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– la svolta vaticana -
a cura di Paolo De Gregorio – 14 luglio 2007
“Cristo ha costituito sulla terra un’unica Chiesa che trova la sua piena identità soltanto nella Chiesa cattolica” (documento dell’ex Santo Uffizio approvato da Benedetto XVI).
Insieme al “motu proprio” che permette il ritorno della messa in latino, sono due prese di posizione, temporalmente molto vicine, che costituiscono una svolta di tipo identitario, ma anche politico, pur con quelle ambiguità tradizionali pretesche che lasciano sempre scappatoie aperte a interpretazioni cervellotiche o di circostanza.
Però, questa volta, credo si tratti del fatto che la Chiesa e il suo Papa prendono atto che una lunga fase storica del dialogo (quella postconciliare), dell’ecumenismo, dei preti operai, delle aperture, della integrazione tra culture, delle dottrine sociali, si è conclusa senza risultati apprezzabili, anzi l’influenza reale della Chiesa sui comportamenti individuali dei cristiani si è molto indebolita, vi è una forte crisi delle vocazioni sacerdotali, nessun passo avanti è stato fatto nel “dialogo” con gli ortodossi e tanto meno con protestanti, ebrei e musulmani.
Da un punto di vista politico, almeno qui in Europa, i partiti tradizionalmente legati alla Chiesa si sono rivelati partiti con ladri e approfittatori e i loro esponenti libertini, con due o tre famiglie da mantenere e qualche processo in corso, impresentabili, cosa che ha prodotto un intervento diretto del Vaticano e della Cei negli affari politici italiani, intervento che prima si affidava alla morbide mediazioni della DC.
Sono questi fallimenti, questa crisi di identità, questo minore peso nella vita dei cristiani stessi, a spingere la Chiesa verso un ritorno alle origini, a una maggiore spiritualità e testimonianza, più rigore e più chiara identità.
Da laico, che pensa che tutte le religioni ci allontanano dalla razionalità e dalla scienza, che ci allontanano dai piaceri naturali del sesso e delle libertà, che osserva che tutte le guerre in corso sono ferocemente fatte da precise identità religiose (ebrei, cristiani, musulmani sciiti e sunniti),mi viene da pensare che tutto sommato rompere questo ecumenismo di facciata, tornare alle proprie tradizioni e identità, finirla col far coesistere capra e cavoli (la teologia della Liberazione e l’Opus Dei), anche se è evidentemente un percorso di destra, è un processo di chiarezza che sgombra il campo da tanti equivoci.
Sarebbe interessante vedere se questa nuova intransigenza verso la chiesa protestante arriva al nodo vero, cioè a spiegarci come una religione organizzata con decine di milioni di fedeli, in nome di Cristo, si è mobilitata negli Usa per eleggere il macellaio Bush, e definisce i marine “legionari di Dio”.
Si dovrà anche tener conto che la fine ingloriosa dell’ecumenismo produrrà più intransigenza da parte musulmana. Persecuzioni di cristiani già si vedono in Iraq, nelle Filippine, in Indonesia, e in Africa vi è una forte scristianizzazione e continuare con la politica delle “missioni”, che prima o poi costituiscono una “enclave cristiana”, significa esporre queste minoranze a gravi pericoli. Questa politica di penetrazione in territori di tradizioni non cristiane andrebbe saggiamente fermata.
Tra l’altro, tutto l’Occidente cristiano è identificato come aggressore e colonialista e per la Chiesa smarcarsi, ritirarsi, e criticare quella politica significherebbe un atto di lungimiranza che toglierebbe i pochi alibi rimasti a Bush e ai suoi complici, e abbrevierebbe l’agonia di un fallito disegno di dominare i popoli con la prepotenza e di imporre modelli politici estranei alle loro culture.
Prima di andare a convertire i “selvaggi”, sarebbe molto serio che la Chiesa cattolica, che oggi così orgogliosamente rivendica il primato sulle altre entità cristiane, riflettesse su se stessa, sulle sue enormi ambiguità, sull’estesissimo fenomeno della pedofilia dei suoi preti (600 milioni di dollari risarciti dalla arcidiocesi cattolica di Los Angeles per evitare il processo per gli abusi di parte di sacerdoti cattolici su 500 minori), sul disarmo e sulla PACE, sulla urgente necessità di difesa dell’ambiente, e chiamasse i cattolici a comportamenti più coerenti con il loro Credo.
