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il martire Gelmini

Publie le domenica 5 agosto 2007 par Open-Publishing
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 il martire Gelmini -
a cura di Paolo De Gregorio – 4 agosto 2007

Gli amici politici di Don Gelmini, tutti della destra, protestano l’innocenza del loro sodale, citando le incredibili imprese di questo “Nembo Kid” del recupero dei tossici, infangato dalle false accuse di ingrati delinquenti.
Chiaramente nessuno sa come stanno le cose, ma se la magistratura si è mossa, e non lo fa mai a vanvera, oltre la canonica “presunzione di innocenza”, vi è anche una ragionevole presunzione di colpevolezza.
In un paese civile si attenderebbe pazientemente lo svolgersi del dibattimento, e invece, nel perfetto stile della scuola Berlusconiana, si parla già di complotti, si schiera la corazzata professor Franco Coppi (avvocato di Berlusconi e Andreotti), specializzato nel difendere gli “intoccabili” della CASTA, si inondano i media di proprietà della stessa Casta delle innumerevoli opere di amore e carità dell’inquisito, già trasformato in martire e santo.
Vediamo di smitizzare il personaggio.
 In trenta anni di attività della “Comunità Incontro”, da lui fondata, il “nostro” asserisce che gli ospiti sono stati 300.000 e fin qui potremmo anche crederci, anche se la cifra pare gonfiata, ma il Don diventa subito più vago quando si tratta di quantificare gli effettivi recuperi, che sostiene essere di molte migliaia.
Il bello è che questa quantificazione non ha alcun fondamento perché, per poter stabilire una cifra certa, si sarebbe dovuto fare una analisi tossicologica della radice del capello, dopo almeno un anno dalla fine del programma, e così poter essere certi della non ricaduta. Però la Comunità Incontro non ha mai fatto una operazione del genere.
 i giornali (di destra e di sinistra) magnificano il “miracolo” del numero delle Comunità Incontro in Italia e nel mondo, 164 solo in Italia. Non c’è un solo giornalista che si sia premurato di fare una domandina semplice semplice: ma quanti ragazzi ospitano queste 164 strutture? La risposta è meno di 300 persone. E se si confronta la cifra con quelle millantate prima abbiamo un quadro meno esaltante.
 l’8 febbraio 2006 (in piena campagna elettorale) Don Gelmini concedeva al Corriere della Sera una intervista che recitava così:
“Quando scese in politica all’inizio del 1994 Silvio Berlusconi arrivò qui con i capi del centrodestra e io feci sottoscrivere a tutti un documento per sostenere che ogni tipo di droga andava vietata, qui su questo tavolo. Oggi l’obbiettivo è raggiunto.
Il pericolo che la nuova legge sia cancellata non c’è: ad aprile vince Berlusconi
Ma io guardo avanti. Il futuro è del partito unico dei moderati. Bisogna farlo subito dopo le elezioni, e il solo che può riuscirci è Berlusconi.
L’ex ministro della Sanità, De Lorenzo, lavora qui, è uno dei molti perseguitati dai giudici.
Quando nel 2000 Silvio stava per accordarsi con i radicali ho minacciato di non farlo votare più dai miei. In questi 40 anni sono passati dalle nostre Comunità 300.000 ragazzi, sono 3 milioni le persone cui posso arrivare. Berlusconi lo sa e mi dà retta.” (dichiarazioni ricevute da Aldo Cazzullo)
Abbiamo così assistito ad un palese “voto di scambio” in cui vi è una dazione di denaro (10 miliardi di vecchie lire versati da Berlusconi a Don Gelmini) che contraccambia con un appoggio politico e militante per la campagna elettorale di Forza Italia.
 il titanico impegno sul fronte antidroga e la promulgazione della legge Giovanardi, non solo non produce alcun risultato (sarebbe già un successo), ma i dati ufficiali forniti al Parlamento dal ministro Ferrero (del governo Prodi) nell’agosto 2006 recitano così:
  dal 2001 al 2005 gli italiani che hanno fatto uso di cannabis sono pressoché raddoppiati (da 2 milioni a 3,8 milioni)
  i consumatori di cocaina da 350.000 a 700.000
  triplicato l’uso di allucinogeni e stimolanti
  diminuito il consumo di eroina
  560.000 persone nel 2005 hanno fatto uso combinato di alcool, tabacco, psicofarmaci.
Praticamente un fallimento epocale di tutti gli interventi sul problema “droghe”, dove le leggi, sia quelle permissive che quelle repressive, non funzionano, mentre il fenomeno si può combattere solo con la “PREVENZIONE”.
Se tu vivi in una società dove fin da piccolo ti riempiono di pillole per ogni piccolo disagio, e quando questo disagio è psicologico ti danno facilmente psicofarmaci (anche a partire da 5 anni) è impossibile nella vita non ricorrere a sostanze che ti aiutino a lavorare di più, a non essere mai stanco, a stimolanti per lo sport e per il sesso, a coctayls di farmaci e di droghe. Questi modelli sono diffusi nella totalità del mondo dei giovani dai messaggi e dalla pratica dei loro santuari che sono le discoteche, i concerti, gli stadi.
Parlare di recupero quando si tratta di milioni di persone e le tracce di droga si apprezzano addirittura nell’aria, e nell’acqua dei fiumi, è ridicolo e impossibile.
Caro Don Gelmini, non mi interessa un gran che delle tue squallide avventurette sessuali, per cui qualche tossico ti vuole ricattare, e credo che il ricatto sia peggiore della molestia, che comunque credo sia avvenuta.
Il triste è che dopo 30 o 40 anni non capisci nulla di droga, hai utilizzato la Comunità come potentato personale, dittatoriale, e hai strumentalizzato questa attività sociale buttandola in politica e praticando il voto di scambio.
L’appoggio della destra e dei media farà di te un martire e gli avvocati della CASTA avranno buon gioco in una procura di provincia. Ma non ce la racconti giusta!
Paolo De Gregorio

