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il "partito sociale"? autorganizzazione della poverta’ o lotta di classe?
Publie le lunedì 8 settembre 2008 par Open-Publishing1 commento
Ormai "faccetta nera" o "giovinezza" la cantano solo sotto la doccia, e qualcuno nemmeno piu’ li’. Quelli che "la democrazia e’ un’infezione dello spirito" sono tornati sulla piazza ma, solo dopo pesanti interventi di chirurgia estetica e di lifting storico per ringiovanire l’aspetto, nascondere nelle pieghe della memoria pubblica la loro genesi sanguinaria costellata di omicidi efferati di partigiani, donne e bambini, di stragi in nome e per conto di una supposta "guerra controrivoluzionaria preventiva" contro il grande satana del comunismo. Hanno cambiato faccia ma la loro missione e’ sempre la stessa: scongiurare nella crisi economica "il malessere morale che avvelena la nazione"; il loro stile e’ rimasto invariato: lo squadrismo contro gli sfruttati al servizio dei padroni. Molti vecchi capibanda sono ricomparsi dopo che gli e’ riuscito non tanto di "tenersi in piedi" nelle mitiche "rovine" di evoliana memoria di un occidente al tramonto, o di "salvare il paese" ma, piuttosto dopo essere stati in grado di restare assolti tra i piu’ prosaici ruderi di una giustizia di stato incapace di qualsiasi giustizia. Del resto hanno sempre goduto della sponsorizzazione dei servizi segreti, della massoneria, degli industriali e degli apparati dello Stato capitalista. Le coperture del sistema non sono mai mancate a questi teorici "dell’antisistema".
La loro tournèe continua. Si replica. Ma il loro "copione è immutato, ormai un classico di repertorio, una maschera italiana: "Non so", "non ricordo", "sono stato ingannato", "non ho mai fatto parte dei servizi segreti".
Ora pretendono di autocanonizzarsi, di beatificare ognuno la sua biografia come una carriera da "vittime della giustizia borghese" ed esigono che gli venga riconosciuta una presunta buona fede politica buttando nel cesso qualsiasi coordinata etica ed umana che sia fuori dal loro antico e persistente delirio di onnipotenza e morte.
Il paese e’ zeppo imbottito di "verita’ alternative" tanto che non distingue piu’ la storia dalla fiction, l’informazione dall’intrattenimento. Ai piu’ il mondo appare caotico, gli avvenimenti precipitati in un caos oscuro, ingovernabile e minaccioso. Incapaci di distinguere tra fantasia e realtà, di separare i desideri dai fatti, prigionieri dei fantasmi di un benessere che dilegua gli italiani non sanno fare altro che abbandonarsi a furiosi sentimenti di distruzione e odio. In questo teatro d’angoscia si sono immersi, navigano e sguazzano gli autonominatesi difensori di "tutto ciò che nell’Occidente può chiamarsi civiltà in senso vero, qualitativo, tradizionale" (e, si badi, di non confonderli con i "tradizionalisti",sic!). Questi signori in lingerie nera si credono sovratemporali e confondono politica e metafisica, infatti fanno "metapolitica" e si immaginano eternamente e praticamente sempre possibili secondo l’essenza di "principi immutabili", i valori e "l’ordine trascendentale" della "tradizione" , con la t grande, di contro alle forme storiche in cui si traduce che sono "solo espressioni particolari e adeguate per un certo periodo e in una certa area..."
Insomma, questi cavalcatori di gatti si sono assegnati giustificazioni metafisiche e metafisici pretesti per scagionare la loro coscienza e farsi un alibi sovrastorico al loro perenne trasformismo politico, alle loro bassezze, ai loro crimini, al loro perverso complessi di superiorita’.