Penso che avrebbe molto da fare se si muovesse in questa direzione, ma, ripensando al discorso di Ratzinger a Ratisbona su Manuele 2° Paleologo, ho l’impressione che l’abbandono del pur falso ecumenismo sia più per compattarsi contro gli islamici che per riflettere autocriticamente.
I “pastori tedeschi” mordono. Bisogna capire chi.
Paolo De Gregorio
Messaggi
1. la svolta vaticana, 15 luglio 2007, 23:31
Passato remoto
Stamattina, facendo zapping sull’autoradio, è venuta fuori una voce che diceva delle cose in latino con accento tedesco.
Era, quella voce, lontanissima.
(dal blog di Maurizio Crosetti su repubblica.it)
2. la svolta vaticana, 16 luglio 2007, 13:23
io invece al liceo odiavo il latino, ma da qualche giorno lo apprezzo tantissimo!
Giovanni
1. la svolta vaticana, 19 luglio 2007, 17:35
Il recupero della messa in latino di per sé vuol dire poco. E’ quello che sta dietro che preoccupa.
Da masadaweb.org copio l’articolo di uno di quei preti che la Chiesa può reputare scomodi.
MESSA TRIDENTINA
di Paolo Farinella
Dispiace che una delle «teste ordinate e ben fatte» come don Balletto abbia fatto cilecca d’un colpo, scrivendo dotte considerazioni filosofiche sul «Messa in latino» e sull’estetica della lingua latina. Questo modo di presentare il documento pontificio « Summorum Pontificum» e’ deformante, falso e purtroppo ci cascano tutti forse perche’ e’ un modo innocuo per far passare scelte destabilizzanti, mistificatorie e sbagliate. No, caro don Antonio Balletto! Io non ci sto a questo irenismo di un colpo al cerchio e uno alla botte proposto alla fine dell’articolo. Il motu proprio di Benedetto XVI non restaura la «messa in latino», ma autorizza i fedeli a chiedere la celebrazione della «Messa tridentina», detta di Pio V, ritoccato piu’ volte da Clemente VIII, Urbano VIII, Pio X, Benedetto XV e Pio XII. E’ una questione totalmente differente.
Che la Messa di Pio V sia in latino o in greco o in siriano o in genovese e’ ininfluente perche’ puramente accidentale, cio’ che invece e’ tragico, antistorico e dubbio da un punto di vista dottrinale, riguarda la restaurazione pura e semplice della teologia e della ecclesiologia che sottostanno al rito tridentino. Teologia ed ecclesiologia che configgono con il magistero successivo (potrei portare in qualsiasi sede ampia facolta’ di prova) e specialmente con il magistero di Giovanni XXIII, Paolo VI e del Concilio, la cui Messa riformata da sempre si puo’ dire in latino, se occorre la necessita’. Io stesso l’ho utilizzata con amici polacchi.
I nostalgici lefebvriani hanno fatto della Messa la loro bandiera, ma dietro c’e’ un esercito di motivi teologici che essi contestano. Essi rifiutano a pie’ di lista il concilio ecumenico Vaticano II, definiscono Paolo VI papa demoniaco, i papi da Paolo VI a Giovanni Paolo II papi scismatici e senza autorita’. Hanno formulato negli anni ’80 la tesi teologica detta di «Cassiaciacum» con cui dimostrano che questi papi pur essendo stati eletti legittimamente, non hanno ricevuto la potesta’ apostolica per cui non hanno autorita’ sulla chiesa. I fedeli non sono tenuti ad ubbidirgli, altro che latino!
Il papa non si limita a concedere «la Messa in latino», ma concede il «messale di Pio V», contrabbandato come «messale di Giovanni XXIII» che e’ un falso storico, dal momento che questi si e’ limitato ad aggiungere il nome di San Giuseppe nel canone e a togliere l’espressione «pro perfidis Iudaeis», editando il messale precedente in tutto e per tutto perche’ ancora non era giunta la riforma conciliare. Accanto al messale tridentino concede l’uso del «sacramentario» cioe’ la celebrazione dei sacramenti (battesimo, cresima, matrimonio, ecc.) secondo i riti preconciliari.