Messaggi

  • Ad integrazione del mio articolo, segnalo le preziose informazioni di Francesco Grignetti su La Stampa del 5 agosto che rivelano come il nostro personaggio non sia proprio uno stinco di santo, con i suoi 4 anni di galera (tutti scontati) per truffa e bancarotta fraudolenta (vedi su google: la vera storia di don pierino quattro anni passati in carcere).
    Il comico è che la destra e l’indagato Gelmini parlano di “gogna mediatica” proprio quando nessun giornale oltre La Stampa informa sui precedenti penali del Don, mentre tutte le tesi innocentiste e i politici che mettono le mani sul fuoco del complotto contro il sant’uomo, sono in grande rilievo.
    Per quasi tutta la stampa il processo è già fatto e la sentenza è di assoluzione.
    Visto che la legge in Italia prevede l’obbligo di essere incensurati per fare l’usciere di un ministero o il bidello di una scuola, sarebbe utile estendere tali norme a parlamentari e preti, visto che tutti siamo fatti di carne, e tra i preti ultimamente girano più pedofili e maniaci sessuali che santi.

    • Don Gelmini: la vera storia

      Questo è l’articolo di Francesco Grignetti apparso su La Stampa che ricostruisce il passato del prete in lotta contro la droga che in giardino aveva una Jaguar: per due volte finì dietro le sbarre con accuse di truffa e bancarotta fraudolenta

      LA VERA STORIA DI DON PIERINO "QUATTRO ANNI PASSATI IN CARCERE"

      Milano, 5 agosto 2007- C’è stato un altro don Pierino prima di don Pierino. Un prete che ha sempre sfidato le convenzioni, ma che di guai con la giustizia ne ha avuti tanti, ed è pure finito in carcere un paio di volte. A un certo punto è stato anche sospeso «a divinis», salvo poi essere perdonato da Santa Romana Chiesa.

      E’ il don Gelmini che non figura nelle biografie ufficiali. I fatti accadono tra il 1969 e il 1977, quando don Pierino era ancora considerato un «fratello di». Una figura minore che viveva di luce riflessa rispetto al più esuberante padre Eligio, confessore di calciatori, amico di Gianni Rivera, frequentatore di feste, fondatore delle comunità antidroga «Mondo X» e del Telefono Amico.

      Anni che furono in salita per don Pierino e che non vengono mai citati nelle pubblicazioni di Comunità Incontro. Per forza. Era il 13 novembre 1969 quando i carabinieri lo arrestarono per la prima volta, nella sua villa all’Infernetto, zona Casal Palocco, alla periferia di Roma. E già all’epoca fece scalpore che questo sacerdote avesse una Jaguar in giardino.

