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iniziativa popolare per una nuova legge elettorale

Publie le giovedì 9 novembre 2006 par Open-Publishing
3 commenti

Iniziativa popolare per una nuova legge elettorale
a cura di Paolo De Gregorio - 1 novembre 2006

Qualunque movimento, da quello studentesco, ai pacifisti, ai girotondi, ai no-global, che coglie sicuramente una crisi o una mancata rappresentatività dei partiti, se non vuole rifluire nel NULLA, si deve porre un obiettivo, UNO, unificante, e su quello insistere tenacemente fino alla vittoria.
Varrebbe la pena che tutte le persone che NON si riconoscono nell’attuale sistema di funzionamento della democrazia, potessero trovare un terreno di unificazione e di iniziativa che riguarda la riforma della legge elettorale, attraverso la presentazione di un disegno di legge di iniziativa popolare.
Il meccanismo fondamentale, che dovrebbe produrre democrazia, è quello elettorale, ed è lì che si producono enormi danni che fanno della democrazia una parola vuota che non produce partecipazione, passione civile, ma rassegnazione e alienazione.
Le regole elettorali, che per i laici dovrebbero essere paragonabili, per importanza, ai comandamenti per i cristiani, sono così definite, oggi 1° novembre dal moderatissimo Giovanni Sartori, nell’editoriale del Corriere della Sera: l’ultima malefatta di Berlusconi è la legge elettorale varata sotto elezioni, che il suo stesso estensore ha definito una porcata.
E prosegue riportando la iniziativa referendaria del costituzionalista Giovanni Guzzetta che propone l’abrogazione di due punti che riguardano la facoltà di collegamento elettorale dei partiti, e l’eliminazione delle candidature multiple dei personaggi acchiappavoti.
Iniziativa lodevole, ma parzialissima, che però ci fa capire quanto questo noto intellettuale, e Sartori stesso, non siano in grado nemmeno di inquadrare il problema, e indicare la strada che si dovrebbe percorrere per fare delle elezioni un momento veramente democratico che sancisca la eguaglianza dei cittadini.
Siamo infatti pericolosamente vicini alla farsa elettorale, o alla festa delle “lobby”, che i cittadini americani subiscono ormai con una disaffezione del 60% del corpo elettorale, in cui emergono solo i candidati espressione di interessi economici particolari o miliardari che si possono permettere di pagare la propria visibilità.
La regola non scritta, ma nella realtà unica e ferrea legge esistente, è quella del denaro che, elargito da organizzazioni economiche o di tasca propria, permette la visibilità e quindi la possibile elezione dei singoli deputati. Il costo minimo negli Usa per un posto di deputato al Congresso si aggira sul miliardo di vecchie lire, ed è insostenibile da una persona normale, che non voglia sottomettersi alle lobby, né dipendere da quelle ebraiche o evangeliche, e che non può sperare in un passaggio televisivo in una delle 50 Tv private che coprono gli Stati Uniti, tutte di proprietà di miliardari o di multinazionali.
Qui la dittatura del capitale è evidente, ostentata, legale, e il risultato è che meno del 40% dei cittadini Usa si reca alle urne, e per capire gli effetti di questa parodia della democrazia, basta osservare che la aggressiva politica estera Usa a cui è invisa proprio al 60% degli americani, cosa che non impensierisce minimamente l’esportatore di demokrazia Bush.
Torniamo in Italia, ricordando che abbiamo consentito ad un soggetto proprietario di 3 televisioni e di metà dell’editoria stampata, di presentarsi alle elezioni come un cittadino qualunque, considerando spudoratamente questo un fatto democratico e una “libertà” del noto personaggio.
Ma se un solenne principio costituzionale ci vuole uguali davanti alle leggi, perché mai questo principio è totalmente violato di fronte al rito più fondamentale della democrazia che è quello delle elezioni?
E’ esiziale che si vada a definire una serie di regole rigidissime per una legge elettorale che deve rappresentare una rivoluzione culturale volta a mobilitare la passione civile e l’etica democratica dei cittadini.
 Il primo principio che deve ispirare queste regole è che il denaro non possa avvantaggiare un candidato che lo possiede ai danni di un concorrente che non lo ha.
Quindi gli strumenti consentiti nella campagna elettorale devono essere uguali per tutti e limitati tassativamente ai comizi e alla propaganda porta-a porta, con la distribuzione del proprio programma politico stampato.
Manifesti e “santini”, che premiano la visibilità di chi se li può permettere, vanno vietati, pena l’esclusione dalle liste, e anche il luogo fisico dei comizi deve essere messo a disposizione dai Comuni e offerto gratuitamente ai candidati.
Non vi è alcuna limitazione nella “libertà” di comunicare, comizi e rapporti diretti con i cittadini sono più che sufficienti, più riflessivi, e mettere nero su bianco il proprio programma è dimostrazione di serietà.
Si parla sempre di costi della politica. Sarebbe ora di adottare queste norme che tagliano drasticamente i costi delle campagne elettorali, le rendono più riflessive e meno legate alla creazione di false immagini e suggestioni superficiali.
 Il sistema elettorale deve essere proporzionale, a doppio turno, con uno sbarramento al 5% e che impedisca apparentamenti tra partiti, senza premio di maggioranza, con l’indicazione delle preferenze, abolendo le liste bloccate con candidati scelti dalle segreterie dei partiti.
I 15 giorni tra il primo e il secondo turno servono, con i risultati elettorali alla mano, a consentire ai partiti un accordo con l’indicazione del capo del governo, e dare così, ai cittadini che avessero votato un partito bloccato dalla soglia del 5%, la possibilità di far contare il proprio voto nel secondo turno.