L’obiettivo di questi signori del "Non so", "non ricordo" elevatisi a strenui difensori della "tradizione" non e’ tanto "trascendentale" come vorrebbero darci a bere: essi vogliono trasformare l’immagine classica dell’estrema destra italiana per ripulirla del suo passato efferato, delittuoso e scellerato. Per dirla con le parole di un noto "non ho mai fatto parte dei servizi segreti" questo significa: superamento dell’area neo-fascista: "cioè non sentire la necessità, in ogni momento, di richiamarci ad una terminologia, a dei riferimenti storici o meno storici, per fare come qualcuno nel passato faceva: far sentire emozioni e quindi attrarre verso di sé queste componenti; ma tentare lucidamente di costruire una progettualità politica che ci rigetti nella storia di oggi per poter conquistare il nostro futuro"
Non e’ un caso, che in linea con questa sua "nuova progettualita’ politica" questo famoso signor "sono stato ingannato" sostiene la tesi per cui "l’area storica" dalla quale proviene (neo-fascista ecc) non coincide più con "l’area politica" e che oggi egli lavora alla costruzione non di un "movimento politico" ma di una "rete", cioe’ si occupa di utilizzare i "rapporti personali" per "riunire uomini capaci di elaborare tematiche politiche che siano parte integrante di un progetto politico in prospettiva".
Questa divergenza tra "area storica" e "area politica" non vuol dire che i soldati del "non sapevo" si sono ritirati dalla politica attiva ma, semplicemente che per loro al momento e’ importante riunire uomini singoli che "superino lo spazio politico attuale considerato quello di destra" e che siano capaci di attuare una strategia che contestualizzata in una crisi di tutti i "settori politici" consenta di creare un "progetto politico di prospettiva: un "punto di riferimento di tutti i settori di crisi che esistono, nelle varie aree politiche presenti nel Paese. ("E quindi non muoversi orizzontalmente, ma muoversi in modo verticale: per fare questo, un movimento politico sarebbe negativo.")
Questa "nuova sintesi politica" e’ poco piu’ del putrefatto "mussoliniano andare verso il popolo"...Ora, se il populismo delle classi dirigenti e dei padroni e dei loro servi e’ d’obbligo (vedi Berlusconi e neofascisti), risulta difficile comprendere certo entusiasmo, pure malcelato, tra le fila della sinistra per questo marciare verso "il popolo". Il crollo dei sistemi politici consolidati, la crisi della rappresentanza, del welfare state, della forma-partito e più in generale della mediazione politica tradizionale apre spazi di una possibile autonomia di classe, ma a patto che non si inseguano immaginarie "terze vie" interclassiste. Come ha scritto il Sub comandante Marcos: "Nella complicata geometria politica europea, la cosiddetta "terza via" non solo è risultata letale per la sinistra, ma è stata anche la rampa di lancio del neofascismo".
L’alternativa alla politica rappresentativa all’interno di una prospettiva neopopulista sostituisce "l’asse destra-sinistra" con un generico ed astratto "asse giustizia sociale-sicurezza", ovvero liquida il conflitto sociale di classe. L’idea di "politica partecipativa" e "neocomunitarista" non ha nulla a che spartire con una pratica sociale di autorganizzazione ed autodeterminazione di classe.
Eppure, le sirene del populismo cantano anche a sinistra al punto che i suoi "militanti", o meglio i suoi dirrigenti ed aspiranti tali nel loro lessico hanno sostituito il termine "classe" con quello di "popolo" con la presunzione che le parole e le forme dell’agire politico non contano piu’ di tanto e si possono manipolare senza problemi come strumenti "neutri" ed innocui, interclassisti?
