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il martire Gelmini (2)

Publie le venerdì 14 settembre 2007 par Open-Publishing
4 commenti

 il martire Gelmini (2) -
a cura di Paolo De Gregorio – 13 settembre 2007

Finalmente il complotto ordito da giudici anticlericali, massoni, ebrei, radical-chic, ha dispiegato tutta la sua geometrica potenza e addirittura altri 50 ex ospiti della pregiata ditta “Comunità Incontro” hanno denunciato il titolare per molestie sessuali.
Si sospetta che tali denunce siano state favorite da promesse di denaro e posti di lavoro messi a disposizione dai complottardi, notoriamente con forti disponibilità di tempo e di soldi, ad eccezione dei magistrati che hanno dovuto fare una colletta in Procura, chiedendo contributi anche agli uscieri, e prendendo qualche giorno di ferie per convincere gli ex tossici a denunciare il loro benefattore.
Certo questa teoria del complotto, asso vincente della scuola berlusconiana, è proprio ridicola e appare ormai come una confessione di colpa di chi non ha altri argomenti,doppiamente improbabile in un paese come l’Italia dove l’anticlericalismo come principio e ispirazione politica non esiste, i massoni e gli ebrei si fanno i loro lucrosi affari in gran segreto, i radical-chic si fanno le canne, e i magistrati si muovono solo se la notizia di reato raggiunge il loro ufficio.
Parlando seriamente, l’elevato numero di denunce di ex ospiti della comunità di Gelmini, lo inchioda senza alcuna possibilità di dubbio, e capiamo meglio il significato del principio fondante del percorso di recupero che si basa sull’amore, termine ampiamente abusato nel linguaggio comunitario, ma senza precisare che si trattava di amore anche carnale. Bastava dirlo!
Bisogna ricordare che l’attività di Gelmini riceve il plauso e i soldi della destra, addirittura la legge antidroga Fini-Giovanardi fu approvata entusiasticamente da Gelmini, 10 miliardi di vecchie lire donate da Berlusconi furono intascate dal Don, che riconoscente garantì a Berlusconi l’appoggio elettorale a Forza Italia, millantando il fatto di controllare tre milioni di voti.
Secondo me questo sarebbe il vero reato: il voto di scambio. Usare una attività sociale, in parte finanziata da soldi pubblici, per fare propaganda per la destra non è una cosa possibile e spezza le regole democratiche.
Comunque l’entusiasmo degli amici di Gelmini,Gasparri e Berluscuni in testa sembra perdere smalto, e per una riparatrice legge del contrappasso, sembra ritorcersi contro e diventare imbarazzante.
L’iniziativa della magistratura non è un complotto, non è anticlericale, è un procedimento, con tutte le garanzie, contro un pregiudicato per truffa che è stato due anni in galera.
Quanto a coloro che sostengono che comunque il bene fatto è superiore all’eventuale male, per fargli venire qualche dubbio sui giganteschi numeri di assistenza e recuperi, millantati e mai documentati, li invito a telefonare alla Segreteria della Comunità Incontro (Molino Silla – Amelia –prov. Terni) e chiedere quanti sono gli ospiti nei 164 centri presenti in Italia. Non ufficialmente, so che non arrivano a trecento.
Paolo De Gregorio

Messaggi

  • Ma quante stronzate dici!!! Ma che centra Berlusconi in tutto questa storia, Sei ridicolo!!!

    Mario Pitturru

    • C’entra, c’entra ... vista la strenua difesa di Gelmini che fino a ieri ( al cinquantesimo caso di denuncia hanno smesso pure loro) hanno portato avanti le Tv Mediaset, visto che Gelmini è stato il più ascoltanto consulente del governo Berlusconi per la legge sulle droghe, visti i lauti finanziamenti ( privati ma soprattutto pubblici) fatti avere dal medesimo governo ai centri di Don Gelmini, vista le continue visite ( con contorno di servizi in pompa magna degli stessi telegiornali Mediaset) dei vari esponenti del centrodestra agli stessi centri.

      K.

    • Beata ignoranza!

