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Fausto Bertinotti : le mie primarie un viaggio stupendo

Publie le sabato 15 ottobre 2005 par Open-Publishing

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di Fausto Bertinotti

E’ stato un viaggio attraverso il dolore e la speranza di un’Italia che vuole cambiare. Una vera inchiesta sul Paese, un’esperienza straordinaria che ci ha segnati anche personalmente, un’emozione che è cresciuta e ci ha anche cambiati e, credo, abbia anche modificato il modo in cui siamo percepiti dalle persone.

Mille volti, il racconto di tante sofferenze e di tante ingiustizie, il peso di un’esclusione sociale e politica vissuta in prima persona, la rabbia e il disincanto, ma, nello stesso tempo, come altra faccia della medaglia, il coraggio, l’energia, la speranza, anche l’allegria di ritrovarsi in tante e tanti, la forza di esperienze concrete: insomma la ricchezza di un’Italia che non si arrende e vuole contare e decidere, che ha smesso o vuole smettere di delegare la propria speranza di cambiamento e vuole agirla in prima persona.

Uno spaccato vero dell’Italia, come lo stupendo documentario di Alessandro Piva che ha accompagnato le iniziative del nostro viaggio: il puzzle di tante voci e diverse generazioni sospese tra un presente che è negazione di futuro e una scommessa di vero cambiamento. Sospese tra un grido disperato e un urlo che si fa rivendicazione e movimento. Le abbiamo guardate quelle facce e ci siamo confrontati, ci siamo scambiati parole non semplici e non scontate.

Lo abbiamo fatto, attraverso una campagna di ascolto, di viaggi nei treni dei pendolari, di incontri nelle fabbriche in crisi e nei luoghi del lavoro precario e servile, di mille conversazioni e confronti.

Abbiamo condiviso la fatica del viaggio per arrivare al lavoro, con i treni superaffollati, mai in orario, sporchi. A Pistoia, quando ci dicevano: «Guarda, Fausto, qui il posto non si trova mai ma, se pure una volta ti capita è perché fa troppo schifo per potercisi sedere». Abbiamo incontrato l’ironia dei nostri compagni di viaggio quando ci hanno detto di aver visto imbiancare la stazione il giorno prima del nostro arrivo o quando ci hanno fatto sapere che, proprio il giorno del nostro viaggio, hanno cambiato il treno, mettendone uno a due piani e con più spazio e posti.

Abbiamo incontrato, in Abruzzo, lavoratrici da mesi in lotta contro la chiusura e senza stipendio e altri operai che dopo pochi giorni sono stati picchiati a Roma mentre protestavano e chiedevano a un governo sordo e arrogante di fare qualcosa per impedire la devastazione economica di un territorio abbandonato a sé, dopo essere stato aggredito dalle privatizzazioni. Così come abbiamo visto la sofferenza nelle cattedrali della nuova schiavitù del lavoro precario, come l’Atesia di Roma, il più grande Call Center d’Italia, dove, lavorando ogni giorno, puoi arrivare a guadagnare 380 euro al mese e, se ti organizzi e protesti, sei cacciato via.

Mille e mille facce di ragazze e ragazzi nelle Università: da Rende a Salerno, fino a Bologna e a Siena dove il percorso stradale per arrivare al luogo del dibattito si è trasformato, spontaneamente, in un corteo - e le aule si sono non riuscivano a contenere i ragazzi neanche nei corridoi e negli atri.

La passione dei centri sociali, come al Leoncavallo a Milano, dove ci dicono scherzando che è la prima volta che sono costretti a iniziare un dibattito in anticipo perché c’è troppa gente. La rabbia dei migranti, cacciati dalle loro attività produttive nel centro della città, come a Venezia e in tante altre realtà. La stupida ingiustizia quotidiana che si abbatte anche su chi si è costruito una stabilità lavorativa. La sofferenza dei centri di permanenza, i luoghi della detenzione e della negazione dei diritti della persona. La determinazione e l’umanità delle comunità gay, lesbiche e transessuali contro ogni discriminazione ed esclusione.

La capacità di proporre in positivo, non solo per loro ma per tutte e tutti, la conquista di nuovi spazi di cittadinanza e di riconoscimento delle diverse forme di relazione, affettività e sessualità. Le tante vertenze territoriali per i beni comuni che animano la spina dorsale della partecipazione popolare e che unificano il Paese dalla Val d’Aosta alla Sicilia - e, come per esempio in Sardegna, assieme a un messaggio forte per l’uscita dalla guerra, accompagnano la richiesta della restituzione del territorio fino ad oggi imprigionato dalle servitù militari e dagli armamenti. E tanto ancora, in confronti, esperienze, connessioni sentimentali.