Addirittura a chi ne ha l’obbligo concede l’uso dell’antico breviario, azzerando in un solo colpo la riforma di Paolo VI che parlava di «Novum Messale» e di «Liturgia delle Ore».
Non e’ una questione banale di lingua che non interessa nessuno, e’ uno scontro titanico di culture e di teologie. Dietro Pio V c’e’ la teologia della Chiesa senza popolo: attore del culto divino e’ solo il prete che parla da solo come e scandisce in forma magica le parole consacratorie; c’e’ l’antigiudaismo viscerale, c’e’ la visione del mondo come «cristinairita’», ecc.. Dietro Paolo VI c’e’ la chiesa popolo di Dio che e’ il soggetto celebrante, c’e’ la Chiesa «nel mondo»; c’e’ il popolo ebraico «fratello maggiore»; c’e’ la coscienza come termine ultimo di decisione, ecc. Dietro a tutto vi sono due ecclesiologie, due modi di concepire il mondo, l’uomo, le relazioni con gli Stati, la liberta’ religiosa e di coscienza. Altro che latino, lingua bella e formatrice di teste pensanti! Se questi sono i risultati, significa che il latino ha costruito teste fragili e pensieri deboli e sensibilita’ bambine Don Balletto vuole la prova? Il Capo degli scismatici lefebvriani: Bernard Fellay ha gia’ dichiarato che questo e’ solo l’inizio perche’ ora si tratta di affrontare tutti i problemi che stanno dietro la Messa di Pio V e cioe’ i problemi dottrinali incompatibili con il Vaticano II. Questo motu proprio, un vero blitz del papa tedesco contro il parere della quasi totalita’ dei vescovi e dei cardinali, e’ solo l’inizio di una valanga.
Infatti, coerentemente, ad esso e’ seguito l’ultimo documento della Congregazione della fede che ancora una volta sconfessa Paolo VI e il Concilio e chiude definitivamente il dialogo ecumenico. Non mi meraviglia questo secondo documento perche’ e’ in pieno nella logica della teologia e dell’ecclesiologia tridentina espressa nel messale di Pio V, sia che sia in latino sia che sia in genovese.
Il papa e’ ossessionato dal concilio e intende metterlo in soffitta. Non ci riuscira’ perche’ anche i papi sbagliano e questo cammino antistorico all’indietro gli si ritorcera’ contro, come sta gia’ avvenendo.
La Lega di Bossi ha gia’ mobilitato i suoi xenofobi a pretendere dai parroci la «Messa del passato» e il ritorno alla teologia di ieri, l’abolizione del concilio e il ripristino del magistero di sempre. Don Balletto e’ servito anche in lingua padana. Per quanto mi riguarda in quanto prete io mi dichiaro obiettore di coscienza in nome e per conto di Paolo VI e per fedelta’ al Concilio ecumenico vaticano II.
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viviana
2. la svolta vaticana, 25 luglio 2007, 12:02
Il Motu proprio di Benedetto XVI ha ripristinato l’uso del Messale Romano anteriore al 1970, quello promulgato da San Pio V e nuovamente edito dal Beato Giovanni XXIII nel 1962, che affiancherà il Messale pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, che è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica. Quindi «non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero "due Riti". Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito». «Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto». «Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal Beato Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa».
