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impiccare Saddam?
a cura di Paolo De Gregorio – 28.12.06
In ogni rito giuridico, quando esso non è pilotato o addomesticato, il massimo interesse per accertare la verità è dedicato alla ricerca dei mandanti del delitto, non solo ai “killer”.
Saddam è senz’altro un killer, un uomo tronfio del suo potere, ma la sua maggior colpa, anche in termini di numeri, un milione di morti, fu quella di eseguire gli ordini di Bush padre per punire l’Iran che con la rivoluzione islamica komeinista si era sottratto all’egemonia Usa.
Il vero mandante di questa guerra, l’America, fornì anche l’arma del delitto, ossia quelle famose ed imponenti forniture di armi, comprese quelle chimiche, che resero l’ego del killer Saddam ancora più tronfio e megalomane, e costituirono la base per fargli pensare alla invasione del Kuwait, debole statarello confinante, già protettorato inglese, la cui facile conquista avrebbe esaltato le virtù guerriere del dittatore e costituito la riparazione di un torto subito dall’Impero inglese.
Sempre l’America, così desiderosa di portare le democrazia, soprattutto dove c’è molto petrolio, intervenne con la prima guerra del Golfo, poi con l’embargo anche delle medicine (che costò secondo l’Unicef 500.000 bambini irakeni morti), e poi con Bush figlio (buon sangue non mente) con la 2° guerra del Golfo, chiamata guerra preventiva, per distruggere armi di distruzione di massa della cui esistenza gli Usa avevano fabbricato false prove e orchestrato una martellante campagna mediatica.
25 anni di massacri, sofferenze, inquinamento anche da uranio impoverito che ucciderà ancora per secoli, per biechi interessi geo-politici ed economici di una nazione, non contenta di vivere sulle sue pur grandi ricchezze e capacità industriali, ma che dalla fine della 2° guerra mondiale va a intromettersi in tutte le situazioni nel mondo in cui vede in pericolo i suoi interessi economici e strategici.
Prima doveva fermare il comunismo, poi il terrorismo, ora vuole diffondere la democrazia con la guerra preventiva, e non si capisce fino a quando il mondo, oltre a sopportare tutte queste guerre provocate dagli Usa, dovrà far finta di credere che esse sono una espressione di democrazia, e non già di una ignobile prepotenza coloniale basata solo sul fatto che gli Usa sono l’unica superpotenza militare con 900 basi diffuse in tutto il mondo e flotte di portaerei e sottomarini con cui minacciano e ricattano tutti.
E ci risiamo. Un’altra guerra per procura è in cantiere a cura dell’instancabile grande fratello americano, che appoggia l’Etiopia nell’aggressione alla Somalia, con la risibile motivazione che le “corti islamiche”, che hanno preso il potere in Somalia, sono piene di talebani, e che esse, domani, minacceranno l’Etiopia cristiana.
Anche qui si sfruttano cinicamente le credenze religiose, come Saddam sunnita fu usato contro l’Iran sciita.
La disinvoltura e l’ostinazione con cui gli Usa mettono in piedi guerre, che poi sul campo perdono o comunque si rivelano dei fiaschi, fa pensare ad una nazione che assomiglia ad un pugile suonato che vede il mondo come un enorme ring.
Con tutta la buona volontà non riesco a scorgere un barlume di comportamento democratico nella politica Usa, e credo che l’Europa oggi ha dei danni economici e politici enormi a mantenere l’alleanza nella Nato e le numerose basi militari in territorio europeo da cui partono missioni di guerra unilaterali, si fanno rapimenti con destinazione Guantanamo, si pratica la complicità con torturatori e assassini (come ha dimostrato il fatto Abu Omar-Sismi).
Personalmente io non impiccherei nessuno, ma se impiccheranno Saddam e non il suo ispiratore e fornitore di armi Bush padre, una ennesima ingiustizia e falsificazione storica sarà fatta e, volendo vedere la cosa in termini più terra terra, l’uccisione di Saddam non credo che piacerà ai milioni di sunniti che ne addosseranno agli Usa la responsabilità e la guerra in Irak diventerà ancora più feroce.
Paolo De Gregorio
Messaggi
1. impiccare Saddam?, 28 dicembre 2006, 22:21
Pur contrario per principio alla pena di morte e pur convinto del fatto che quel processo non dava le minime garanzie alla difesa ( un giudice considerato troppo "molle" è stato addirittura cambiato in corso d’opera), debbo ammettere che francamente della vita di Saddam Hussein non me ne frega niente.
Come si suol dire, se come per Mussolini si fosse risolto tutto con una mitragliata appena catturato, non avrei certo pianto lacrime amare per la fine miserevole di un dittatore sanguinario.
Qui l’impressione è però un altra, quella che ci si voglia liberare di un pericoloso testimone.
Testimone appunto di molte delle cose che si sono dette nell’articolo iniziale.
Saddam è stato condannato a morte per una strage in una cittadina sciita compiuta nel 1991 con le armi chimiche fornite da Usa e Gran Bretagna e non, ad esempio, per il massacro, quasi un genocidio, di comunisti irakeni che fece dopo la sua presa del potere.
Non voglio certo sostenere che i comunisti valgano più degli sciiti, peraltro molte delle vittime di Saddam all’ epoca della sua presa del potere erano contemporaneamente sciiti e comunisti.