Ormai non si contano piu’ gli "schieramenti politici" che a chiacchiere si battono contro il mondialismo, l’ultraconsumismo atomizzante delle societa’ liberali sostenendo un ritorno ai "paradigmi" del "nazionalismo", alla difesa delle prerogative degli stati nazionali, delle culture/costumi/tradizioni di una "civilta’"(quale?) contro la "societa’ multietnica"... In sostanza, si fa una gara nello sport la cui abilita’ consiste nell’indispettire "l’ordine mondialista" a favore degli oppressi cercando o sperando di ripristinare tutti i pilastri "tradizionali" dello sfruttamento e della repressione di classe: interclassismo, piccole patrie, paternalismo economico, moralismo di merda. Non c’e che dire, questi liberatori di popolo hanno proprio un bel piano di "liberazione"! Ma anche qui, fino a quando si tratta di neofascisti mutanti uno puo’ anche dire: e’ normale!. Infatti il dubbio ci assale quando a rincorrere la destra sul suo terreno sono persone che si dicono comuniste...
"La nostra strada non va né a destra né a sinistra.Va avanti dritta.", cosi’, citando Ernst Junger un’altra star del "non mi ricordo" definisce "l’innovativa" linea politica, nonche’ compito storico, della " Lotta di Liberazione dall’occupazione mondialista." Quest’altro aristocratico guerriero della "tradizione" vuole fondare un "Fronte di tutti gli italiani, qualunque sia stato il loro passato politico", assemblare materiali e militanti politici diversi per vincere le due grandi scommesse del secolo! E manco a dirlo queste nuove sfide al secolo sono "il lavoro e l’identità nazionale."
E gia’!, se non vai verso il popolo sei perso e allora giu’ ad edificare un "riferimento dinamico" per dare vita ad un "movimento di liberazione sociale ed etno-culturale del Popolo italiano e dei Popoli europei, nella previsione della loro autodeterminazione in un quadro unitario di un’Europa che geopoliticamente si estende (Progetto Eurasia) da Lisbona a Vladivostok. Liberazione, ancora, dalle logiche del Mercato Unico Globale che manovra la disperazione e la miseria. Liberazione, infine, dall’ingerenza di tutti gli organismi internazionali e delle strutture politico-militari sopranazionali nella vita interna dell’Italia e dell’Europa."
Anche in questo caso gli "strumenti" di tale "inedito" programma politico, mutuato da ex volontari delle SS, non sono orientati alla creazione di un "movimento politico" ma strutturati come "laboratori politici" di "comunicazione dinamica e d’intervento sociale sul territorio"
Manco a dirlo! essi si posizionano "al di là della destra e della sinistra". Concetti che secondo quest’altro nostro "non ho mai fatto parte dei servizi segreti" sono superati: "laddove la destra rappresenta un’acritica accettazione di valori ritenuti tradizionali e che, invece, inverano la conservazione di un mondo di cui nulla può essere salvato, perché esso coincide con la difesa dell’Occidente che è nemico dichiarato non soltanto del pensiero eretico nel quale ci si riconosce ma di qualsivoglia tensione ideale diretta a rifiutarlo ed a scardinarne l’assetto politico,sociale ed economico".
L’ideologia della morte delle ideologie viene continuamente ripresa come una prova inconfutabile e quasi scientifica dell’omogeneita’ " in senso liberaldemocratico delle categorie concettuali politiche e delle vecchie forme di partito" e del fatto che sono "Tutti figli e tutti servi del Pensiero Unico che sa di oro e di usura". Ovviamente, loro, i signori "non so", "non ricordo", "sono stato ingannato", "non facevo parte dei servizi segreti"...non sono dei servi.
No! proprio loro a cui le convulsioni prodotte "dal dominio mondialista e globalizzante" ha permesso di riemergere dagli scantinati della storia e di ritagliarsi uno spazio politico sui rifiuti e l’immondizia prodotti dal mercato mondiale non sono dei "servi" ma, udite udite!, i novelli guerrieri di uno "scontro epocale". Fino all’altro ieri strisciavano nei sotterranei del ministero dell’interno, compivano agguati ai danni dei militanti di sinistra in tutto il paese, mettevano bombe e facevano stragi , si genuflettevano dinnanzi alle dittature di mezzo mondo e militavano in gruppi paramilitari assoldati come mercenari, torturatori ed esperti di "tecniche di propaganda controrivoluzionaria", oggi, di colpo, questi lombrichi umani si presentano al servizio delle "identita’ e delle culture negate".