Da cardinale, Ratzinger definì il colpo di mano contro la liturgia tradizionale come «una rottura» dalle conseguenze «tragiche». Un grande laico come Giuseppe Prezzolini, nel 1969 - l’anno della riforma liturgica - scrisse un editoriale intitolato: "La liquidazione della Chiesa". Pur essendo agnostico, constatava amaramente la febbre rivoluzionaria che aveva fatto irruzione nella Chiesa riducendola a una caricatura delle «sette protestanti» e della «civiltà moderna». Fu soprattutto la grande cultura laica a denunciare l’immensa perdita rappresentata dalla cancellazione dell’antica liturgia cattolica che aveva letteralmente dato forma alla cultura europea. Due appelli pubbici, nel 1966 e nel 1971, uscirono in difesa della Messa di s. Pio V, come grande patrimonio spirituale e culturale. E furono firmati dalle più grandi personalità della cultura come Borges, De Chirico, Elena Croce, W. H. Auden, Bresson, Dreyer, Del Noce, Julien Green, Maritain, Montale, Cristina Campo, Mauriac, Quasimodo, Evelyn Waugh, Maria Zambrano, Elémire Zolla, Gabriel Marcel, Salvador De Madariaga, Contini, Devoto, Macchia, Pallottino, Paratore, Bassani, Luzi, Piovene, Andrés Segovia, Harold Acton, Agatha Christie, Graham Greene e il pure direttore del Times, William Rees-Mogg. Fu inutile. Ormai la sbornia progressista (o meglio: "la dittatura del relativismo") dilagava nella Chiesa e pretendeva di fare a pezzi la sua tradizione. Anni dopo fu boicottato perfino Giovanni Paolo II quando varò uno speciale indulto, addirittura con due documenti, nel 1984 e nel 1988, affermando che la Messa di san Pio V non era mai stata abolita e la si poteva celebrare col permesso del vescovo. Il Papa aveva esortato «i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero», ma parte dei vescovi fece il contrario e di fatto annullò l’importante atto pontificio. Certi vescovi hanno dato locali per pregare ai musulmani, ma li hanno negati per le messe tradizionali. Dunque oggi, alla luce di questi abusi d’autorità, Benedetto XVI vara un Motu proprio dove i diritti del popolo cristiano sono protetti da Pietro stesso e non rimessi all’arbitrio dell’episcopato.
Alberto Melloni, due giorni fa, sul Corriere della Sera, ha dato sfogo alla rabbia della fazione progressista, arrivando addirittura a definire il Motu proprio come «uno sberleffo villano al Vaticano II». È buffo. Uno "storico del Concilio" come Melloni ignora che durante il Concilio si celebrava proprio la liturgia a cui oggi il Papa ridà cittadinanza. E ignora che mai il Concilio Vaticano II ha messo fuorilegge questa liturgia: semmai fu l’atto dispotico del 1969 che andava contro il Concilio. Un altro buffo paradosso: questo gruppo di storici "progressisti" che hanno fatto di Giovanni XXIII il loro simbolo, oggi si oppongono proprio al Motu proprio che riconosce la validità del "Messale Romano di Giovanni XXIII" (infatti è l’edizione del 1962 che il Papa restituisce alla Chiesa). E sembrano ignorare il discorso di Papa Roncalli del 22 febbraio 1962, alla firma della "Veterum Sapientia", dove fra l’altro, esaltando la liturgia in latino, spiegò che essa aveva un legame profondo con "la Cattedra di Pietro". Il Papa aggiunse che la lingua latina «fu strumento di diffusione del Vangelo, portata sulle vie consolari quasi a simbolo della più alta Unità del Corpo Mistico. (...) E anche quando le nuove lingue delle singole individualità nazionali europee si fecero strada fino a sostituire l’unica lingua di Roma, questa è rimasta nell’uso della Chiesa Romana, nelle saporose espressioni della liturgia, nei documenti solenni della Sede Apostolica, strumento di comunicazione col centro augusto della cristianità».
3. la svolta vaticana, 25 luglio 2007, 11:56
Il Motu proprio di Benedetto XVI ha ripristinato l’uso del Messale Romano anteriore al 1970, quello promulgato da San Pio V e nuovamente edito dal Beato Giovanni XXIII nel 1962, che affiancherà il Messale pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, che è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica. Quindi «non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero "due Riti". Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito». «Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto». «Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal Beato Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa».
