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Vuoi la sicurezza? E io ti Licenzio!!! - Cosa succede all’Alfa di Arese?

Publie le martedì 24 aprile 2007 par Open-Publishing
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Vuoi sicurezza? E io ti licenzio». Giuseppe racconta il suo calvario

di Alessandro Antonelli

su Liberazione del 22/04/2007

Operaio e delegato Fiom. Dal padrone anche minacce di morte

«Come si fa, come faccio a dire ai miei figli: tuo papà è stato licenziato perché faceva il suo dovere, perché è una persona onesta, perché ha dignità?». Ai suoi tre figli forse non lo può spiegare, lo capiranno quando saranno un po’ più grandi. Ma a noi sì, a noi lo può spiegare. Giuseppe Derosa, 44 anni, delegato Fiom e operaio alla "Sai Sali" di Margherita Di Savoia, in provincia di Foggia, può spiegare come il licenziamento sia solo l’ultima percossa in un calvario fatto di ricatti, ritorsioni, umiliazioni, vessazioni, calci e pugni e minacce di morte. Il motivo? Fare bene, troppo bene, il proprio lavoro. Di operaio, certo, ma soprattutto di sindacalista. Chiedere il rispetto del contratto e ancor di più delle condizioni di sicurezza nella fabbrica che pesca nella grande salina del tavoliere pugliese: macchinari obsoleti, cinghie senza protezione, impalcature senza parapetto, impianti elettrici non a norma, pilastri pericolanti, amianto sui tetti e polveri velenose. Per il "padrone" significano soldi da spendere, investimenti onerosi. Rogne. E allora Giuseppe è meglio che stia zitto, bisogna fargliela pagare. La trappola scatta dieci giorni fa: l’azienda lo mette prima in ferie forzate senza però firmare nessuna carta. Quando Derosa rientra a lavoro il capo gli dice: «Dove sei stato?». Assenza ingiustificata. Licenziamento.
Ma è solo la punta dell’iceberg. Antonio Piazzolla, il titolare della ditta, ci aveva già provato nel 2004, ma poi si è riusciti a trovare un accordo e il licenziamento è rientrato. Il fatto è che il superiore non ha mai digerito quell’ostinata battaglia di Giuseppe per i diritti dei lavoratori e per la sicurezza delle loro vite, che fino ad ora gli è costata decine di denunce civili e penali, una condanna per comportamento antisindacale, le prescrizioni dell’Asl che lo obbligano a mettere mano al portafogli e rinnovare gli impianti. E dodici cause pendenti. Tra le altre cose, a maggio dovrà rispondere davanti al giudice di pace di ingiuria e minacce. Nell’atto di citazione i testimoni riferiscono che Piazzolla avrebbe pronunciato all’indirizzo del delegato Fiom le seguenti parole: «Figlio di puttana, io compro te, tutta la tua famiglia e tutti i giudici che chiami». E poi l’intimidazione: «Se non ritiri la querela ti rovino. Io ho i soldi per farti saltare il cervello, mi costi 500 euro».
Sembra l’America del peggiore maccartismo. E invece siamo in Italia, anno domini 2007. In una fabbrica che produce sali alimentari e industriali. Il sale, simbolo di saggezza, icona di prosperità per sacciare il malocchio. Ma in questa storia non c’è buon senso e non c’è fortuna.
I guai di Giuseppe Derosa iniziano cinque anni fa, quando decide di portare il sindacato in azienda per far rispettare gli obblighi contrattuali. Il segretario della Fiom di Foggia Antonio Ladaga riferisce che fino a quel momento i lavoratori erano «quasi in nero, sottopagati, senza retribuzioni e pagamenti di straordinari». E allora Derosa comincia a dare "fastidio". «Sono stato promotore di un primo sciopero per il licenziamento di un collega - racconta - e mi è costato tanto. Per tutta risposta l’azienda per umiliarmi mi ha tolto dal mio reparto di officina e mi ha spostato al reparto essiccamenti, quello più semplice. Il messaggio era chiaro: il primo che parla lo demansiono».
Il primo affronto, dunque, è il mobbing. Ma le cose iniziano a prendere una brutta piega quando Giuseppe viene eletto Rsu e Rls, responsabile alla sicurezza dei lavoratori. A quel punto avvia richieste all’azienda per mettere a norma gli impianti, bonificare l’ambiente di lavoro e innovare i macchinari consumati dall’erosione del sale: «Ho iniziato a fare istanze prima verbalmente, poi per iscritto. Lui non ne voleva sapere e io lo ho avvertito che sarei stato obbligato a rivolgermi agli organi competenti». Fino a quando nel 2004 un operaio di una ditta esterna che lavorava in fabbrica cade dal tetto, da un altezza di sei metri, e per poco non ci rimette la pelle. Scattano le denunce e arrivano le prime sanzioni della Asl. Bisogna mettersi in regola, investire quattrini. Il padrone, racconta Giuseppe, se ne frega, fa orecchie da mercante. Anzi passa al contrattacco, addita i sindacalisti come nemici dell’azienda e degli operai, cerca di dividere i lavoratori. Li ricatta. Dice che se lui è costretto a cacciare tutti quei soldi per rinnovare gli impianti si chiude baracca e saltano i posti di lavoro. «Ha persino creato un sindacato di comodo - confida Antonio Ladaga - con due galoppini a sostenere le ragioni del padrone». Un pressing asfissiante che produce una prima grave conseguenza: due operai, anche loro iscritti alla Cgil, non ce la fanno più, sono costretti ad abbandonare il posto. Nella lettera di dimissioni uno di loro scrive: «Gli atteggiamenti vessatori, ossessivi, persecutori, denigratori e discriminatori non consentono la prosecuzione del rapporto di lavoro in modo sereno e civile». Un altro racconta di aver subito «il crollo dell’equilibrio psico-fisico».
Ma Giuseppe no. Con Giuseppe il trucco non funziona. Con lui servono le maniere forti. E allora un bel giorno il fratello di un dipendente si presenta in fabbrica e lo gonfia di botte. Derosa finisce in ospedale e per tutta risposta si vede comminare un provvedimento disciplinare e una citazione per danni di immagine dall’azienda. Ma intanto non molla, marca stretto il titolare della fabbrica, sulle spalle di Piazzolla continuano a piovere denunce e alla fine arriva la sentenza del Tribunale di Foggia che lo condanna per attività antisindacale.
E’ vero, Giuseppe è una persone determinata, coriacea, sanguigna. Ma a furia di portare pesi, si sa, la schiena si spezza. E ora che il posto di lavoro non ce l’ha più, ora che ogni mese deve staccare un assegno di 3-400 euro per pagare gli avvocati, lo sconforto rischia di prendere il sopravvento. «Non so come andare avanti. Ho tre figli, tutti e tre che vanno a scuola, mia moglie è disoccupata. Cosa devo fare, tentare il suicidio?». E nella disperazione si insinua il ricatto dell’azienda: se ritratti tutto, rientri a lavoro. «Se le cose stanno così il contratto nazionale cosa lo discutiamo a fare?» si infuria il segretario Ladaga.
Ma Giuseppe è un uomo integerrimo. Piuttosto che cedere alle ritorsioni è pronto a compiere «gesti eclatanti». Ha digiunato per quattro giorni, ha occupato la sala consiliare del comune di Santa Margherita, ha chiesto incontri col sindaco e col prefetto e in queste ore - per fortuna - sta ottenendo la solidarietà di molti. Mercoledì i colleghi hanno scioperato in blocco, alla Sai Sali non si è presentato nessuno, ma Piazzolla è riuscito a dire che quella protesta è stata un fallimento.
Molti, si diceva, ma non abbastanza, visto che non si riesce ancora «a scardinare questa persona dal suo posto di comando». E Giuseppe pronuncia quella parola che non avremmo voluto sentire mai: mafia. «La mafia non sta solo in Sicilia, in Calabria o in Campania. La mafia sta in tutto il meridione e questa è peggiore dell’altra, questa è lenta, ammazza le persone nell’anima, le costringe a camminare con la testa bassa».

