dirlo, non sceglie le fughe socialdemocratiche che intravedono in D’Alema il salvatore della sinistra, e non sceglie la socialdemocrazia come suo orizzonte identificativo e culturale su cui far poggiare le proprie azioni. Scegliamo il comunismo, ancora una volta, come "movimento reale che abolisce lo stato di cose presente". E che sia riconducibile alle sole esperienze del ’900, beh... è questa una visione che risente di una mancanza di fiducia nella forza libertaria e liberatrice propria non delle utopie, ma delle straordinarie imprese, quelle difficili da farsi, da concretizzare.

In fondo, Vendola non inventa nulla di nuovo. Non scopre alcuna ricetta magica di ricomposizione della sinistra e di una sua resurrezione. Non c’è nessuna araba fenice pronta a riemergere dalle proprie ceneri.
E’ una scelta politica con tanto di aggettivi: non esiste nessun percorso di costruzione di un movimento o di un partito che possa definirsi "senza aggettivi", privo di una specificità connotativa. Alla fine qualcosa si è, oltre che di sinistra. Grazie a Rina Gagliardi per averlo, finalmente, ben espresso.