Da cardinale, Ratzinger definì il colpo di mano contro la liturgia tradizionale come «una rottura» dalle conseguenze «tragiche». Un grande laico come Giuseppe Prezzolini, nel 1969 - l’anno della riforma liturgica - scrisse un editoriale intitolato: "La liquidazione della Chiesa". Pur essendo agnostico, constatava amaramente la febbre rivoluzionaria che aveva fatto irruzione nella Chiesa riducendola a una caricatura delle «sette protestanti» e della «civiltà moderna». Fu soprattutto la grande cultura laica a denunciare l’immensa perdita rappresentata dalla cancellazione dell’antica liturgia cattolica che aveva letteralmente dato forma alla cultura europea. Due appelli pubbici, nel 1966 e nel 1971, uscirono in difesa della Messa di s. Pio V, come grande patrimonio spirituale e culturale. E furono firmati dalle più grandi personalità della cultura come Borges, De Chirico, Elena Croce, W. H. Auden, Bresson, Dreyer, Del Noce, Julien Green, Maritain, Montale, Cristina Campo, Mauriac, Quasimodo, Evelyn Waugh, Maria Zambrano, Elémire Zolla, Gabriel Marcel, Salvador De Madariaga, Contini, Devoto, Macchia, Pallottino, Paratore, Bassani, Luzi, Piovene, Andrés Segovia, Harold Acton, Agatha Christie, Graham Greene e il pure direttore del Times, William Rees-Mogg. Fu inutile. Ormai la sbornia progressista (o meglio: "la dittatura del relativismo") dilagava nella Chiesa e pretendeva di fare a pezzi la sua tradizione. Anni dopo fu boicottato perfino Giovanni Paolo II quando varò uno speciale indulto, addirittura con due documenti, nel 1984 e nel 1988, affermando che la Messa di san Pio V non era mai stata abolita e la si poteva celebrare col permesso del vescovo. Il Papa aveva esortato «i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero», ma parte dei vescovi fece il contrario e di fatto annullò l’importante atto pontificio. Certi vescovi hanno dato locali per pregare ai musulmani, ma li hanno negati per le messe tradizionali. Dunque oggi, alla luce di questi abusi d’autorità, Benedetto XVI vara un Motu proprio dove i diritti del popolo cristiano sono protetti da Pietro stesso e non rimessi all’arbitrio dell’episcopato.
Alberto Melloni, due giorni fa, sul Corriere della Sera, ha dato sfogo alla rabbia della fazione progressista, arrivando addirittura a definire il Motu proprio come «uno sberleffo villano al Vaticano II». È buffo. Uno "storico del Concilio" come Melloni ignora che durante il Concilio si celebrava proprio la liturgia a cui oggi il Papa ridà cittadinanza. E ignora che mai il Concilio Vaticano II ha messo fuorilegge questa liturgia: semmai fu l’atto dispotico del 1969 che andava contro il Concilio. Un altro buffo paradosso: questo gruppo di storici "progressisti" che hanno fatto di Giovanni XXIII il loro simbolo, oggi si oppongono proprio al Motu proprio che riconosce la validità del "Messale Romano di Giovanni XXIII" (infatti è l’edizione del 1962 che il Papa restituisce alla Chiesa). E sembrano ignorare il discorso di Papa Roncalli del 22 febbraio 1962, alla firma della "Veterum Sapientia", dove fra l’altro, esaltando la liturgia in latino, spiegò che essa aveva un legame profondo con "la Cattedra di Pietro". Il Papa aggiunse che la lingua latina «fu strumento di diffusione del Vangelo, portata sulle vie consolari quasi a simbolo della più alta Unità del Corpo Mistico. (...) E anche quando le nuove lingue delle singole individualità nazionali europee si fecero strada fino a sostituire l’unica lingua di Roma, questa è rimasta nell’uso della Chiesa Romana, nelle saporose espressioni della liturgia, nei documenti solenni della Sede Apostolica, strumento di comunicazione col centro augusto della cristianità».
1. la svolta vaticana, 28 luglio 2007, 17:57
Ci sono nella Chiesa preti omertosi cosi’ come ci sono in politica politici omertosi. E’ omertoso colui che segue l’autorita’ di un boss con venerazione, svendendo la coscienza critica e pure il buon senso.
E ce ne vuole di omerta’ per dichiarare che l’operato di Voitila e piu’ di Ratzinger, che ha calpestato e rinnegato tutto Vaticano II, e’ opera degna e meritevole indicante una evoluzione!
Per certuni, per ossequio al potere, diventa evoluzione anche l’intrusione nel cesarismo, l’esclusione dei protestanti dalle religioni riconosciute, le calunnie a Maometto, la messa in latino col ritorno a Lefebvre o la dichiarazione che le donne possono fare le segretarie!
Di questo passo anche Torquemada diverra’ un precursore!