      I rapporti di Berlusconi col narcotraffico sono densi. Ti ripropongo il video in cui la polizia svizzera fa un’inchiesta su Berlusconi come ricicilatore del denaro sporco del narcotraffico colombiano in connessione con la mafia siciliana.

      http://video.google.it/videoplay?docid=2348009799741438657&q=berlusconi

      I legami di B con la mafia sono strettissimi, lo sanno anche i polli, finanziamenti da parte della banca Rasini (unica succursale della mafia a Milano), dove lavora suo padre che gli permettono di colpo di costruire l’Edlnord, insediamento residenziale per 4.000 abitanti, la legge per il ritorno (premiato) dei capitali neri all’estero, tutte le varie leggi che hanno favorito la mafia (eliminazione della legge Merloni sui cantieri, condoni, depenalizzazione dei reati finanziari, prescrizioni, divieti delle rogatorie...)
      B appare l’uomo destinato a ripulire i soldi della mafia sin dall’inizio.

      Probabilmente questa dipendenza all’inizio non era così stretta, poi la mafia cominciò a incendiare i suoi magazzini Standa in Sicialia, tentò di rapirgli un figlio, gli insediò Mangano in casa facendo di Arcore un crocevia di partite di cocaina (come denunziò al tempo anche la polizia lombarda) e si intensirficò il lavoro di Dell’Utri come emissario tra Cosa Nostra e Arcore.

      Il falso proibizionismo di B risponde perfettamente ai desideri del narcotraffico che dal proibizionismo viene solo incentivato, come può dimostrare qualunque studio storico sui probizionismi ufficiali nel mondo.

      Ogni operatore sa benissimo che il falso proibizionismo è un sistema di governo che porta a una fisiologica impennata nella vendita di droga, decentra l’attenzione pubblica sui consumatori e lascia intoccati i venditori.
      E che nella campagna per la Giovanardi-Fini si sia preso, tra tutti gli operatori seri, un arrivista buffone come don Gelmini è la ciliegina su un mare di ipocrisia.

      Il proibizionismo non fa che aumentare il lavoro nero e i costi del prodotto, portando guadagni enormi alle cosche.

      vedi
      http://www.masadaweb.org/node/872

      Riporto un articolo su don Gelmini di Valerio Gigante (peraltro già postato su bellaciao)

      .

      Quella dei Gelmini e’ una biografia lunga e con diverse zone d’ombra...quando diventa sacerdote, il vero “don Gelmini”, quello famoso, non era lui, ma il fratello padre Eligio, esuberante frate minore che preferiva il cachemire al ruvido panno francescano, precursore di tante figure di preti mediatici e mondani che frequentano salotti, feste e studi televisivi. Padre Eligio era confessore e assistente spirituale di vip e calciatori (era, tra l’altro, il “cappellano” del Milan, oltre che amico intimo di Gianni Rivera), l’unico prete al mondo a poter vantare di aver concesso un’intervista al settimanale sexy Playboy, frequentatore di eventi mondani, nonche’ fondatore della comunita’ di recupero per tossicodipendenti «Mondo X» e del Telefono Amico.

      Particolarmente dettagliata nel raccontare i primi anni di sacerdozio di don Pierino - che negli anni ‘60 diventa segretario del card. Luis Copello, arcivescovo di Buenos Aires fino al 1959, passato poi in forze alla Curia vaticana come Cancelliere di Santa Romana Chiesa -, la sezione del sito internet della “Comunita’ Incontro” dedicato alla biografia di Gelmini omette del tutto gli eventi che caratterizzano il periodo che va dalla meta’ degli anni sessanta al 1979. Sono infatti gli anni in cui per don Pierino iniziano i problemi con la giustizia e le vicissitudini giudiziarie.