ALFA ROMEO di Arese:

Dopo l’assoluzione per il blocco della Stazione Centrale

MANIFESTAZIONE ALFA NEL 2002 A MALPENSA:
“Assolti perché il fatto non sussiste”

Il Tribunale di Gallarate ha oggi assolto Vincenzo Lilliu, coordinatore
provinciale e delegato dello Slai Cobas, e Renzo Canavesi, che allora
era ancora all’Alfa, processati per la manifestazione del novembre 2002
alla Malpensa organizzata dai lavoratori di Arese contro la messa in
cassa integrazione di oltre 1.000 lavoratori dell’Alfa.
I due lavoratori erano accusati di resistenza e minacce a pubblico
ufficiale nel corso di una manifestazione all’aeroporto alla quale
parteciparono centinaia di lavoratori di Arese.

Questa assoluzione, che apprendiamo con soddisfazione, fa seguito alla
assoluzione di altri 5 delegati dello Slai Cobas avvenuta pochi mesi fa
al Tribunale di Milano per una manifestazione dell’Alfa, sempre nel
2003, alla stazione centrale di Milano.

MA ORA COSA STA SUCCEDENDO AD ARESE?

Oggi, dopo 5 anni di lotte ininterrotte dei cassintegrati e con
padroni, Fiat e istituzioni che hanno preso in giro i lavoratori di
Arese invece di onorare gli impegni presi, è stato dato il via a nuove
operazioni poliziesche e giudiziarie contro i lavoratori:

34 comunicazioni giudiziarie
per i presidi alle portinerie
e
300.000 euro di multa
per un “blocco stradale”

Tutti i delegati dello Slai Cobas dell’Alfa Romeo di Arese e alcune
decine di cassintegrati (per ora 34) hanno ricevuto in questi giorni una
comunicazione giudiziaria per i presidi fatti due mesi fa alle
portinerie della Pesa, sull’area di proprietà degli americani dell’Aig
Lincoln.
I presidi sono stati effettuati dai cassintegrati perché, dopo più di 4
anni dagli accordi sindacali del febbraio 2003 che prevedevano la
ricollocazione di almeno 550 lavoratori, i cassintegrati sono ancora
sulla strada.