Viviana
4. la svolta vaticana, 30 luglio 2007, 10:21
Mi inchino alle nuove verità teologiche che vedono in chi condivide con la propria ragione l’operato del papa una massa informe di omertoso e irragionevoli fanatici, di chi dopo aver letto tutti i documenti del vaticano II (compresi gli schemi preparatori delle varie commissioni) può decretare che gli ultimi due papi hanno tradito “lo spirito del concilio” ( pur avendo loro stessi contribuito a preparare gli stessi documenti) di chi giudica “evoluto” tacere sempre e comunque (ma non siamo in democrazia?), negare la propria identità per non “turbare” gli altri (anche se non sempre è vero il contrario), oppure vedere nella democratica possibilità di fare due celebrazioni diverse per il medesimo rito come un ritorno al passato e all’oscurantismo (ma non andava di moda il vintage?).
Un saluto cara teologa (alla faccia delle donne segretarie!)
Giovanni
1. la svolta vaticana, 31 luglio 2007, 10:04
Credo che in chi tenta di ridurre le aperture lefevreriane del Papa alla sola messa facoltativa in latino ci sia della malafede e parecchia, questo movimento che tanto piace al papa è assai di più che la scelta di una lingua per celebrare la messa, è fascismo puro. Ma qui di malafede e di ambiguità le fosse sono piene. E allora la discussione diventa distorta e faziosa. Con una lingua biforcuta, direbbe un comanche non si può parlare, o si perde la dignità.
Per i bigotti viziati di misoginia che rovesciano o minimizzano il senso del regresso papale, copio un bell’articolo di Ettore Masina
.
La lingua dei vincitori
Dal suo letto d’ospedale, una mattina del febbraio 1975, Gigi Ghirotti vide che nella notte era completamente fiorito un albero che egli aveva adottato come amico. Quel tripudio di colori in un inverno non ancora concluso lo estasio’: lui, uno dei migliori giornalisti italiani, stava morendo, di cancro, ma quella mattina senti’ che la sua vicenda, incomprensibile e dolorosa, era inserita nel mistero di una vita che ostinatamente si esprime oltre ogni limite. Forse penso’ al verso di Quasimodo in cui Dio viene chiamato “Dio del cancro e Dio del fiore rosso”, certo, come narro’ egli stesso, desidero’ di poter cantare l’immensita’ e la forza del processo creativo. Dai ricordi dell’adolescenza senti’ emergere la bellezza di un inno latino medievale, il “Veni, Creator Spiritus (Vieni, o Spirito Creatore)”, e si accinse a recitarlo accanto a quella finestra; ma tristemente si accorse di non ricordarne piu’ le parole. Gigi poteva ancora scendere dal letto e lo fece; e comincio’ a domandare a pazienti, medici, suore e visitatori se qualcuno di loro poteva aiutarlo, ma tutti, un po’ sorpresi, scuotevano la testa. Soltanto a fine mattina incontro’ un seminarista americano, studente a Roma, che visitava i malati per non dimenticare le sofferenze dell’uomo. Alla domanda del giornalista sorrise e disse che si’, quell’inno lui lo aveva studiato a memoria, in ginnasio e, si’, lo ricordava ancora; ma aggiunse, arrossendo un poco, che non ne comprendeva piu’ il significato: la sua conoscenza del latino era ormai svanita. Allora, insieme, l’uomo che comprendeva la sostanza del messaggio ma non poteva leggerlo nella sua autenticita’ e quello che ne conosceva soltanto la formulazione pregarono, quasi aiutandosi l’un l’altro a decifrare un antico manoscritto.
Ho ripensato a quest’episodio quando ho letto il motu proprio con il quale Benedetto XVI concede, di fatto, a chi vuole, il diritto (non il permesso) di celebrare la Messa secondo il rito di Pio V, in vigore dal 1570 sino alla riforma liturgica del 1963. E ho pensato che sarebbe bello che i nostalgici del latino e coloro che vivono il vangelo senza avere una cultura classica si aiutassero fra loro per una maggiore pienezza di vita ecclesiale; ma so bene, purtroppo, che non a questo provvede il documento papale; e so anche meglio perche’ e per chi papa Ratzinger ha sancito il diritto a celebrare la Messa pre-conciliare. Questo “perche’” e questo “per chi” stanno non gia’ nel fatto che vi sono persone le quali vedono nel latino una lingua tradizionalmente “cattolica”, segno di unita’ fra i credenti di tutte le nazioni, ma nel fatto che alcune centinaia di migliaia di individui (dunque una men che minima parte di quel miliardo e 200 milioni di persone che gli statistici calcolano battezzate nella Chiesa cattolica) dietro questo sentimento mascherano (ma neppure troppo) l’odio per la primavera conciliare e il desiderio di perpetuare una serie di privilegi personali e di classe.