 La più importante delle nuove regole elettorali, e vero segnale di rinnovamento e discontinuità, è quella di rendere ineleggibile chiunque abbia compiuto due legislature, con l’enorme risultato di non avere più politici di professione, ma un ricambio al passo con il rapido evolversi della società e della economia.
Va in tale direzione anche Beppe Grillo sul suo blog, con il post Uno, due, RESET del 23.10.06 con una proposta di legge popolare con raccolta di firme per ridurre a due il numero di legislature per i parlamentari. Effetto retroattivo. Due e basta, poi si torna a lavorare.
 “I parlamentari sono nostri dipendenti” (Beppe Grillo) e la retribuzione giusta la decidiamo noi cittadini che siamo i loro datori di lavoro.
E apriamo lo scandaloso capitolo delle retribuzioni e delle pensioni dei parlamentari. L’appannaggio attuale dei parlamentari è vicino ai 30 milioni al mese di vecchie lire.
Lo stipendio secco, uguale per tutti, senza indennità speciali di alcun tipo, deve essere quello di un magistrato di Corte di Cassazione e stabilito una volta per tutte dalla legge elettorale.
 Bisogna assolutamente abolire anche la pensione di parlamentare. I deputati, durante il tempo massimo di due legislature, hanno diritto ai contributi pensionistici che normalmente essi versano nella loro professione: se c’è un deputato operaio l’amministrazione parlamentare gli verserà i contributi previsti per la sua categoria per tutto il tempo di permanenza in Parlamento, così per un avvocato o un giornalista, ai loro rispettivi enti previdenziali.
Le pensioni d’oro a vita ai parlamentari che hanno fatto anche una sola legislatura sono uno scandalo e creano odio e ostilità verso la classe politica.
 Abolizione del Senato (e dei senatori a vita), che è un dannoso fattore di rallentamento di tutta la attività legislativa, che rappresenta spesso una disomogeneità con gli equilibri del Parlamento e sarebbe molto più utile per la democrazia avere un numero di deputati più elevato in ragione di collegi elettorali più piccoli e quindi con delegati di maggiore rappresentatività.
 Deve essere abolito il finanziamento pubblico dei partiti perché esso è un ostacolo alla emersione di nuove forze politiche che sono senza mezzi, e comunque è giusto che i partiti brillino di luce propria, ossia finanziati solo dai propri tesserati.
 Ogni parlamentare deve essere processato dalla magistratura ordinaria, come qualunque cittadino, senza alcuna autorizzazione da parte del Parlamento, né godere di alcuna immunità che non sia legata alla sua attività politica.
 Un’altra regola da abrogare, che grida vendetta per manifesto tradimento della volontà del cittadino elettore, è quella che consente ad un parlamentare di cambiare gruppo durante la legislatura, permettendo tutte quelle manovre sottobanco che assomigliano ad un mercato e azzerano la dignità del Parlamento.
Qualunque parlamentare non sia più d’accordo con il suo partito ha solo la facoltà di dimettersi ed essere sostituito dal primo dei non eletti dello stesso partito. Senza se e senza ma!
 I candidati non possono presentarsi in più collegi, ma devono essere residenti da almeno un anno nel collegio in cui si presentano, facendo così finire il potere dei partiti che piazzano nei collegi più sicuri persone di loro fiducia da favorire, e finirebbe lo scandalo delle candidature multiple, acchiappavoti, che sono un palese imbroglio per gli elettori, attirati dalla notorietà del capolista e poi, ad elezioni avvenute, si trovano uno sconosciuto perché il capolista famoso si è dimesso.
 Deve essere INELEGGIBILE chiunque possieda più del 10% di un mezzo di informazione, sia esso televisivo, radiofonico o della carta stampata, perché il proprietario di tali mezzi si trova in intollerabile vantaggio rispetto ad un candidato normale, alterando il risultato elettorale in senso classista.
L’ineleggibilità deve essere estesa a tutti coloro che sono in potenziale conflitto di interesse, a partire dai fruitori di concessioni pubbliche.
Queste norme, ed anche altre eventuali concepite con lo stesso spirito, non sono altro che una richiesta di elementare democrazia e un limite allo strapotere del denaro che ha portato l’uomo più ricco d’Italia alla carica di primo ministro.
Rappresentano anche un ridimensionamento dei costi della politica, una moralizzazione con la fine di privilegi di casta, un ricambio costante degli eletti, e un possibile ritorno alla politica attiva delle persone perbene.
I movimenti, che in questi anni hanno abboccato alle promesse dei partiti di far proprie le loro rivendicazioni, si dovrebbero essere accorti di essere stati ingenui, e che l’inserimento nei partiti di pochi leader dei movimenti è stata una manovra per avere voti e nulla di politico è cambiato, nemmeno la guerra in Afghanistan, decisa da Berlusconi, è stata abbandonata.
Tra pochi mesi si dovrà parlare sicuramente della legge elettorale, e sarebbe bello farsi trovare preparati, magari con Grillo portavoce, con un disegno di legge che sia di svolta, a cui offro il mio contributo, che tolga potere ai partiti, ne dia più ai cittadini e magari coaguli intorno a sé un movimento capace di continuità e di vincere le sue battaglie.
Bisogna convincersi che, se durante la discussione sulla nuova legge elettorale, non saremo capaci di circondare pacificamente il Parlamento con decine di migliaia di persone, e distribuire a parlamentari e cittadini la nostra proposta di legge sulla materia elettorale, niente accadrà per iniziativa dei partiti, che ormai si sono chiusi alla società civile, si sono impossessati della RAI, si sono arroccati nei confortevolissimi “Palazzi”, sono visibili solo loro, e contano sul fatto che la gente rimanga passiva e subalterna.
Paolo De Gregorio