      Lui, don Pierino, nella sua autobiografia scrive che lì, nella villa dell’Infernetto, dopo un primissimo incontro-choc con un drogato, tale Alfredo, nel 1963, cominciò a interessarsi agli eroinomani. In tanti bussavano alla sua porta. «Ed è là che, ospitando, ancora senza tempi o criteri precisi, ragazzi che si rivolgono a lui, curando la loro assistenza legale e visitandoli in carcere, mette progressivamente a punto uno stile di vita e delle regole che costituiranno l’ossatura della Comunità Incontro».

      All’epoca, Gelmini aveva un certo ruolo nella Curia. Segretario di un cardinale, Luis Copello, arcivescovo di Buenos Aires. Ma aveva scoperto la nuova vocazione. «Rinunciai alla carriera per salire su una corriera di balordi», la sua battuta preferita.

      I freddi resoconti di giustizia dicono in verità che fu inquisito per bancarotta fraudolenta, emissione di assegni a vuoto, e truffa. Lo accusarono di avere sfruttato l’incarico di segretario del cardinale per organizzare un’ambigua ditta di import-export con l’America Latina. E restò impigliato in una storia poco chiara legata a una cooperativa edilizia collegata con le Acli che dovrebbe costruire palazzine all’Eur. La cooperativa fallì mentre lui rispondeva della cassa. Il giudice fallimentare fu quasi costretto a spiccare un mandato di cattura.

      Don Pierino, che amava farsi chiamare «monsignore», e per questo motivo si era beccato anche una diffida della Curia, sparì dalla circolazione. Si saprà poi che era finito nel cattolicissimo Vietnam del Sud dove era entrato in contatto con l’arcivescovo della cittadina di Hué. Ma la storia finì di nuovo male: sua eminenza Dihn-Thuc, e anche la signora Nhu, vedova del Presidente Diem, lo denunciarono per appropriazione indebita. Ci fecero i titoloni sui giornali: «Chi è il monsignore che raggirò la vedova di Presidente vietnamita».

      Dovette rientrare in Italia. Però l’aspettavano al varco. Si legge su un ingiallito ritaglio del Messaggero: «Gli danno quattro anni di carcere, nel luglio del ‘71. Li sconta tutti. Come detenuto, non è esattamente un modello e spesso costringe il direttore a isolarlo per evitare “promiscuità” con gli altri reclusi». Cattiverie.

      Fatto sta che le biografie ufficiali sorvolano su questi episodi. Non così i giornali dell’epoca. Anche perché nel 1976, quando queste vicende sembravano ormai morte e sepolte, e don Pierino aveva scontato la sua condanna, nonché trascorso un periodo di purgatorio ecclesiale in Maremma, lo arrestarono di nuovo.

      Questa volta finì in carcere assieme al fratello, ad Alessandria, per un giro di presunte bustarelle legate all’importazione clandestina di latte e di burro destinati all’Africa. Si vide poi che era un’accusa infondata. Ma nel frattempo, nessuna testata aveva rinunciato a raccontare le spericolate vite parallele dei due Gelmini. Ci fu anche chi esagerò. Sul conto di padre Eligio, si scrisse che non aveva rinunciato al lusso neppure in cella.

      Passata quest’ennesima bufera, comunque, don Pierino tornò all’Infernetto. Sulla Stampa la descrivevano così: «Due piani, mattoni rossi, largo muro di cinta con ringhiera di ferro battuto, giardino, piscina e due cani: un pastore maremmano e un lupo. A servirlo sono in tre: un autista, una cuoca di colore e una cameriera».

      Tre anni dopo, nel 1979, sbarcava con un pugno di seguaci, e alcuni tossicodipendenti che stravedevano per lui, ad Amelia, nel cuore di un’Umbria che nel frattempo si è spopolata. Adocchiò un rudere in una valletta che lì chiamavano delle Streghe, e lo ottenne dal Comune in concessione quarantennale. Era un casale diroccato. Diventerà il Mulino Silla, casa-madre di un movimento impetuoso di comunità.

      Gli riesce insomma quello che non era riuscito al fratello, che aveva anche lui ottenuto in concessione (dal proprietario, il conte Ludovico Gallarati Scotti, nel 1974) un rudere, il castello di Cozzo Lomellina, e l’aveva trasformato, grazie al lavoro duro di tanti volontari e tossicodipendenti, in uno splendido maniero. Ma ormai la parabola di padre Eligio era discendente. Don Pierino, invece, stava diventando don Pierino.

      Francesco Grignetti