E del resto, Saddam non ha scherzato nemmeno col massacro dei kurdi.
Credo quindi che la scelta del reato specifico, senz’altro grave ma anche minimo rispetto ad altri compiuti dallo stesso Saddam, che si è voluto mettere al centro di questo processo sia stato volutamente scelto come fatto simbolico.
Per ingraziarsi, da parte degli Usa, gli ayatollah sciiti messi oggi al potere ( magari per mitigare i problemi che potrebbero con costoro in caso di attacco Usa all’Iran sciita governato da altri ayatollah ) e soprattutto per "coprire" mediaticamente e simbolicamente proprio quella parte di crimini che Saddam ha commesso agli ordini diretti degli stessi Usa ed in particolare di Bush padre.
Ed anche questo zigzagare contraddittorio ed opportunista della dirigenza Usa dimostra che non hanno nemmeno una precisa strategia e che sono oggettivamente destinati, in Irak e dovunque, ad una durissima sconfitta, politica e militare.
2. impiccare Saddam?, 29 dicembre 2006, 18:04
Vendetta
Marco d’Eramo da "Il Manifesto" 27.12.06
Ieri la corte d’appello ha confermato la condanna a morte di Saddam Hussein che dovrà essere impiccato entro trenta giorni. Sempre ieri, il numero dei soldati americani morti in Iraq (2.975) ha superato il totale delle vittime degli attentati dell’11 settembre 2001 nelle Twin Towers di New York, nel Pentagono e nei quattro aerei sequestrati dai terroristi di Al Qaida (2.973). Ai soldati Usa andrebbero poi aggiunti 143 statunitensi uccisi come mercenari.
La simultaneità di queste due notizie di morte è letteralmente micidiale. Nessuno dubitava che la condanna del dittatore iracheno sarebbe stata confermata: il meno che si possa dire è che non c’era una grande suspence intorno al verdetto. La pena di morte è sempre barbara, anche per un tiranno sanguinario. Nelle guerre antiche il sovrano vinto veniva spesso ucciso o si suicidava. La sua morte non veniva però ammantata di nobili motivi giuridici: moriva perché aveva perso. Gli Stati uniti invece sentono il bisogno di addobbare una nuda vendetta in una veste di meritata punizione, lasciando in bocca sempre il sapore amaro del diritto come «arma del più forte contro il più debole», e non come «tutela del più debole contro il più forte» (erano questi i due corni del dibattito sul diritto tra i sofisti del IV secolo a. C.): nel processo di Norimberga, dopo la seconda guerra mondiale, gli Usa espunsero dai crimini tedeschi i bombardamenti sulla popolazione civile di Londra perché altrimenti anche loro sarebbero stati processati per Dresda, Hiroshima, Nagasaki. Da allora bombardare inermi civili non è più un crimine di guerra.
Con l’impiccagione di Saddam Hussein vendetta sarà compiuta. Se qualcosa c’era da vendicare che non fosse frutto delle ossessioni di Dick Cheney e di George Bush il giovane, visto che l’Iraq non aveva nessun legame con al Qaida e che non possedeva nessuna arma di distruzione di massa. Ma anche la supposta razionalità della vendetta, del «fargliela pagare» si è dimostrata arbitraria, priva di ogni logica. Anche se fosse una ritorsione - che non è -, essa è ormai costata più di quel che doveva ritorcere. In vite umane, gli americani hanno pagato in Iraq (senza contare l’Afghanistan) più di quanto fosse costato loro l’attacco dell’11 settembre. E, en passant, hanno provocato più di 600.000 morti irachene, hanno distrutto città, messo in ginocchio un’economia, privato 25 milioni di persone di acqua, luce, benzina. Hanno disintegrato un paese e hanno attizzato un incendio che rischia di divampare in tutta la regione. Non sappiamo come avrebbe reagito all’11 settembre Al Gore, se nel 2000 l’elezione non gli fosse stata scippata con un broglio in Florida. Ma è certo che non avrebbe invaso l’Iraq. C’è qualcosa di tragico e di amaro nel contare le centinaia di migliaia di morti, nel guardare i veterani amputati sui marciapiedi delle città americane, e pensare che questa furia omicida, cieca, devastatrice ha trovato origine in una frode elettorale a 12.000 km di distanza.
L’ironia diventa ancora più crudele se si pensa che l’unica soluzione rimasta agli Usa per districarsi dal disastro iracheno è trovare alla svelta un altro Saddam Hussein, un altro uomo forte che riesca con le spicce a restaurare l’ordine e a fermare la deriva, oggi inarrestabile, verso la guerra civile.
3. impiccare Saddam?, 29 dicembre 2006, 21:58
19:00 Pannella: "Un martire del terrorismo"
"Senza l’esecuzione, magari con la sua sospensione, Saddam avrebbe dovuto rispondere ad altri processi, più gravi di quello, sospetto e iniquo, che gli è stato fatto". Così Marco Pannella, che prosegue lo sciopero della sete e della fame contro la morte dell’ex raìs: "Senza l’esecuzione voluta da Washington, da Bush, si sarebbe potuto ancora ascoltare dalla difesa di Saddam storie e storia, in primo luogo quelle delle complicità ’insospettabili’ delle quali il dittatore poté godere o dalle quali è stato istigato e armato. In tal modo si regala un martire al terrorismo internazionale. Ma si chiude la bocca al complice".
www.repubblica.it 29.12.06