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La CGIL dopo Rosarno
La storia, seppur con modalità diverse, si ripete e noi non impariamo mai nulla da quanto è successo. La CGIL di oggi mi ricorda quella di Ludovico D’Aragona che la governò dal 21 al 1925 e accettò di incontrarsi con Mussolini e D’Annunzio e, dopo l’assassinio di Matteotti, rifiutò la proposta dei comunisti per uno sciopero generale di protesta. Ma, a differenza di allora, non abbiamo un Bruno Buozzi che incarna, seppur nel poco tempo concesso dal fascismo, l’alternativa di classe e socialista al collaborazionismo subalterno e perdente.
All’indomani della drammatica vicenda razzista culminata con la deportazione voluta dalla mafia ed eseguita dal Governo dei lavoratori neri di Rosarno per i quali sono state spese poche parole di circostanza in una intervista di Epifani, mentre i tetti sono pieni di lavoratori stiliti come antenne tv che gridano la loro disperazione ed anche il loro senso di isolamento e di sconfitta, la CGIL non trova di meglio che fare la richiesta di una elemosina, di una mancia di 500 euro una tantum "per rilanciare i consumi"come annota "il Sole 24 ore".Chiede poi l’abbassamento della prima aliquota dal 23 al 20 %.
Riguarda lavoratori e pensionati con redditi fino a 15 mila euro. Ad occhio e croce una beneficiata di pochi spiccioli, qualcosa come settanta centesimi di media al giorno! Rassegna Sindacale parla di una riduzione "strutturale" delle tasse di 100 euro mensili per i prossimi tre anni ma bisognerebbe capire meglio come arriva a questa quantificazione.
Insomma, la questione dell’immiserimento dei lavoratori e delle loro famiglie viene affrontata soltanto dall’unico lato concesso dalla politica di alleanze con i ceti "produttivi" del PD: il lato fiscale. La modalità è quella che era stata inaugurata dal Governo Prodi: la mancia una tantum. Viene ignorata la condizione di milioni di schiavi bianchi e negri per i quali, l’assenza di una legge sul Salario Minimo Garantito, e l’altissimo livello di ricattabilità concesso ai loro datori di lavori dalla legge Biagi, costringe a retribuzioni miserrime medie di 400 euro mensili senza altri diritti. Non viene chiesto un adeguamento generale dei salari falcidiati dal fiscal drag. Le aziende sembrano esonerate dal dovere di
migliorare le retribuzioni dei loro dipendenti. Insomma, il quadro generale dei rapporti sociali non viene toccato. Bisognerebbe chiedere il ripristino della scala mobile, una parola diventata tabù per i dirigenti sindacali, una parola fortemente criminalizzata dalla destra e dal padronato italiano che le attribuisce poteri inflattivi quando invece è sempre servita per trattenere l’aumento dei prezzi. Nel timore di uno scatto di contingenza, le aziende esitano ad aumentare i loro prodotti o servizi. Oggi invece sono scatenate dal momento che è per loro puro profitto senza pagare alcun dazio ai loro dipendenti.
Salario Minimo Garantito, Abolizione della Biagi Scala Mobile e miglioramento della cassa integrazione e del sussidio di disoccupazione dovrebbero essere gli elementi di
una vera riscossa sociale dei lavoratori che oltretutto sarebbero un tonico, un bene per l’Italia, dal momento che soltanto l’osservanza dei diritti e la corresponsione del giusto potrebbero riaprire la strada del risanamento e del progresso. Moltissimi economisti sostengono che migliori salari e meno infelicità nella condizione umana di chi lavora sono la strada per uscire dalla crisi. Invece si ha la netta senzazione che si punti alla salvezza soltanto dei benestanti. Non importa se un terzo della popolazione sta male. Il Senatore Ichino, autotorevole esponente del PD in materia di lavoro, stamane, dopo avere incassato 1150 di aumento del suo stipendione da nababbo della Repubblica, scrive al Corriere della Sera per paventare l’impoltronimento dei lavoratori che se in CiG "rallenterebbero la ricerca di un nuovo lavoro "crogiolandosi negli stravizi concessi dai 400 euro mensili di media e si spinge a proporre una macchinosa offerta di ricerca di lavoro se però gli imprenditori verranno esentati dal controllo giudiziale in caso di licenziamento. Se avranno cioè licenza piena di uccidere e se i lavoratori verranno privati del diritto a ricorrere da un giudice. La CGIL, nel proporre la sua riforma fiscale, si guarda bene dal parlare del costo della politica in Italia che è diventato oppressivo ed ha oltrepassato i 100 miliardi di euro l’anno pari al costo dell’intero sistema sanitario. Non chiede alcuna riduzione degli emolumenti e dei costi dei Palazzi. Forse lo giudica "qualunquistico"...
