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come gli usa hanno strangolato la libertà di Haiti
Publie le sabato 16 gennaio 2010 par Open-PublishingARISTIDE E HAITI
"Chi mi ha rovesciato ha estirpato il tronco della libertà.
Ricrescerà perché le sue radici sono molte e profonde"
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L’ATTO DI ACCUSA DI ARISTIDE : MI HANNO RAPITO
"Haitiani, ecco come l’America mi ha pugnalato"
"I soldati Usa mi dissero che se non fuggivo ci sarebbe stato un bagno di sangue". "Accettai, ma era un trucco"
"CHI mi ha rovesciato ha estirpato il tronco della libertà. Ricrescerà perché le sue radici sono molte e profonde". Nell’ombra di Touissant l’Ouverture (il padre dell’indipendenza di Haiti ndr), il genio della nostra stirpe, dichiaro che rovesciandomi hanno estirpato l’albero della pace, ma ricrescerà. Cari compatrioti, è con queste prime parole che saluto i fratelli e le sorelle dall’Africa, dal suolo della Repubblica Centroafricana. Durante la notte del 28 febbraio 2004 hanno compiuto un colpo di Stato. Si potrebbe dire che c’è stato un rapimento geo-politico. Posso dire chiaramente che è stato terrorismo travestito da diplomazia. Questo colpo di Stato e questo rapimento sono come due quarti di dollaro e 50 centesimi, fianco a fianco (ndr, cioè la stessa cosa). Ho sempre denunciato l’incombere di un colpo di Stato, ma fino al 27 febbraio, il giorno prima, non avrei mai immaginato che fosse accompagnato da un rapimento.
La notte del 28 febbraio, improvvisamente, militari americani, che stavano già intorno a Port-au-Prince vennero a casa mia a Tabarre per dirmi che gli agenti di sicurezza americani che prestavano servizio presso il governo di Haiti avevano solo due opzioni: tornare subito negli Usa o morire combattendo. Mi dissero che ai 25 agenti americani che avrebbero dovuto arrivare come rinforzo il giorno dopo era stato impedito di partire. Infine aggiunsero che i terroristi haitiani e stranieri disponevano di armi pesanti piazzate per colpire Port-au-Prince. Spiegarono che sarebbero morte migliaia di persone, che sarebbe stato un bagno di sangue. L’attacco era pronto, dissero, una volta partita la prima pallottola nessuno avrebbe più potuto fermare il massacro fino alla conquista della capitale e in ogni caso l’obiettivo era catturare me, vivo o morto. Dissi allora agli americani che la mia prima preoccupazione quella notte era di salvare la vita delle migliaia di persone. In quanto alla mia incolumità, che io fossi vivo o morto non era importante. Più cercavo di usare la diplomazia, più gli americani intensificavano gli sforzi per fare partire l’attacco. Nonostante ciò, mi assunsi il rischio di rallentare la macchina della morte per verificare a che punto arrivassero il bluff e l’intimidazione. Era più serio che un bluff. Il palazzo del governo era circondato da bianchi armati fino ai denti.
L’area di Tabarre - la mia residenza - fu circondata da stranieri armati. L’aeroporto di Port-au-Prince era già sotto il controllo di quegli uomini. Dopo un ultimo confronto con i responsabili della sicurezza haitiana a Port-au-Prince e i responsabili della sicurezza americana, la verità divenne chiara. Stava per scatenarsi un bagno di sangue perché eravamo già sotto una occupazione straniera illegale che era pronta a massacrare e spargere sangue, e poi portarmi via, vivo o morto. La riunione avvenne alle 3 di notte. Di fronte alla tragedia, decisi di chiedere: "Che garanzie ho che non ci sarà un bagno di sangue se me ne vado?". In realtà, tutta quella trattativa diplomatica non significava nulla perché quegli uomini che dirigevano le operazioni del rapimento avevano già dato per scontato il successo della loro missione. Ciò che era stato detto fu fatto. La diplomazia, in aggiunta a una firma estorta alla lettera di dimissioni, non è stata capace di nascondere la realtà del rapimento. Dalla mia casa all’aeroporto, c’erano ovunque militari americani armati con armi pesanti. L’aeroplano americano venuto per prendermi atterrò mentre il convoglio dei veicoli che erano venuti a catturarmi era arrivato sulla pista. Una volta sull’aereo nessuno sapeva dove fossimo diretti. Una volta atterrati nessuno sapeva dove eravamo. Con noi sull’aereo c’era il figliolino di uno dei miei agenti americani della sicurezza che aveva sposato una donna di Haiti. Dovette restare sull’aereo. Aspettammo quattro ore, senza sapere nulla del posto dove eravamo. Poi fummo riportati sull’aereo sempre all’oscuro sulla prossima destinazione.
Fu soltanto venti minuti prima dell’atterraggio nella Repubblica Centroafricana che mi fu detto che quella era la nostra destinazione. Atterrammo alla base militare francese ma fortunatamente c’erano cinque ministri che ci vennero ad accogliere in rappresentanza del presidente. Sappiamo che c’è gente a casa che sta soffrendo, che è uccisa, imprigionata. Ma sappiamo anche che a casa c’è gente che capisce il gioco e non molla perché sa che se mollasse, invece della pace troverebbe la morte. Quindi chiedo a tutti quelli che amano la vita di unirsi per proteggersi l’un l’altro. Chiedo a tutti quelli che non vogliono vedere il sangue spargersi di unirsi in nome della vita e non delle stragi. Tutti sappiano che se saremo solidali riusciremo a fermare il diffondersi della morte e ad aiutare la vita a rifiorire. La stessa cosa accaduta a un presidente democraticamente eletto può accadere in ogni tempo e in ogni paese. Perciò è indispensabile proteggere una democrazia che lavora di concerto con la vita. La costituzione è la fonte di questa vita. E’ la garanzia della vita. Siamo solidali dietro alla costituzione in modo che sia la vita a rivelarsi, che sia la pace a rifiorire e non la morte come invece stiamo vedendo. Coraggio, coraggio, coraggio. Da dove sono, con la First Lady, non abbiamo dimenticato ciò che disse L’Ouverture ed è per questo che salutiamo tutti con le sue parole. Possono tagliare l’albero della libertà col machete del colpo di stato come hanno fatto, ma non possono tagliare le radici della pace. L’albero sboccerà nuovamente perché porta in sé lo spirito di Toussaint.
(Copyright Znet)
Dal sito dell’Anpil.
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Sito no-profit a cura di Alma Giraudo