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Vi spiego perché ci siamo ribellate ma non siamo state capite
Publie le martedì 18 dicembre 2007 par Open-PublishingLe contestazioni alla due giorni di femministe, gay, lesbiche e trans:
la richiesta di un processo aperto, partecipato, e non calato dall’alto
di Angela Azzaro
Sabato e domenica c’ero pure io agli Stati generali in un modo che a
molti e molte ha dato fastidio, molti altri li ha lasciati indifferenti,
diversi - spero - li ha incuriositi comunicando dubbi e una domanda di
cambiamento. Insieme ad altre donne, molte delle quali della Rete
femminista della Sinistra europea, del Forum donne del Prc, e a uomini e
donne del Nodo Glbtq, sempre della Sinistra europea, abbiamo provato a
porre in discussione, al pari dei contenuti della nascente formazione
politica, la questione delle pratiche e della partecipazione alle
decisioni. Non era questo uno dei punti focali anche per Rifondazione
comunista almeno da Genova in poi?
Il primo giorno abbiamo deciso di irrompere nei saluti iniziali,
leggendo dal palco una lettera che diceva sostanzialmente tre cose:
vogliamo una Sinistra che riconosca la critica al potere degli uomini
sulle donne al pari della critica al capitalismo; vogliamo che
femministe, lesbiche, gay e trans non siano trattati come minoranze, ma
come soggetti centrali del cambiamento; vogliamo un percorso di
costruzione che non avvenga tra leader (maschi) di partito, nelle stanze
chiuse, ma che sia davvero il frutto del coinvolgimento dei soggetti
incarnati e dei movimenti che questi hanno costruito.
Non solo lo abbiamo detto, ma lo abbiamo anche praticato dando subito un
segnale. Siamo infatti intervenute nella costruzione della giornata,
secondo noi troppo rigida e decisa in altre sedi. Invece di andare in
uno dei vari workshop abbiamo pensato di “occupare” quello sui Diritti
civili, libertà, laicità, trasformandolo in un’assemblea aperta senza
coordinatori e relatori. Titti De Simone e Giampaolo Silvestri che
avrebbero dovuto moderare i lavori hanno appoggiato la nostra decisione,
intervenendo in seguito come tutti gli altri e tutte le altre durante il
dibattito. Lo stesso sostegno è venuto dai relatori.
Il passaggio dalla struttura prevista all’autogestione non è stato
facile. C’è stato un momento di confusione in cui alcune e alcuni hanno
criticato la nostra decisione, considerandola un’imposizione, altri e
altre hanno avuto difficoltà ad entrare nello spirito dell’assemblea.
Per un momento, scoraggiate, abbiamo pensato di andare da un’altra
parte, ma dopo il conflitto iniziale il dibattito è diventato davvero
tale, con un livello di coinvolgimento e di proposte molto alto. Sarebbe
successo lo stesso se il workshop fosse rimasto inalterato? Penso di no
e lo hanno pensato anche diverse persone che sono venute a riferirci che
la nostra assemblea era molto viva, molto partecipata.
La domenica la situazione si è ingarbugliata e ha creato molti più
malumori, da una parte (gli organizzatori dell’evento) e dall’altra
(noi). Prima che iniziassero gli interventi siamo salite sul palco e
abbiamo letto un breve comunicato in cui chiedevamo di passare dalle
relazioni già decise a un dibattito aperto, senza presidenza, insomma
senza distanza tra gruppi dirigenti seduti in prima fila o schierati sul
palco e uomini e donne della Sinistra. La nostra non era una richiesta
di intervento tardiva o una recriminazione perché non eravamo state
contattate. Gli organizzatori ci avevano offerto di parlare, ma noi
avevamo rifiutato. La questione posta è un’altra: segnalare con il
rifiuto di intervento la crisi della rappresentanza (chi rappresenta chi
e cosa?) e riformulare la domanda di un processo aperto chiedendo di
passare all’assemblea.
Silenzio. Anzi no. Perché due interventi, di due donne, dal palco ci
hanno accusato di essere arcaiche, vecchie. Ma ad aver irritato
ulteriormente gli animi è stata l’indifferenza. Anita Sonego, che aveva
letto insieme a Saverio Aversa e Monica Pepe il primo comunicato, ha
tentato di risalire sul palco con altre donne e alcuni esponenti del
Nodo Gay, lesbico e transessuale. Siamo state bloccate. Si voleva
sottolineare l’assenza di attenzione, riporre la domanda e poi andare
via. Siamo andate via subito, dopo essere state accusate di essere
«disoneste» e di aver compiuto un gesto che a molti e molte è sembrato
«liturgico», «dogmatico», «ridicolo», forse anche «patetico».
Sicuramente è stato un gesto che non è stato capito, ma che io difendo
nonostante mi interroghi ancora su quelle due giornate.
Personalmente sono convinta che la Sinistra si debba fare subito, in
fretta. Che anzi andasse fatta ieri, l’altro ieri. E’ per questa ragione
che io, come molte altre, sabato e domenica c’eravamo. Non per
distruggere, ma per costruire. Per dire siamo qua, siamo disponibili a
farla, ma non a prescindere dalle nostre domande, dalle nostre storie e
anche dal conflitto che vogliamo esercitare. Si possono dire molte cose
sulle nostre pratiche messe in atto agli Stati generali, ma credo che
prima di tutto ci siano due questioni di fondo che vadano, se non
risolte, tematizzate. La prima questione nasce dall’esito del rapporto
con gli organizzatori e dalla freddezza sia della platea sia della
presidenza nei nostri confronti: c’è spazio nella Sinistra per il
conflitto esercitato da femministe, lesbiche, gay e trans o, come
suggeriva tempo fa Ida Domijanni, dobbiamo forse praticare l’esodo? La
seconda questione riguarda i contenuti: fino a che punto la nuova
formazione politica sarà in grado di recepire la domanda di cambiamento
che questi soggetti pongono? Su questo punto aspettiamo risposte, sulla
prima domanda invece posso dire che molte di noi ci vogliono ancora
provare. Ci vogliono essere. Ma non chiedetemi, non chiedeteci, di
abbassare il tiro.
Liberazione 11 dicembre 2007