E’ un vecchio clericalismo quello cui Benedetto XVI concede ora la vittoria: il clericalismo del prete solo all’altare, avanti a tutti come un generale, intento a pronunziare formule incomprensibili a chi lo ascolta (e dunque magiche) in una lingua che soltanto pochi “signori” conoscono; e in quella lingua misteriosa proclama persino le Scritture rendendole messaggio castale; un celebrante separato, nelle antiche basiliche, da un’area vuota e soprelevata chiamata presbiterio: la quale sembra oggi, dove non e’ stata “corretta”, una profonda ferita inferta all’unita’ dell’assemblea eucaristica. E la messa, “quella” messa, e’ infatti legata al singolo sacerdote, per cui la stessa idea di “concelebrazione” appare negata, con risultati che oggi appaiono persino comici.
Ricordo la chiesa di un collegio straniero a Roma, visitata prima del Concilio: una grande sala circolare con una dozzina di cappelle laterali, in ciascuna delle quali un prete celebrava la “sua” messa mentre due poveri chierichetti si affannavano a correre dall’uno all’altro altare, qui porgendo ampolline e la’ rialzando pianete, a pochi metri di distanza scampanellando per annunziare la Consacrazione o recitando ad alta voce il confiteor... .
Era, quella di Pio V, una Messa resa affascinante nella solennita’ delle cattedrali, dallo sfolgorio di paramenti, dalla virtuosita’ di superbi cori, di musiche sconvolgenti (non sempre il gregoriano, anzi, ben piu’ spesso, il barocco del dopo-Riforma); spettacolo talvolta indimenticabile nella sua teatralita’ ma sempre difficile da seguire con la preghiera; e ridotto spesso, nella pratica feriale delle piu’ modeste parrocchie, a una sorta di borbottio di un prete raggelato dalla sua anche simbolica solitudine. I fedeli, del resto venivano esortati ad “assistere “ alla Messa ed era normale sentirli dire: “Ho preso la Messa”, come qualcosa che era soltanto dono da ricevere e non atto consapevole.
Ma c’e’ anche di peggio ed e’ la composizione “sociale” dei gruppi cui Benedetto XVI ha steso la sua mano improvvisamente prodiga. Per quarant’anni Lefebvre e i suoi fedelissimi hanno apertamente e fieramente avversato i documenti (e piu’ lo spirito) del Concilio (che, non lo si dimentichi, e’ la massima espressione ecclesiale: i vescovi di tutta la Terra riuniti intorno al Papa). Attribuendo all’assise ecumenica le cause dello sfacelo del mondo e della Chiesa, i lefebvriani sono contro la liberta’ religiosa, contro l’ecumenismo, contro la democrazia, contro lo Stato di diritto, contro la laicita’ dello Stato e percio’ hanno offerto e offrono una sponda religiosa alle peggiori formazioni politiche del nostro tempo. Basterebbe ricordare un altro vescovo che fu accanto al francese, il brasiliano Proença Sigaud: fondatore di un’associazione chiamata “Tradizione, Famiglia, Proprieta’”, di fatto una specie di cappellania per latifondisti persecutori dei poveri e per generali delle dittature latino-americane. Non per niente i lefebvriani celebrano Pio V come il Santo della vittoria dei cristiani sull’Islam, quella battaglia di Lepanto che secondo loro andrebbe ripresa, non soltanto contro i musulmani ma contro tutto il mondo moderno. Per loro il latino e’ la lingua dei vincitori.
