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Verso il 13 febbraio. I comunisti per la ricostruzione di un sindacato di classe
Publie le giovedì 1 gennaio 2009 par Open-PublishingVerso il 13 febbraio. I comunisti per la ricostruzione di un sindacato di classe
di Leonardo Masella, Direzione nazionale Prc
Come è ormai evidente, la crisi economica internazionale e strutturale del sistema capitalistico sta precipitando su di una situazione del nostro paese che era già da tempo drammatica. I pannicelli caldi che il governo di destra e la pseudo-opposizione del Pd si apprestano a varare non riusciranno a costituire nessun argine allo tsunami sociale in arrivo. La speranza di lavoro che nutrivano masse sempre più grandi di giovani precari - frutto delle precedenti politiche neoliberiste bipartisan fondate sull’ideologia della flessibilità dei lavoratori - si trasformerà presto in disoccupazione cronica e disperata, così come le ondate di licenziamenti alimenteranno masse di nuovi precari e disoccupati.
I salari e le pensioni, che già non permettevano di arrivare alla quarta settimana del mese, subiranno - senza alcuna difesa automatica del potere d’acquisto - un’ulteriore drastica erosione sotto la spinta inflattiva proveniente dagli Usa. La povertà che già lambiva il lavoro dipendente si diffonderà a macchia d’olio, colpendo persino le classi medie rovinate dai mutui e dal crollo delle piccole rendite finanziarie. Aumenterà la paura e il ricatto per chi lavora, alimentando il supersfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici, già esistente da anni, con ritmi e turni di lavoro ancora più deregolati e massacranti, con un aumento dell’orario di lavoro, degli straordinari, degli omicidi sul lavoro, delle malattie professionali, degli stress psico-fisici. Cresceranno i rischi di guerre fra poveri, di tutti contro tutti, fra garantiti (chi?) e non garantiti, fra disoccupati e precari, autoctoni e immigrati, lavoratori pubblici e privati, eccetera. Questa è purtroppo la realtà, non una fosca previsione.
Ovviamente c‘è sempre, per fortuna, un rovescio della medaglia. Il massacro sociale può portare alla radicalizzazione del conflitto sociale, alla ripresa della forza dei comunisti e della sinistra, al rilancio della lotta di classe, unico modo - fra l’altro - per contrastare sia la guerra fra poveri che l’egemonia politica e culturale della destra padronale, leghista e fascista sulla società. Il responsabile della crisi, e dunque l’avversario da combattere, non è all’interno della classe e del blocco sociale potenzialmente antagonista, ma è il grande padronato, la confindustria, le banche, il sistema capitalistico (fondato sulla centralità del profitto privato e non sul benessere collettivo) e i governi, gli Stati e le strutture internazionali (come la Fmi e la Nato) posti al loro servizio.
In particolare, c’è una grande occasione da cogliere: la radicalizzazione dello scontro sociale può portare, deve portare alla unificazione delle lotte e del sindacalismo non concertativo, per avviare - se non ora quando? - un processo di ricostruzione di un sindacato che sia contemporaneamente conflittuale e di massa. La profondissima crisi economica sta determinando, per la prima volta, le condizioni affinchè questo processo possa passare dalle speranza alla realtà, dalle parole ai fatti.
Il fatto che il nuovo e grande movimento degli studenti si sia intrecciato con la ripresa delle lotte dei lavoratori; che lo sciopero del 17 ottobre promosso dai sindacati di base sia andato ben oltre ogni ottimistica previsione, che la Cgil rompa con Cisl e Uil e che lo sciopero generale del 12 dicembre sia stato promosso oltre che dalla Cgil anche dai sindacati di base della Cub, Cobas ed Sdl; che la Fiom e la Funzione Pubblica della Cgil propongano di dare continuità al 12 dicembre con un nuovo sciopero congiunto per il 13 febbraio: sono segnali incoraggianti e inequivocabili di una nuova situazione, imparagonabile ad altre simili del passato (come la mobilitazione cofferatiana e antiberlusconiana per l’articolo 18).
Certo, c’è da sconfiggere ed invertire un processo strategico concertativo che ha coinvolto anche la Cgil almeno dagli accordi del luglio ’92-’93 (che, guarda un po’!, a proposito di salari e precarietà, cancellarono del tutto la scala mobile e introdussero per la prima volta il lavoro in affitto), ma le crisi e le precipitazioni sociali a volte possono di colpo spazzare via processi che appaiono consolidati nel tempo, aprendo nuovi e imprevedibili scenari che i comunisti devono essere pronti a cogliere, se sono dei rivoluzionari.
Questo è oggi, io credo, il principale obbiettivo unitario, di lotta comune, di tutte le comuniste e i comunisti, a partire dal nostro partito che dopo Chianciano ha preso nuovo slancio, in qualunque formazione politica e sindacale siano collocati: spalla a spalla nelle lotte, operare per fare avanzare rapidamente, ma con grande pazienza e spirito unitario e costruttivo, questo processo di ricostruzione di un grande sindacato di classe, strumento che è oggi non solo assolutamente indispensabile per fronteggiare la gravissima crisi economica, ma anche oggettivamente possibile.
In particolare, è necessaria e auspicabile una più stretta collaborazione fra i lavoratori più attivi e i delegati sindacali che fanno riferimento al Prc, al Pdci, ad altre formazioni comuniste e di sinistra alternativa, iscritti alla Cgil, alla Rdb, ai Cobas o ad altre organizzazioni sindacali, per favorire questo processo unitario e per raggiungere questo importantissimo obiettivo. Ecco la più grande utilità sociale che possono avere oggi i comunisti nella nuova situazione che si sta determinando con la crisi economica.