      “Gia’ nel 1965 - racconta Marco Lillo sull’Espresso- un anno prima di darsi ai tossicodipendenti, il sacerdote aveva comprato la splendida tenuta di Caviggiolo con tanto di maniero e riserva di caccia a Barberino del Mugello, sull’Appennino toscano. I giornali dell’epoca raccontano che gli assegni per 200 milioni di lire (del 1965) consegnati alla Societa’ Idrocarburi per l’acquisto erano scoperti e il tribunale inflisse tre mesi di galera a don Pienino”.
      Nel 1969 il prete acquista un’altra villa all’Infernetto, zona Casal Palocco, una delle piu’ “in” dell’hinterland romano. La biografia ufficiale di Gelmini si limita ad accennare all’abitazione definendola “una casa piu’ ampia” di quella dove don Pienino aveva sino ad allora vissuto.
      Per la precisione si trattava invece di una villa in cortina a due piani protetta da un largo muro di cinta con ringhiera di ferro battuto, un vasto giardino in cui era custodita una Jaguar, piscina, due cani, tre persone a servizio: un autista, una cuoca e una cameriera. Insomma, se al fratello Eligio piaceva la bella vita, don Pierino non era da meno. Ma il tenore di vita di don Pierino viene compromesso dalla magistratura: il 13 novembre 1969 i carabinieri lo arrestano nella sua abitazione (grande scalpore sui giornali dell’epoca suscito’ la notizia che i carabinieri avevano trovato una Jaguar nel giardino di don Pierino) per emissione di assegni a vuoto, truffa e fallimento di una cooperativa di costruzioni collegata con le Acli di cui il sacerdote era tesoriere e che doveva costruire palazzine all’Eur. Gelmini viene anche coinvolto in un inchiesta che riguarda la ditta di import-export tra Italia e Argentina che aveva costituito sfruttando - si disse - le buone entrature ottenute attraverso i servizi resi al card. Copello.

      Nel 1970 il prete ripara quindi all’estero, nel Vietnam del Sud, dove fa amicizia con l’ex arcivescovo della cittadina di Hue’, mons. Pierre Martin Ngo Di’nh Thuc, fratello di Jean Baptiste Ngo Di’nh Diem, dittatore del Vietnam del Sud, assassinato nel 1963, ormai caduto in disgrazia presso gli Stati Uniti. Ma anche in Vietnam Gelmini ha grane con la giustizia: proprio dall’ex-arcivescovo di Hue’, insieme a madame Nhu, vedova del fratello minore del presidente Die’m e per anni sua first lady, viene denunciato per appropriazione indebita. Nel 1971 torna in Italia. Ed entra in carcere. Il processo a suo carico si era infatti concluso con la condanna a quattro anni, che don Pienino scontera’ interamente.

      Uscito di prigione - dopo aver trascorso un breve periodo di ritiro in Maremma per volonta’ delle autorita’ ecclesiastiche - nel 1976 don Gelmini torna in cella, ad Alessandria. Insieme al fratello Eligio e’ infatti accusato di aver ricevuto una bustarella di 50 milioni da Vito Passera, imprenditore in difficolta’ che puntava sui buoni uffici dei fratelli Gelmini per diventare console onorario della Somalia e ottenere facilitazioni nel commercio di burro tra gli Usa e il Paese africano. Stavolta pero’ in prigione don Pienino ci rimane poco tempo.

      Assieme al fratello, viene prosciolto dalle accuse e nel ‘77 e’ di nuovo nella sua villa romana a Casal Palocco. Nel 1979 don Pierino, sulle orme del fratello (che nel 1974 era riuscito a farsi assegnare gratuitamente dal conte Lodovico Gallarati Scotti l’uso del suo castello di Cozzo Lomellina come sede del suo “Mondo X”), da’ inizio al business antidroga .

      1979: nasce la holding della tossicodipendenza
      “Don Gelmini Spa”, titola il 16 agosto l’Espresso, ricostruendo la nascita dell’impero economico del prete antidroga. La prima comunita’ di recupero nasce ad Amelia, in provincia di Terni. Don Pierino si fa assegnare in comodato d’uso per 40 anni un frantoio abbandonato, il Mulino Silla, in una piccola valle chiamata delle Streghe, facendone la sede della sua nuova attivita’.

      Nel 1988 sindaco di Amelia diviene l’ex leader della Cgil Luciano Lama. E’ lui a segnalate alla procura il fatto che a don Pierino i vincoli del piano regolatore stavano stretti e i piccoli casali abbandonati che andava acquisendo si trasformavano in enormi strutture senza le necessarie autorizzazioni. “Alla fine - racconta l’Espresso - tutto fu sanato, grazie anche ai socialisti della giunta”. Cosi’ le proprieta’ immobiliari della Comunita’ Incontro hanno potuto estendersi senza sosta, al punto da comprendere, nella sola provincia di Terni, boschi, uliveti, vigneti e pascoli per una ventina di ettari, oltre a diversi fabbricati sparsi tra Cenciolello, Porchiano e la strada di Orvieto.