I termini dello "scontro epocale" non possono essere dipinti come contrapposizione destra/sinistra, espressioni concettuali prive di significato, dice il nostr cavalcatore di gatti, ma solo "come riaffermazione di Idee Forza capaci di creare forme autentiche di resistenza al dominio mondialista e globalizzante. Idee che possono rinvenirsi soltanto nel comunitarismo, con la riaffermazione delle Comunità di Popolo e, quindi, della riscoperta delle identità e delle culture negate".
A colpi di metafisica o di "metapolitica" il conflitto capitale/lavoro viene scambiato con un’atopica geofrafia nord-sud, idea-nord e idea-sud, con le "contraddizioni interimperialiste" o anche con il "nazionalismo" che si batte (davvero?) "contro il disegno mondialista delle centrali di Superfinanza".
Cittadino, comunita’ di popolo, idea forza, lotta di liberazione dall’occupazione mercantilistica mondialista, economia orientata organicamente veso "il valore al servizio della comunita’"..Banche, imprese, profitto, proprieta’ a detta di questo "non ricordo" sono "funzioni della comunita’": non vanno distrutte ma, reindirizzate...
Si sa’, una bella dose di corporativismo non guasta mai...
Daccordo sono fascisti non ci si poteva aspettare nient’altro che un po’ di sansepolcrismo condito da accoltellamenti e aggressioni quotidiane ai "figli del popolo" che sono neri, che sono comunisti, che sono ebrei, che sono diversi...
Vabbene! ma con tutta questa melma teorica inverata nelle imboscate vigliacche cosa centra con la sinistra?
Nulla se non fosse che proprio la "sinistra", nello specifico Rifondazione comunista propone un modello di superanto della crisi della "forma-partito" contigua agli archetipi che anima il ritorno nell’attuale teatro politico italiano dei vecchi leader neonazisti-neofascisti , degli stragisti riciclatisi "comunitaristi", "mutualisti", "neopopulisti"...
Nei ragionamenti intorno all’ipotesi di "partito sociale" si propone un "nuovo mutualismo" come "modalita’ dell’agire politico" e antitodo "all’autoreferenzialita’ della forma partito" e come valore costitutivo di "comunita’" e forme solidaristiche di "aggregazione territoriale". M. Weber distingue metodologicamente tra "comunita’", cioe’ una una relazione sociale cui la disposizione dell’agire poggia su una comune appartenenza soggettivamente sentita (affettiva o tradizionale) degli individui che ad esso partecipano, e "associazione" intesa come una relazione sociale in cui la disposizione dell’agire sociale poggia su una identità di interessi, oppure su un legame di interessi motivato razionalmente.
Nella proposta del "partito sociale" mentre gli "interessi immediati" che costituirebbero la base della "comunita’" appaiono, o sembrano, abbastanza chiari, non e’ altretttanto evidente di quali elementi sia composta la sua comune "appartenenza soggettivamente sentita"!?
Questa "determinazione di valore" sembra restare (ma forse mi sbaglio) su un terreno ambiguo, cioe’ sul piano di una declinazione della solidarieta’ in termini astrattamente universalistici (interclassisti?) e di un generico spirito di fratellanza in un "rapporto tra eguali". Forse sbaglio, ma sarebbe importante capire se questa "solidarieta’ dal basso" e’ intesa come un principio di classe o come un principio di ordine sociale. E’ fondamentale e sostanzioso conoscere se questo progetto assume consapevolmente una sua "competenza etica", cioe’ se esso assume come strategia e finalita’ il partire da una molteplicita’ di pratiche particolari per arrivere ad imporre generalmente una questione piu’ ampia che riguarda la trasformazione complessiva della societa’ (strumento per realizzare un modello di società alternativo a quello capitalistico) oppure, se esprime un tentativo di riassorbire la distruzione del welfare state e che nel contesto di uno Stato in difficoltà, consapevolmente o meno, si rivela uno strumento di contenimento della spesa pubblica.