Raggelanti mi paiono anche le motivazioni portate da papa Ratzinger sulla sua decisione, notoriamente in contrasto con il parere della maggior parte dell’episcopato. La sua decisione sarebbe nata, egli dice, dalla preoccupazione per un eccesso di creativita’ (disordinata) da parte dei fedeli conciliari e dalla sofferenza che da esso scaturirebbe per molti, anche giovani, che hanno imparato ad amare i sacri misteri nella celebrazione che ne fa la liturgia tridentina. Argomento, a me pare, stupefacente: invece di invitare queste brave persone, questa elite tanto sensibile a partecipare attivamente alla elaborazione di una liturgia piu’ fedele ai dettami e allo spirito della riflessione del Concilio, si concede loro di mantenersi in una bolla di vetro, al riparo dei rischi della testimonianza cristiana nella storia, cioe’ a non tenere conto della riforma varata dall’insieme dei vescovi convocati da due pontefici. Per non tradire la riforma gli si concede di ignorarla!
La seconda motivazione del motu proprio papale e’ quello della volonta’ di riconciliazione nella Chiesa. Ora a me sembra che vi sia qui un’altra prova della cultura eurocentrica e classicheggiante dell’attuale pontefice e della sua scarsa, scarsissima e solo libresca conoscenza del mondo d’oggi. Gli pare doloroso (ed e’ ben giusto che cosi’ sia) uno scisma, anche se fortunatamente limitato nelle sue dimensioni perche’ coinvolge borghesi laureati francesi, svizzeri e italiani, e cerca di ricondurlo nell’alveo dell’ortodossia, ma sembra del tutto inconsapevole della sofferenza di grandi masse di povera gente prodotta da certe sue scelte prudenziali. Non ha detto, in occasione del tristissimo viaggio in Brasile, che la beatificazione di monsignor Romero sollecitata da milioni di campesinos, e’ rinviata a chissa’ quando per ragioni di opportunita’? Queste opportunita’ sembrano esistere soltanto ai margini delle favelas o dei laboratori teologici segnati dal sangue dei nuovi martiri, come quello di Sobrino; e intanto in tutto il cosiddetto Terzo Mondo continua, e si ingrossa, l’esodo da una Chiesa che sembra incomprensibile e incapace di comprendere.
Non basta moltiplicare, secondo una recente ripresa dello stile di Giovanni Paolo II, la santificazione di preti e di suore d’antico stampo, ne’ calcolare con la bilancia dei cortigiani le folle che si addensano in piazza San Pietro: la Chiesa di Cristo o e’ speranza alta, forza rinnovatrice della storia dei poveri, o continua a parlare la lingua dei vincitori
..
(personalmente ammiro il rito ormai solo da antropologa e non credo ci voglia molta teologia per vedere l’eclatante regressione della Chiesa degli ultimi papi, d’altro canto penso sia una ben strana opinione quella che permette solo a teologi conclamati il diritto di farsi un’opinione sulla chiesa ed è moltro scettico sulla possibilità di pensare della donna.
Mah
Non sono solo tante donne a reagire alla misoginia papale, non solo solo tanti uomini che pensano a rifiutare un insorgente cesaropapismo , sono tanti preti, sono tanti teologi. Certo, non tutti, ma il movimento di reazione negativa alle derive sempre più reazionarie di Ratzinger si sta allaragdando, con buona pace di chi preferirà sempre servire il potere che essere un uomo libero e, anche, un cristiano libero.
Da nessuna parte, io credo. il Cristo ha detto di servire il Potere, mi pareva che dicesse di servire il Bene, che spesso rispetto a chi comanda e’ proprio un’altra cosa
viviana
5. la svolta vaticana, 31 luglio 2007, 14:47
Cara Viv ti ringrazio per avermi chiarito le oscure trame vaticane a proposito del motu proprio e che con la mia mente limitata, bigotta e asservita al clero non avevo avuto modo di scorgere le fini motivazioni politiche che erano alla base della decisione papale e che ha tenuto nascoste ai suoi fedeli e, nell’attesa che il despota con il prossimo motu proprio tolga definitivamente la messa in italiano vado a sentirmene un’altra (o si dice “ a prendere”). Grazie anche per avermi ricordato che il Cristo non ha mai detto di servire il potere, ma il bene, è vero, (come dimostrano le vite dei santi e dei beati canonizzati da GPII e ora da BXVI) e insieme a tutto questo una volta disse anche “Tu es petrus et super ac petram edificabo ecclesiam meam” ops! scusa la svolta reazionaria e lefevriana, volevo dire “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”.
Saluti
Giovanni