      Oggi la Comunita’ di don Gelmini conta ufficialmente 164 sedi in Italia e 74 nel mondo. Dati contestati pero’ da Stefania Nardini in un articolo comparso su Gente d’Italia, quotidiano italiano delle Americhe. La giornalista, che ha passato un periodo presso la Comunita’ Incontro, racconta di culto della personalita’, di body guard armati di pistola, di macchinoni di lusso (un vizio antico), di disparita’ nel trattamento degli ospiti, ma anche di cifre gonfiate a beneficio della sua immagine pubblica: “Si parla di 164 sedi residenziali in Italia - scrive la Nardini - e invece sono 64, di 180 gruppi d’appoggio che in realta’ sono una ventina, di un turnover residenziale di 12 mila persone (turnover in cui sono comprese semplici richieste di informazioni), di 126.624 ingressi in comunita’ tra il 1990 e il 2002, mentre attualmente si registrano non piu’ di 20 o 30 colloqui al mese, il che significa al massimo 360 ingressi all’anno, cifra che si riduce alla meta’ considerando coloro che rinunciano”.

      Anche sui cospicui introiti delle Comunita’ i numeri sono incerti: “La trasparenza ammini¬strativa - racconta l’Espresso - non e’ mai stata una priorita’ della comunita’. Sul sito internet non c’e’ traccia del bilancio. Bisogna andare alla Camera di commercio a Roma per scoprire che la Comunita’ Incontro, organizzazione non lucrativa a fini sociali, e’ presieduta da una sconosciu¬ta: Umbertina Valeria Mosso, avvocato di 86 anni. Il comitato direttivo e’ composto dalle persone piu’ vicine a don Pierino, come Claudio Legramanti e Claudio Previtali e dal ‘don’, che e’ il segretario generale, ma con ampi poteri di gestione”.

      In ogni caso, il suo piccolo impero don Gelmini lo ha realizzato anche in virtu’ delle sue ottime entrature politiche, oltre che alle cospicue donazioni che il suo carisma ha saputo intercettare. Solo in occasione della megafesta per gli 80 anni di don Pierino, nel 2005, Berlusconi dichiaro’ di volergli devolvere 10 miliardi delle vecchie lire. Alla mega kermesse in onore del prete ottuagenario c’era anche un altro grande amico di Gelmini, l’allora ministro Mauri¬zio Gasparri. Insieme ad altri rappresentanti del governo, come Rocco Buttiglione e Pietro Lunardi, oltre a Gustavo Selva e ad una sfilza di sottosegretari. E ad un esponente della “Prima Repubblica”, l’ex ministro della Sanita’ Francesco De Lorenzo, da anni tra i volontari della “Comunita’ Incontro”.

      A tanta benevolenza da parte del leader e degli esponenti della Casa della Liberta’, Gelmini ha sempre risposto con una indefessa militanza a destra, che - oltre ad intercettare verso Berlusconi il consenso di migliaia di visitatori ed ospiti (nonche’ delle loro famiglie) passati in co¬munita’ negli ultimi 30 anni - si e’ piu’ volte caratterizzata con la presenza di Gelmini a manifestazioni politiche ed elettorali. Lo si e’ visto spesso con esponenti di An (lo scorso anno, in campagna elettorale, era a fianco del candidato sindaco di Roma Gianni Alemanno).

      Nel 2006 don Pierino fu uno dei maggiori sostenitori della nuova legge sulla droga che ha eliminato la differenza tra droghe leggere e pesanti. “Grazie, Gianfranco, per la legge contro la droga, affido a voi di An il compito di difendere i principi cristiani”, disse don Gelmini ai delegati di An presenti alla conferenza programmatica del partito, il 5 febbraio 2006.