La comunicazione giudiziaria è stata consegnata in modo plateale al
domicilio di ciascun lavoratore da alcuni agenti della polizia e della
Digos.

A tutti questi lavoratori sta anche arrivando un verbale della questura
che contesta una multa da 2.582 a 10.329 euro a testa per il blocco di
mezz’ora, il 13 aprile scorso, della stradina che costeggia l’Alfa
Romeo.
Il 6 aprile due delegati dello Slai Cobas sono stati aggrediti in modo
inaudito da un paramilitare messo dall’Aig Lincoln di guardia alla
portineria est dell’Alfa; e per protesta dieci giorni fa lo Slai Cobas
ha proclamato uno sciopero di 4 ore con presidio dalle ore 6.00 del
mattino delle tre portinerie di tutto il sito di Arese, sciopero
riuscito con una partecipazione del 100% anche dei 1.000 lavoratori
della Fiat e delle aziende collegate. Alle ore 9.30 la polizia aveva
caricato i cassintegrati per far entrare un camion, sgombrando proprio
la portineria est ove sta sempre “lavorando” l’aggressore paramilitare.
Per protesta tutti i cassintegrati hanno fatto un sit in di mezz’ora
sulla strada di fianco all’Alfa, e ora –a tempo di record- stanno
arrivando multe di centinaia di migliaia di euro per questo “blocco”
stradale.

Dopo l’aggressione del 6 aprile lo Slai Cobas aveva presentato denunce
ai CC e alla Procura e chiesto un incontro urgente a Questore e Prefetto
di Milano, inviando la richiesta per conoscenza a parlamentari,
consiglieri regionali e comunali, ma per tutta risposta sono arrivate le
cariche della polizia, le comunicazioni giudiziarie e le mega multe ai
cassintegrati i quali, ricordiamolo, prendono 470 euro per 12 mensilità
all’anno.

Il 18 febbraio 2003 Fim-Fiom-Uilm-Cub e Slai Cobas hanno firmato un
accordo con i proprietari dell’area di Arese per ricollocare tutti i
cassintegrati. Garante dell’accordo era la Regione, nella cui sede si è
firmato l’accordo stesso alla presenza dell’assessore Cattaneo, e tra i
firmatari c’erano anche alcuni attuali parlamentari come Maurizio
Zipponi, allora segretario Fiom di Milano, e Giorgio Roilo, allora
segretario Cgil di Milano, e alcuni consiglieri regionali come Maria
Grazia Fabrizio, allora segretaria della Cisl di Milano.
Questo accordo è poi stato fatto proprio da Regione, Provincia, Comuni,
Sviluppo Italia e Governo con il progetto del Polo della mobilità
sostenibile e dell’auto ecologica.

In questi anni l’unica cosa che è stata realizzata è stata la presa in
giro dei cassintegrati da parte di tutti Lorsignori.

Ora ad Arese
1. non c’è neanche l’ombra del Polo della mobilità sostenibile e
dell’auto ecologica;
2. nell’area degli americani dell’Aig Lincoln si sono insediate diverse
aziende ma, su 1.000 lavoratori, solo 70 sono ex cassintegrati dell’Alfa
assunti a tempo indeterminato e con contratto metalmeccanico; tutti gli
altri sono precari e cooperative a sotto salario e senza diritti;
3. la Fiat, che 20 anni fa ha avuto in regalo l’Alfa Romeo dallo Stato e
che nel 2000 ha “venduto” tutto all’on. Riccardo Conti, ha oggi meno di
1.000 lavoratori, comprese le società collegate, ma comanda sempre su
tutta l’area nonostante ufficialmente sia in affitto su un solo angolino
dei totali 2milioni e 300mila mq;
4. dal 2000 l’area è “ufficialmente” di proprietà di speculatori, spesso
con sede in Lussemburgo e in altri paradisi fiscali: Gnutti, Fiorani,
Consorte, Brunelli …
5. E le banche, a partire dal Banco di Brescia/Banca Lombarda/Banca
Intesa, sono sempre lì a tirare le fila del malaffare.

I cassintegrati, pur abbandonati da tutti,
stanno continuando la lotta da 5 anni,
hanno fatto svariate denunce alla Procura della Repubblica contro la
TANGENTOPOLI DI ARESE, rimaste finora lettera morta,
rivendicano diritti e posti di lavoro degni di questo nome per loro,
per i loro figli e per i giovani di tutta la zona.

I lavoratori dell’Alfa Romeo non piegano la testa!

Ad Arese vogliamo lavoro e diritti!

Dopo una vita di lotte per l’emancipazione dei lavoratori,
ad Arese pretendiamo diritti e non schiavitù!

Arese, 24-4-2007

Slai Cobas Alfa Romeo

Tel/fax 02.44428529

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