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Vincenzo Ruggiero, Crimini dell’immaginazione. Devianza e letteratura, Il Saggiatore, Milano 2005, pp. 253, € 17,00.
Crimini dell’immaginazione non è un testo di critica letteraria, bensì un libro scritto da un sociologo che legge la letteratura classica sociologicamente, forte della convinzione che la finzione possa essere più importante della sociologia, in quanto «la finzione possiede la parola e la parola conquista le idee». Dopo una serie di conferenze e articoli in cui Ruggiero ha fatto ricorso a testi letterari e artistici al fine di spiegare determinati concetti sociologici, si è sviluppata in lui l’idea di stendere tale testo. Precedentemete l’autore aveva, ad esempio, fatto ricorso alle stampe di Giovan Battista Piranesi, alle sue “prigioni della mente", per spiegare l’essenza immateriale del carcere contemporaneo, oppure ad alcuni scritti di Daniel Defoe per ragionare sulla differenza tra “affari appropriati” e “affari non appropriati” e sulla “legittimità morale” degli affari.
Tali precedenti hanno dunque indotto l’autore a rintracciare alcuni classici della letteratura per ragionare sulle principali questioni concernenti criminalità e controllo sociale, nella convinzione che l’immaginazione letteraria possa davvero fornire contenuti essenziali all’argomentazione razionale.
Il saggio, pubblicato originariamente in lingua inglese (Crime in Literature. Sociology of Deviance and Fiction, Verso London 2004), inizia con l’analisi dei Demoni di Dostoevskij e dell’opera, da questa derivata, I giusti di Camus. Nel primo caso viene proposto un parallelismo tra i concetti interpretativi del crimine esposti nel romanzo e le teorie della scuola positiva in criminologia. Nei Demoni il crimine è associato, oltre che all’abbandono della cristianità, all’insania morale e all’epilessia proprio come nelle argomentazioni lombrosiane, ma altrettanto interessante è l’analogia, individuata dall’autore, con le teorie durkheimiane, relativamente alle condizioni collettive anomiche. Ruggiero sostiene che sarebbe comunque improprio vedere nella trattazione della violenza politica proposta dal romanzo di Dostoevskij un passaggio dalla scuola positiva alle teorie anomiche, meglio individuarvi un cambiamento di filosofia politica forte di un recupero religioso e di una condanna senza sconti della “marmaglia inquieta” e dei suoi “leader liberali”. Nel caso di Camus la violenza politica viene presentata come risultato di conflitti culturali e materiali tra gruppi sociali, pertanto il criminologo ha modo di introdurre concetti proposti dalla teoria del conflitto. Nel confrontarsi con un corpus legislativo favorevole al potere, i “giusti” sono “costretti” all’illegalità. Soltanto la vittoria potrà trasformare i criminali in dirigenti del nuovo ordine. Camus differenzia chiaramente quei conflitti politici ispirati da un senso storico (ove sarà la storia a legittimare la moralità dell’agire dei vincitori) da quelli imperniati attorno a nozioni di umanità (rivolte in cui ci si interroga sui mezzi con cui perseguire la giustizia sociale al fine da non contraddirne gli ideali di partenza). I “giusti” sembrerebbero oscillare tra queste due impostazioni e Ruggiero giunge, sul finire del primo capitolo, ad esplicitare il nocciolo del problema: le ribellioni dovranno ricorrere alla giustificazione dell’assassinio universale o, evitando di pretendere un’impossibile innocenza, saranno in grado di individuare i principi di una colpevolezza ragionevole? Tale questione viene per certi versi ripresa dall’autore nel suo La violenza politica (2006), già recensito su Carmilla.
L’analisi di Rinconete e Cortadillo di Cervantes, L’opera del mendicante di John Gay e L’opera da tre soldi di Brecht, parte dalla constatazione di come i tre autori siano accomunati da una corretta distinzione tra criminalità professionale e criminalità organizzata. In tali opere risultano individuabili gli intrecci e le tensioni che si vengono a creare tra le due forme di illegalità. La criminologia propone diverse definizioni di crimine organizzato: alcuni studiosi lo individuano su base qualitativa (grado di professionalità di chi ne fa parte), altri su base quantitativa (il numero di individui coinvolti), altri ancora preferiscono far riferimento alla dimensione temporale (continuità dell’attività). Nel caso delle opere di Cervantes, Gay e Brecht, oltre a venir messa in luce la conflittualità tra criminalità professionale e criminalità organizzata, viene sottolineata la specifica divisione del lavoro come tratto distintivo della criminalità organizzata.