      Le recenti accuse di molestie sessuali hanno - per la verita’ - qualche precedente negli anni d’oro della Comunita’ incontro. Come quando, il 23 novembre 1991, venne ritrovato morto sgozzato a Rimini Fabrizio Franciosi, cittadino di San Marino, anni prima ospite della Comunita’ del Mulino Silla. Durante le indagini, il fratello della vittima racconto’ che poco tempo prima di morire Fabrizio gli aveva raccontato di aver subito da don Gelmini abusi sessuali in una casetta nel parco della comunita’. Nel 2003 don Antonio Mazzi, animatore della comunita’ per tossicodipendenti Exodus, ricevette la lettera di un ragazzo che raccontava di aver subito molestie sessuali da parte di don Gelmini nel 1993, quando aveva trascorso un periodo di sei mesi ad Amelia. Poi il giovane si era trasferito in una struttura di don Mazzi, con il quale si era confidato ed aveva continuato a mantenere rapporti epistolari. Ma Mazzi ha raccontato questi fatti solo nelle scorse settimane, quando il caso don Gelmini era gia’ scoppiato.

      Sentito dal procuratore di Terni Carlo Maria Scipio e del pm Barbara Mazzullo, Mazzi ha comunque ribadito punto per punto cio’ che aveva gia’ rivelato circa il contenuto della missiva.

      Nel 2004, un libro di Marco Salvia, “Mara come me” racconta la vita all’interno di una comunita’ di recupero di tossicodipendenti, delineata nei termini di un lager gestito da un prete bigotto e fanatico e da responsabili violenti. La storia e’ romanzata, ma il 23 gennaio 2005 il quotidiano il manifesto pubblica una lettera con cui l’autore usciva allo scoperto, dichiarando che i fatti narrati nel libro erano reali e che dietro la figura di don Luigi, il padre-padrone della comunita’, si celava don Pierino Gelmini.

      E poi ci sono le accuse fatte da Bruno Zanin nel suo libro-autobiografia Nessuno dovra’ saperlo, in cui afferma di aver subito abusi sessuali da Don Gelmini all’eta’ di 13 anni (il capitolo che parla dell’abuso e’ stato messo online dall’autore all’indirizzo internet ).

      Nel libro, Zanin, che e’ Stato negli anni ‘90 collaboratore di Radio Vaticana, racconta anche di aver parlato degli abusi all’allora direttore dei programmi dell’emittente, p. Federico Lombardi (oggi direttore della Sala Stampa vaticana) ed a mons. Giovanni d’Ercole, religioso orionino, capo ufficio della sezione affari generali della segrete¬ria di Stato del Vaticano, da sempre amico di don Pierino e da qualche mese direttore responsabile della rivista della comunita’ “Il Cammino” e dell’emittente Tele Umbria Viva, di cui Gelmini e’ proprietario.

      Anche con la Chiesa cattolica i rapporti, a dispetto delle difese d’ufficio tratta che oggi vengono fatte di don Pierino come dell’ennesimo prete vittima delle persecuzioni mediatiche e laiciste, sono piuttosto tesi. Fin dal 1963, quando don Pierino inizio’ a fregiarsi del titolo di monsignore, senza esserlo, il Vaticano ha iniziato a diffidano dall’utilizzare quel titolo e in seguito lo ha anche sospeso a divinis. Sospensione poi ritirata, ma il titolo tanto agognato non arrivava. Nel 1988 Gelmini risolse allora il problema con un abile e’scamotage: pur essendo un prete di rito latino, aderi’ ad una Chiesa cattolica di rito orientale, quella melkita, e si fece insignire del titolo di Esarca Mitrato della Chiesa cattolica greco-melkita. Titolo onorifico che non equivale certo a quello di vescovo. E nemmeno a quello di monsignore.

      Nelle biografie “ufficiali” di don Gelmini pero’ il titolo ottenuto dalla Chiesa melkita e’ messo in grande evidenza insieme ad un’altra lunghissima sequela di bizzarri riconoscimenti: da “maggiore garibaldino e primo cappellano della Legione Garibaldina” a “gran comandante dell’Ordine di Ge’orge Washington”). Non solo per la sua altisonanza, ma perche’ da’ all’esuberante prete il diritto all’uso dell’anello, della mitra, della croce e del pastorale quando celebra la messa con rito greco (o avendo ottenuto dal Vaticano uno speciale permesso a celebrare con il doppio rito). Ma a don Gelmini certe sottigliezze liturgiche vanno strette e la messa continua a celebrarla in rito romano, vestendo pero’ i sontuosi paramenti greco-cattolici.