Messaggi

  • A caldo...

    Gli eletti dovrebbero avere uno stipendio pari a quello della categoria più bassa del Paese, così potrebbero capire come si vive con una manciata di euro e, nel contempo, adoperarsi per il miglioramento retributivo di questa categoria e, conseguentemente, per loro stessi (e rimborsati solo delle spese additive reali).

    Gli eletti debbono legiferare nell’interesse dei cittadini e non nell’interesse di strutture private, quindi industriali e finanzieri debbono essere ineleggibili per manifesta incompatibilità con l’interesse pubblico.

    I cattolici praticanti non dovrebbero essere eleggibili in quanto sudditi di un’etica incompatibile con la laicità dichiarata dello Stato italiano, che ne vanificano le intenzioni imponendo i loro principi a tutta la collettività, all’istruzione, alla scienza... Naturalmente non viene messo in dubbio il loro Diritto di seguire i loro precetti, viene semplicemente negata la possibilità, che hanno oggi, di imporli a tutta la società.

    Forse... e ripeto: forse... ad almeno queste tre condizioni potrò pensare di ritornare a votare.
    Cordiali saluti, Roberto

    • Dicevo nel post precedente: A caldo…
      Infatti, così di getto, ho tralasciato alcune considerazioni:

      La fase elettorale che dovrebbe essere un momento importante della vita sociale del Paese è suddivisibile in tre momenti distinti.

      1) La fase preparativa nella quale i partiti mettono a punto i loro programmi e stabiliscono i candidati. In questa fase i cittadini hanno solo un ruolo passivo di ascoltatori.

      2) Il momento del voto, nel quale il cittadino esprime la propria preferenza in base alle promesse fattegli nella precedente fase. In questa fase i cittadini svolgono un ruolo attivo.

      3) Gli eletti svolgono il loro mandato. In questa fase i cittadini hanno di nuovo un ruolo passivo.

      Boh, mi sembra che la democrazia non sia poi un gran che se osservata nella sua essenzialità.
      Mi sembra che al cittadino sia proprio riservato il ruolo di legittimare quello che altri hanno stabilito senza il suo concorso e che, gli eletti, legifereranno in accordo o in disaccordo con le promesse fatte, senza che l’elettore possa interferire minimamente. Questo ruolo è stato definito, in modo un po’ crudo di: utili idioti.

      Allora…
      Non sarebbe più democratico se fossero i cittadini stessi in assemblee attivate nelle strutture pubbliche, sociali e culturali a proporre candidati e, assieme a questi, discutere dei problemi collettivi e predisporre progetti legislativi?
      Non sarebbe più democratico se gli eletti dovessero, obbligatoriamente, rendere conto, periodicamente, agli elettori del loro operato? E non sarebbe più democratico se questi, valutando l’operato svolto dal loro eletto, potessero, eventualmente, riconoscere una sua incapacità e quindi destituirlo dall’incarico?

      Queste, espresse così succintamente (e malamente) non sono riflessioni mie, le ho viste applicate in un Paese che il signor Bush definisce canaglia, ma dove il giorno delle elezioni è vissuto da tutti come una grande festa e in prossimità delle urne elettorali, invece dei militari, ci sono i bambini.
      Ancora un saluto, Roberto