Il mutualismo di cui si parla nella proposta di "partito sociale" poi, si presentera’ anche come un’impresa sociale che vive nel mercato? per coniugare cosa? Solidarieta’ ed efficienza economica? Un dispotivo che si candida a ricostruire il "capitale umano", a ri-creare quelle "competenze produttive", "reti di cooperazione", "relazioni sociali" adeguate alle nuove necessita’ della produzione di valore che le politiche neoliberiste hanno distrutto!!? Oppure contempla anche la possibilita’ di "non massimizzazione dell’efficienza economica" quando questa si rivelasse contraria ai vantaggi, alla qualita’ della vita (orari di lavoro,autogestione del tempo, competitivita) dei soggetti che partecipano a questa relazione
mutualistica-cooperativa? (non sto’ parlando di menate decresciste)
Non pronunciando un giudizio negativo sul "mutualismo" si possono capire i limiti e le potenzialita’ e i termini in cui il "partito sociale" vuole riproporlo.?
E’ esso, una risposta dal basso in termini di autoamministrazione, "autorganizzazione della poverta’" dinnanzi alla crisi economica, ai cambiamenti strutturali dell’economia capitalistica o un tentativo di trasformare il lavoro decomposto e polverizzato sul territorio in una soggettivita politica? Un modello possibile per innescare un processo di ricomposizione sociale, un recupero di autonomia sui modi e tempi della vita quotidiana per produrre conflitto oppure uno strumento che si colloca all’interno del "legalitarismo", semplice strumento di "emancipazione economica"?
A proposito della proposta di "partito sociale", per non citare certi suoi epifenomeni definitesi "ronde sociali", chiedo: stiamo discutendo di una proposta di cooperazione sociale configurata come strumento vitale di un processo strategico di liberazione, di autorganizzazione che generi coscienza di classe e lotte o di un modello mutualistico, neocomunitarista, sostanzialmente interclassista?
La domanda mi sembra lecita dal momento che nei confini di un mutualismo comunitarista basato su "una comune appartenenza soggettivamente sentita tradizionale" privo di un’esplicita connotazione di classe oggi si costruiscono alleanze d’interessi territoriali reazionarie (la lega nord) e ammortizzatori ideologici del collasso sociale di cui e’ preda la societa’ italiana ( vedi la la nuova destra radicale, De Benoist, neocumunitaristi -neofascisti).
E’ possibile che questa proposta chiarisca la differenza, la discontinuita e l’assoluta non contiguita’ con certe ideologie funzionali alla logica dello sfruttamento e del controllo per cogliersi coscientemente come un potenziale di ricomposizione gli spazi che si aprono nella societa’ civile sulla base della crisi dello Stato sociale.?
Inoltre forse in questo progetto "neomutualista" si tiene conto della situazione di sviluppo diseguale che caratterizza le varie aree del paese.? Quale possibilita’ ha di attecchire una proposta diciamo di welfare territoriale e mutualistico al Sud quando verra distrutta la contrattazione sindacale nazionale a favore di una contrattazione territoriale che rendera quella terra una colonia del capitale del Nord per sfruttare manodopera a basso costo e contemporaneamente il "federalismo fiscale" ricollochera’ i profitti di queste imprese nel loro territorio d’origine?
Quale configurazione assumera il "modello mutualistico" proposto? Una forma di solidarieta’ informale, non organizzata, illegale, conflittuale o sottomessa alla criminalita’?
Quale democrazia economica sara’ possibile in quel contesto? Quali circuiti di produzione-cooperazione non mercificata nei settori abbandonati dallo stato saranno realisticamente praticabili?
Di quali "risorse aggiuntive" da canalizzare in "politiche sociali" disporranno i lavoratori e le lavoratrici che vivono alla ventura, senza alcuna sicurezza e stabilita economica?