      Una piccola rivincita con la gerarchia che tanto lo ha bistrattato don Pierino se l’e’ presa il 20 ottobre del 2000, quando Wojtyla ricevette in piazza San Pietro trentamila rappresentanti delle Comunita’ Incontro. La benedizione del papa polacco non ha pero’ migliorato i difficili rapporti con la Curia, che continua a non amarlo. Recentemente, al card. Francesco Marchisano, presidente dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, che gli ha chiesto di fare un passo indietro per meglio difendersi dalle accuse, don Pierino ha risposto: “Mi chiede di fare un passo indietro? Lo faccia lui in avanti, in un burrone”. E comunque, ha tenuto a precisare don Pierino, “io non guido un’associazione religiosa, ma laica”.

      ..

      ora le denunce per molestie sessuali sono salite a 50.

      viviana

    • 1 - UNA CUPOLA PROTEGGEVA DON GELMINI

      Guido Ruotolo per “La Stampa”

      «Non è vero che ho dettato la lettera di ritrattazione. E’ vero invece che quel giorno mi trovavo a casa del ragazzo proprio mentre scriveva quella lettera». La «squadra» di don Pierino Gelmini prova a difendersi. L’inchiesta della procura di Terni sui presunti abusi sessuali del fondatore della comunità Molino Silla - nei confronti ormai di decine di tossicodipendenti ospitati dalla comunità, tra cui diversi minori di origine straniera, anche thailandese - marcia spedita.

      Non è più soltanto don Gelmini a doversi difendere dalle accuse, dalle contestazioni degli inquirenti e dagli investigatori umbri, che ormai cercano «prove» non solo sugli abusi sessuali ma anche sul depistaggio, sull’inquinamento probatorio, sospettandolo perlomeno di aver fornito false dichiarazioni nel corso del suo interrogatorio. Alcuni collaboratori di don Pierino sono finiti sul registro degli indagati.

      Favoreggiamento

      Per Pierluigi La Rocca l’ipotesi di reato è favoreggiamento. Ma anche su altri «contatti» della «squadra» di don Gelmini per tentare di orientare o perlomeno di neutralizzare le indagini sono in corso approfondimenti. Come nel caso dell’ex procuratore di Terni, Cesare Martellino, oggi rappresentante italiano ad Eurojust, che archiviò nel 2002 un’inchiesta su don Gelmini, sempre per abusi sessuali. Gli inquirenti avrebbero raccolto un’intercettazione telefonica tra il magistrato e don Gelmini nella quale Martellino avrebbe detto: «Dobbiamo vederci e pianificare una strategia». Naturalmente, difensiva. Ma proprio perché l’intervento di Martellino si inserisce in un’attività opaca della «squadra» di Molino Silla, gli inquirenti di Terni vogliono approfondire anche il protagonismo di Martellino.

      Dunque, il presunto favoreggiatore Pierluigi La Rocca. L’episodio che gli viene contestato risale al novembre scorso, quando uno degli «accusatori» del fondatore della comunità di recupero di tossicodipendenti scrive la sua lettera di ritrattazione, precisando che quelle accuse se le era inventate sotto gli effetti di psicofarmaci. Il ragazzo fu poi indagato per calunnia.

      Interrogato nella primavera scorsa, l’ex accusatore ha ammesso di aver scritto sotto dettatura di Pierluigi La Rocca negando, tra l’altro, così come aveva detto don Gelmini agli inquirenti, di aver ricevuto dal sacerdote un «regalo» di 200 euro. E proprio a La Rocca il ragazzo si sarebbe rivolto per avere un suggerimento sul nome dello psicofarmaco da indicare.