In questa campagna di ascolto, si sono "materializzate" centinaia di assemblee in cui hanno preso parola centinaia di persone, espressioni di vertenze vere.

E’ questa la rappresentazione di un’altra Italia, nascosta e celata in gran parte alla comunicazione politica, invisibile in televisione e nei grandi organi di informazione, ma un’Italia vera e concreta che, anche attraverso la nostra campagna, ha cominciato a trovare voce e spazio ed ha cominciato ad incrinare il muro del silenzio mediatico.

Di fronte al fallimento delle classi dirigenti, è questa altra Italia che deve governare, che si propone, cioè come la leva di un nuovo blocco sociale del cambiamento.

Le mille voci di questa altra Italia hanno cominciato a comunicare tra loro, a capire che possono intrecciare i propri percorsi e unificare le proprie rivendicazioni: queste sono un vero e proprio programma. Un programma che è tutt’altra cosa da una elaborazione a tavolino, o dai progetti "a medio termine" dei vari politburo o degli uffici studi. Sono l’ispirazione di un’alternativa di società che si incarna in discriminanti concrete qui e ora.

Il "nostro" programma dice: abolizione della legge 30, della Bossi Fini, della Moratti; fine della precarietà ed estensione dei diritti del lavoro, di quelli sociali e della persona; ritiro delle truppe italiane dall’Iraq; nuovo intervento pubblico in economia; conquista dei beni comuni, come l’acqua; tassazione delle rendite e lotta all’evasione fiscale; politica redistributiva a favore di salari e pensioni, salario sociale, amnistia per i reati sociali, indulto, chiusura dei Cpt. Questo aggettivo "nostro" è ora diventato più grande, più largo, oltre i confini di partito e dei partiti. E comincia a farsi popolo.

Riassumere tutto questo non è semplice. Ma l’idea portante ci pare chiara: si tratta di un progetto e un percorso concreti per uscire dalla condizione di generalizzazione della precarietà e di insicurezza provocate dal neoliberismo e acuite dalla sua crisi.

La manifestazione di oggi contro la direttiva Bolkestein sta pienamente dentro questo percorso: parla della lotta contro chi vuole la rincorsa al massimo ribasso dei diritti e delle garanzie del lavoro e ci indica come l’Europa rappresenti il riferimento essenziale per poter pensare di costruire un processo di alternativa vincente.

Da qui può trovare un impulso e un’accelerazione il processo di costruzione della sinistra di alternativa, fuori dagli schemi politicisti di accordicchi elettorali tra ceti politici che hanno solo il problema di autoconservarsi.

Qui è la vera sfida per l’egemonia e la vera sfida per il programma dell’Unione, qui è stata l’ambizione con la quale abbiamo deciso di attraversare le primarie. In questo senso, possiamo dire che questa sfida è riuscita.

Ringraziamo tutte le nostre compagne e i nostri compagni che sono stati in grado di mettersi in sintonia con la novità di questa campagna. Ringraziamo chi ha più direttamente avuto il coraggio di inventare e sperimentare forme di comunicazione, a partire dalla straordinaria invenzione dei post-it, che hanno saputo cogliere e interpretare un bisogno diffuso di partecipazione.

Ringraziamo le tante e tanti, di altre forze politiche, di diverse associazioni, di differenti provenienze, che hanno voluto portare un’adesione e un contributo importantissimi. Ringraziamo le tante e i tanti che hanno costituito, praticamente in tutte le città grandi e piccole del Paese, comitati a sostegno della nostra candidatura perché hanno visto in questa la possibilità di costruire un’esperienza di rinnovamento della politica e del rapporto con la società.

Questo patrimonio non va disperso ma arricchito nel prosieguo del nostro percorso, dalla lotta contro la finanziaria allo sciopero generale, alla campagna elettorale per le elezioni politiche e anche dopo quell’appuntamento.

Il "voglio" è stata l’invenzione felice che ha caratterizzato e trascinato tutta la nostra campagna. Ma è l’ora che anch’io scriva il mio "voglio": voglio, vogliamo continuare questo viaggio assieme a tutti coloro che lo hanno già cominciato.

http://www.liberazione.it/giornale/051015/LB12D6E5.asp