Intanto ieri a Rosarno la mafia che fa politica e si è resa conto che la partita della caccia all’africano si era conclusa con una sua nettissima perdita di faccia ha organizzato una manifestazione assieme a qualcuno di coloro che Malcom X chiamava "negri di cortile" cioè di coloro che tradivano la loro comunità per compiacere con atti di basso servilismo i "bianchi". Le parole d’ordine della mafia c’erano tutte: attacco allo Stato e criminalizzazione della stampa che nella circostanza ha dato una informazione corretta ed a volte anche indignata per le sarabande da KKK. Naturalmente lo striscione contro la mafia portato da un gruppo di ragazzi non è stato permesso. E’ stato organizzato un ampio servizio fotografico che mostra la "fraternizzazione" dei rosarnesi con i neri. Domani e un altro giorno ma non per i deportati. Nessuno si occuperà di loro se non per punirne la clandestinità.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it
Messaggi
1. la CGIL dopo Rosarno, 12 gennaio 2010, 22:13, di nando
MA DOVE VUOLE ARRIVARE L’APPARATO GGIL E DEL PD? COMUNQUE BRAVO PIETRO LE TUE PROPOSTE SONO GIUSTE.
1. la CGIL dopo Rosarno, 13 gennaio 2010, 00:15
Dove lo Stato non esiste più
Duemila persone in strada per dire “non siamo razzisti” In un paese dominato dalla criminalità organizzata.
12 gennaio 2010
Rosarno. La Calabria è una bomba pronta ad esplodere e la miccia è a Rosarno. Bisogna venire qui per toccare con mano le piaghe provocate dall’abbandono: disperazione, bisogni veri, impotenza, rabbia antica. Una miscela pericolosissima che qualcuno sta maneggiando con estrema raffinatezza. Bastava vedere la manifestazione di ieri. Duemila persone. I negozi del paese sbarrati. Un corteo silenzioso e rabbioso. Contro “lo Stato che ci ha abbandonato”, “i mass media che ci criminalizzano”. Noi che “non siamo razzisti”. Questo diceva l’unico striscione che gli organizzatori del “comitato spontaneo” hanno consentito di esporre. Severamente vietati gli altri. Lo si è capito a metà corteo quando tre ragazze-tre del locale liceo srotolano il loro. “Speriamo di poter dire c’era una volta la mafia”. Un oltraggio nel paese dei Pesce e dei Bellocco, capi di quella ’Ndrangheta che qui è padrona di tutto. Della vita dei rosarnesi e del loro futuro, delle arance che marciscono sugli alberi e del destino dei “negri”. “Chiudetelo”, impone uno degli organizzatori, “abbiamo dato direttive precise”. Le ragazze capiscono e lo arrotolano mestamente. Non c’è libertà nel paese dei signori della ‘Ndrangheta, dove il ricordo di Peppino Valarioti, consigliere comunale del Pci, ucciso la sera dell’11 giugno 1980 dalla mafia delle arance a trent’anni, è ormai sbiadito.
Scoloriscono i murales che raffigurano un “Quarto stato” calabrese. Il monumento alle vittime della mafia arruginisce offeso dall’incuria e dalle deiezioni dei cani. Tante facce nel corteo. Di onesti e mala-carne. Tanti interessi, tantissimi bisogni. “Il lavoro nero colpisce anche noi giovani calabresi”, dice una ragazza ai cronisti. Bersaglio degli insulti quando finisce la manifestazione. In prima fila nel corteo ci sono anche uomini e donne di colore, sono gli integrati, quelli che qui vivono da anni nelle case disastrate del centro storico. Gli altri, le braccia a poco prezzo, sono tutti andati via dall’inferno della “Rognetta” e della “Ex Opera Si-la”. Spontaneamente cacciati. Non servivano più e quei lager erano monumenti alla vergogna. Sulla protesta una regia accorta. Opera di Mimmo Ventre, ex assessore della giunta comunale sciolta per infiltrazioni mafiose. Trascina in prima fila un uomo di colore. “Vieni Mustafà”. Un ragazzo lo rimprovera: “Si chiama Hussein, chiamiamoli almeno con il loro nome”. L’ex assessore fa spallucce e se ne fotte. “Ma questi si chiamano tutti Mustafà”.