Essi saranno costretti a scegliere se gestire la loro precarieta’ individualmente, arrangiandosi in circuiti informali o attraverso il conflitto collettivo, ma in questo caso le "risorse aggiuntive" vanno prese dove sono, letteralmente espropriate.
Chi sara legale e chi illegale?
E da che parte stara il "partito sociale"? Non dico filosoficamente ma praticamente e concretamente.
– Seguo con vivo interesse i lavori in corso nel partito della Rifondazione Comunista, a parte i "funzionari di rito" vorrei avere chiarimenti riguardo alla rotta sulla quale si vuole navigare. Attendo fiducioso.
Messaggi
1. il "partito sociale" come strumento per la lotta di classe, 20 ottobre 2008, 16:09, di Comunista
I dubbi citati nell’articolo sono importanti. E forse dovrebbero essere fatti presenti ad alcuni promotori del "partito sociale": sul palco alla fine del corteo dell’11 ottobre, per esempio, si citavano i GAP di Roma (Gruppi di Acquisto Popolare, diffusi in molte città italiane, che consentono la fornitura di pane a 1 Euro al kg) come metodo di "lotta alla speculazione". Ora, è vero che i panificatori laziali fanno cartello e rialzano artificialmente il prezzo del pane... ma che succede se il prezzo del grano aumenta ancora e diventa insostenibile anche in assenza di cartelli? Non è forse il caso di alzare il livello del messaggio, mettendo in evidenza le contraddizioni del sistema capitalistico in sè? E se quest’ultimo messaggio pare troppo "complesso", non è forse il caso di rivalutare attentamente le proprie strategie comunicative?
I GAP, e più in generale le iniziative del partito sociale, devono essere degli strumenti che consentano:
1. di raggiungere le masse (sotto)proletarie nei loro territori;
2. di rispondere ad esigenze immediate (lotta al carovita, spazi di sport e socializzazione, ecc), coinvolgendo gli interessati e formando al contempo dei quadri militanti in grado di portare avanti i progetti;
3. di rendere evidente la comunanza di ruolo produttivo e bisogni, e la possibilità di cooperazione, della gran parte della popolazione.
Il primo punto consente di superare la frammentazione produttiva e occupazionale che rende oggi pressochè impossibile fare politica tra le masse sui luoghi di lavoro. La lotta e l’organizzazione dei lavoratori nelle fabbriche deve proseguire ed estendersi, ma va affiancata ad un radicamento su base territoriale: come diceva Togliatti, "una sezione per ogni campanile".
Il secondo punto crea le basi e le competenze per la costruzione e l’organizzazione di una società alternativa. E risponde ad una domanda cruciale: i comunisti sanno fare qualcosa, oltre a denunciare che tutto va male e sognare la rivoluzione (o almeno un posto in consiglio comunale)? La risposta deve essere: sì, sappiamo sporcarci le mani e organizzare un minimo di resistenza, e degli strumenti che migliorino, qui ed ora, le condizioni di vita delle nostre classi di riferimento - condizione fondamentale per portare avanti delle lotte con maggiori possibilità di successo.
Il terzo punto non è altro che la ricostruzione di una coscienza di classe tra le masse.
Detto in altri termini, il lavoro del partito sociale deve puntare a ricreare ciò che una volta erano le associazioni mutualistiche del movimento operaio (cooperative di consumo, casse mutua, case del popolo, ecc). Su questo terreno associativo, strettamente legato all’ambito sindacale, si è storicamente radicato il movimento comunista, in qualsiasi parte del mondo: questo livello associativo, di per sè, nasceva per portare avanti la lotta economica, mentre il partito comunista con i suoi quadri spingeva in avanti le istanze politiche. Ma mentre un tempo i comunisti potevano "dar per scontata" l’esistenza di queste associazioni di massa in cui operare, oggi siamo in una situazione tale da dover lavorare in prima persona per ricrearle. Tenendo ovviamente conto del mutato contesto produttivo, e dunque sociale e politico, del giorno d’oggi.