L’episodio di Cervantes (tratto dalle Novelle esemplari) narra di due malavitosi professionisti che si trovano a fare i conti con una struttura malavitosa organizzata strettamente gerarchica. La novella fornisce una ricostruzione di questa “fratellanza malavitosa” che, oltre ad organizzare capillarmente il crimine e mantenere legami di complicità con poliziotti-informatori, difensori e persino boia, si attiva anche in funzioni punitive a richiesta, esercitando, in definitiva, un ruolo vicario di tutela dell’ordine. L’attrattiva esercitata tra i delinquenti dall’organizzazione criminale pare dovuta alla stabilità di lavoro e reddito che questa è in grado di garantire agli affiliati: è la sicurezza economica e sociale che sembra attrarre i malavitosi all’interno della fratellanza più ancora che la sua capacità di rappresaglia. Nonostante questo i protagonisti della novella rinunciano ad affiliarsi alla malavita organizzata preferendo agire, da professionisti, in proprio. Ruggiero segnala come la funzione dell’organizzazione strutturata descritta da Cervantes sembri sopperire alle carenze del potere istituzionale nella regolazione dei conflitti e nella gestione dell’uso della violenza in maniera diversa dalle organizzazioni criminali contemporanee.
L’opera del mendicante di John Gay è analizzata in quanto offre un quadro dei legami tra crimine organizzato ed apparati ufficiali nei sobborghi londinesi in cui, senza tali relazioni, le autorità hanno difficoltà nel mantenimento dell’ordine pubblico. A partire dai primi del Settecento la legislazione inglese premia economicamente gli informatori, creando così un vero e proprio esercito di cacciatori di criminali al soldo delle autorità che così governano la società attraverso criminali che denunciano propri colleghi. Ruggiero segnala come nell’opera di Gay gli stessi criminali percepiscano la diffusione in tutti gli strati sociali delle ruberie, tanto da trovare ingiusto che la legge finisca per rifarsi solo su di loro non perseguendo i reati compiuti dagli appartenenti agli strati più agiati. Ruggiero nota come, in alcuni passaggi del romanzo, i criminali si rifacciano palesemente al pensiero filosofico liberale nel loro reclamare l’appartenenza delle risorse a chi è in grado di convertirle in “ricchezza dinamica”. Sul finire dell’opera di Gay, le parole di un mendicante segnalano come risulti difficile dire se sia la condotta degli “uomini di rango” ad imitare la “feccia di strada” o viceversa. Le descrizioni di Cervantes e di Gay circa la conflittualità tra criminali indipendenti ed organizzazioni gerarchiche che tentano costantemente di trasformare il criminale professionista in un loro dipendente, permettono a Ruggiero di evidenziare come la criminalità professionale si configuri secondo una divisione tecnica del lavoro (ruoli determinati dalle capacità dei singoli), mentre la criminalità organizzata rimandi piuttosto ad una divisione sociale del lavoro (benefici in base al ruolo con progettazione ed esecuzione rigidamente separate), dunque a rapporti di cooperazione astratti di tipo “fordista”. Nell’Opera da tre soldi di Brecht si insiste, oltre che sui legami tra attività criminale e mondo lecito degli affari, sul fatto che ogni tipo di imprenditorialità tende a violare delle leggi: ciò che varia è soltanto il grado di razionalizzazione e di raffinatezza.
All’analisi di Paradisi artificiali di Baudelaire e di Memorie di un bevitore di Jack London, Ruggiero abbina una valutazione critica del concetto di “astensionismo” in sociologia della devianza. Nelle opere letterarie, ed in generale artistiche, sono varie le motivazioni rintracciabili circa il ricorso a sostanze psicotrope: dalla ricerca di aprire nuovi orizzonti alla fuga da una realtà noiosa od ostile, dalla ricerca di un piacere supplementare al limitare uno stato doloroso ecc. Nel corso dell’Ottocento ..........
LA (LUNGA) RECENSIONE E’ DISPONIBILE ONLINE A QUESTI INDIRIZZI:
PRIMA PARTE:
www.carmillaonline.com/archives/2006/12/002077.html#002077
SECONDA PARTE:
www.carmillaonline.com/archives/2006/12/002079.html#002079