      Incastrato dalle accuse, La Rocca ha provato a difendersi. Ammettendo di essersi trovato a casa del ragazzo nel giorno della lettera di ritrattazione - ma non di aver suggerito cosa scrivere - e soprattutto ha chiamato in causa un altro sacerdote, amico di don Gelmini, don Ezio Miceli, che avrebbe «regalato» alla famiglia del ragazzo ben 5 mila euro. Un atto di «carità», per via delle condizioni economiche disastrate della famiglia del ragazzo. Ecco il dubbio che gli investigatori devono sciogliere: la «regalia» è merce di scambio per la ritrattazione? Certo è che la Procura di Terni nel corso degli approfondimenti per verificare le accuse di abusi sessuali nei confronti di don Gelmini si è trovata di fronte a una serie di comportamenti sospetti, al limite del favoreggiamento, dell’inquinamento probatorio.

      In queste settimane, la Mobile di Terni è impegnata a cercare riscontri sui nuovi accusatori di don Gelmini mentre la Procura di Terni avrebbe deciso di riesaminare vecchi episodi, come quello di un ragazzo di San Marino, Fabrizio Franciosi, allontanatosi dalla comunità perché a conoscenza di episodi di abusi sessuali all’interno di Molino Silla. Il ragazzo fu poi ucciso a Rimini (ovviamente la Procura di Terni è interessata alle sue denunce sugli abusi sessuali, che gli investigatori archiviarono a suo tempo). Ma anche sui nuovi spunti investigativi forniti da don Antonio Mazzi che, chiamato in causa da uno dei ragazzi «accusatori» di don Gelmini, non solo ha confermato che effettivamente quel ragazzo gli raccontò degli abusi, ma ha aggiunto che gli furono raccontati anche altri episodi del genere.

      2 - L’ATTORE BRUNO ZANIN: QUELLE VOGLIE DEL MONSIGNORE…

      Francesco Grignetti per “La Stampa”

      Dopo gli articoli di agosto, che svelarono agli italiani l’esistenza di un’inchiesta segretissima su don Pierino Gelmini per molestie sessuali, almeno quindici nuovi testimoni hanno bussato alla porta della procura di Terni. Alcuni di questi racconti affondano indietro nel tempo. «Con don Gelmini e con le sue voglie io ho avuto a che fare moltissimi anni fa, tra il ‘69 e il ‘70, quando ancora abitava nella villa dell’Infernetto», ha messo a verbale uno dei nuovi accusatori, Bruno Zanin, attore, protagonista di Amarcord di Fellini, che ha descritto le sue drammatiche esperienze di pedofilia nel libro «Nessuno dovrà saperlo». Oggi ha 56 anni, una ex moglie e due figli grandi. Non ha mai dimenticato quell’incontro romano, quando lui era un giovanissimo hippy «e don Pierino si atteggiava a monsignore».

      Zanin ha raccontato una storia che sembra la fotocopia di tante altre, ma con un profumo vintage di quando i ragazzi portavano i capelli lunghi, suonavano la chitarra nelle piazze fino a notte, e andavano a dormire dove capitava. «Assieme a un diacono francese che si chiamava Boyer - ha raccontato alla polizia - don Gelmini aveva attrezzato una specie di abitazione dalle parti di piazza Navona. Lì, oltre alla villa dell’Infernetto, ospitava tanti ragazzi. Però capitava che se uno gli piaceva, come è successo a me, si scivolava sul sesso».

      L’Infernetto ai quei tempi era un quartiere a metà tra le case di borgata e le ville di Casalpalocco. Saltava agli occhi, quella villa su due piani abitata da un semplice prete che amava il lusso, con piscina, auto di lusso in garage, cameriere etiope. Don Pierino aveva anche fatto costruire un campo di calcio in giardino.

      Zanin ha raccontato in procura che in quel periodo era giovane e sbandato. Traumatizzato da una vicenda omosessuale che gli aveva reso impossibile la vita in paese, per qualche tempo aveva vissuto di espedienti. E lì, sulla strada, don Pierino l’aveva raccattato. Ma quell’accoglienza, a stare al suo racconto, non era semplice carità. C’era un aspetto inconfessabile. Secondo l’avvocato di don Gelmini, Lanfranco Frezza, «le nuove denunce di abusi non sono altro che un riassunto, anche fatto male, delle puntate precedenti». Secondo chi indaga, invece, certi racconti, anche se relativi a fatti di trent’anni fa, e perciò caduti in prescrizione, potrebbero essere molto utili in caso di un processo per delineare la psicologia e i trascorsi di un imputato.