Già gli organizzatori, le menti politiche che hanno cavalcato la protesta e che fanno a gara per conquistare microfoni e telecamere. Soprattutto per dire che “a Rosarno lo Stato non c’è, qui c’è un commissario della Prefettura”. Nominato dall’Antimafia perché i Pesce e i Bellocco erano ormai diventati i padroni del comune. “Nel sistema politico e dell’informazione, il subdolo esercito degli strumentalizza-tori asserviti è il cancro della nostra società”. Tre cartelle, linguaggio da Ventennio. Firmate Sante Pisani, che ha mobilitato il suo “Partito dell’Alleanza”, per difendere i rosarnesi . Pisani di arance se ne intende. Troppo, per i magistrati della Procura di Palmi che hanno scoperto una truffa di 45 milioni di euro ai danni dell’Unione europea proprio sui contributi alla coltivazione degli agrumi. Per l’accusa lo sdegnato rosarnese onesto sarebbe stato una delle menti che gestirono il business.
Ma dietro la protesta dei cittadini di Rosarno non c’è solo questo. Dietro la violenza esplosa nei giorni scorsi non c’è solo la ‘Ndrangheta, con i rampolli delle “famiglie” mandati a fare le barricate e il tirassegno contro i neri. “Lo Stato non c’è”. Ed è vero, ma quando lo Stato si presenta con il volto umile e la determinazione di un suo funzionario donna scoppia la rivolta. Maria Giovanna Cassiano, di professione funzionaria dell’Inps, vive sotto scorta. Un anno fa denunciò lo scandalo dei falsi braccianti (mille solo a Rosarno) e delle cooperative fasulle che assumevano mogli, figli e fratelli di mafiosi. Una sola cooperativa arrivò a produrre un monte salari di 1 milione e 800 mila euro senza lo straccio di un documento contabile. C’era posto per tutti, per i “braccianti da bar” e per qualche “lavoratore” in galera che percepiva regolarmente tutte le indennità (disoccupazione, malattia, pensione) previste dall’Inps. Uno scandalo da 15 milioni di euro. Quando l’inchiesta passò nella mani del procuratore Leonardo Leone de Castris, e dall’Inps arrivò l’ordine perentorio di sospendere i pagamenti sospetti, scoppiò la rivolta. “Così si è messa in ginocchio l’economia della zona” , tuonò un assessore del comune. Antonio Caravetta, politico di spicco dell’Udc, denunciò “l’arroganza e l’insensibilità nei confronti di tanti lavoratori agricoli”. E furono scontri, blocchi della Statale Jonica. Proteste. Maria Giovanna Cassiano, volto gentile dello Stato onesto, finì sotto scorta.
Esplode Rosarno, esplode la Calabria. La terra che brucia, come racconta in un suo bel libro l’antropologo Francesco Minervino. Bruciano i suoi boschi d’estate e le speranze dei calabresi onesti divorate da “famelici stomaci” politici. Già la politica. Assente a Rosarno. Nei lager di “Rognetta” e dell’Opera Sila, c’erano tre cessi chimici per centinaia di disperati. Dei soldi promessi per l’accoglienza degli schiavi neppure un euro. Convegni e consulenze sull’immigrazione, alla regione e alla provincia , tanti. La politica pensa alle elezioni regionali. Nel Pd è ormai regolamento di conti tra il governatore uscente, Agazio Loiero, e gli altri pezzi da novanta del partito. Da una parte Peppe Bova, politico eterno, dall’altra Doris Lo Moro, ex assessore alla disastrata sanità. Stravinsero nel 2005, ma il blocco di potere che li portò al governo col 65% dei voti ha cambiato cavallo. Scelgono il centrodestra, soprattutto i consiglieri regionali uscenti gravati da pesanti accuse per mafia. Arricchiranno le liste a sostegno del sindaco di Reggio Peppe Scopelliti. E guai a chi nel centrodestra si azzarda a chiedere pulizia. “Attento o farai la fine di Fortugno”. Francesco il vicepresidente della regione ucciso nel 2005. Inizia così la lettera anonima arrivata sul tavolo di Luciano Marranghello, un sindaco dirigente del Pdl di Cosenza.
Enrico Fierro
da "Il Fatto Quotidiano" del 12 gennaio 2009