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Robert Fisk e il "giornalismo da topi"

Publie le lunedì 31 ottobre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Stampa Guerre-Conflitti medio-oriente

di Matthew Lewin

Robert Fisk, il corrispondente dal Medio Oriente per l’Independent, dopo aver accusato i suoi colleghi di praticare il ’giornalismo da hotel’, afferma che ora in Iraq è possibile solo il ’giornalismo da topi’. Si arriva sulla scena di un evento, si fanno un paio di foto o di domande e si scappa via velocemente, prima che arrivino degli uomini armati. Questo è l’Iraq di oggi.

Robert Fisk, il notoriamente intrepido corrispondente dal Medio Oriente per l’Independent, ha rivelato che ora la situazione in Iraq è così pericolosa che non sa se possa andare a fare il reporter nel paese o meno.

Fisk, che in precedenza ha accusato i colleghi di praticare il "giornalismo da hotel" in Iraq, ha detto che adesso il "giornalismo da topi" è il massimo che possa fare nel paese.

Fisk, la cui nuova storia del Medio Oriente, The Great War for Civilisation, è appena stata pubblicata, ha descritto il giornalismo da topi come la pratica di spuntare sulla scena di un evento e stare giusto in tempo per registrare l’accaduto, prima che arrivino gli uomini armati.

Parlando in una libreria a Golders Green, ha detto. "Non potete immaginare quanto le cose sianno messe male in Iraq".

"Poche settimane fa, sono andato ad incontrare un uomo il cui figlio era stato ucciso dagli Americani e sono rimasto nella sua casa per cinque minuti prima che degli uomini armati comparissero nella strada fuori.

E’ dovuto uscire per convincerli a non portarmi via. E questo era un sobborgo qualunque di Baghdad, non nel Triangolo Sunnita o a Fallujah.

Siamo arrivati al punto in cui, per esempio, quando andavo a dare un’occhiata alla secna di una grande esplosione in una stazione dei bus, saltavo fuori dall’auto e prendevo due foto prima che fossi circondato da una folla di Iracheni incolleriti.

Saltavo di nuovo nell’auto e me la davo a gambe. Io lo chiamo ’giornalismo da topi’ - ed è tutto quello che possiamo fare adesso. "Se vado ad incontrare qualcuno in una località particolare, mi do 12 minuti, perchè quello è il tempo che ritengo impieghi un uomo con un telefono cellulare ad evocare degli uomini armati nella scene dotati di un’auto.

Così, dopo 10 minuti, sono fuori. Non essere avido. Questo significa fare il reporter in Iraq.

Ha continuato: "Ora questo paese è un inferno - un disastro. Non potete immaginare quanto le cose siano messe male. Nella dei reportage che vedo in genere, tranne The Guardian e Patrick Cockburn nell’Independent, comunicando veramente l’agonia assoluta e l’angoscia dell’Iraq.

Il ministro della salute, che è parzialmente controllato dagli Americani, non fornisce alcuna cifra per le vittime civile; al personale non è permessso fornire quelle cifre.

Un giorno, circa due settimane fa, quando sono andato all’obitorio di Baghdad, sono arrivato alle 9 di mattina e c’erano nove corpi morti in modo violento lì.

Entro mezzogiorno c’erano 26 corpi. Quando sono riuscito ad accedere al sistema informatico dell’obitorio, ho scoperto che in luglio c’erano 1.100 Iracheni uccisi solo a Baghdad.

Moltiplicalo per tutto l’Iraq e stiamo parlando di circa 3.00 al mese o più, che significa 36.000 all’anno.

Quindi queste cifre secondo le quali ci sono state 100.000 vittime civili irachenene non sono necessariamente caute. Ma nessuno vuole parlarne.

Una delle gioie dei poteri occupanti è che i giornalisti non possano muoversi. Quando viaggio per strada fuori Baghdad mi ci vogliono due settimane per pianificarlo, perchè le strade sono infestate da insorti, checkpint, uomini incappucati e taglia-gola. Così vanno le cose.

"E’ quasi impossibile avere accesso all’informazione libera fuori da Baghdad o da Bassora. La maggior parte dei repoter che possono viaggiare lo fanno da membri dei convogli militare con delle protezioni. "L’ultima volta che ho viaggiato a Najaf, la strada era ricoperta di veicoli americani in fiamme, veicoli della polizia fracassati, checpoint abbandonati e uomini in armi. Questo è l’Iraq di oggi - è in uno stato di anarchia, e molti aree di Baghdad sono infatti nelle mani degli insorti".

Ha aggiunto: "Questo è un tipo di guerra di cui non ho mai fatto reportage prima.

Ancora e ancora, salviamo le nostre vite perchè siamo fortunati.

E sta peggiorando molto, anzichè migliorare - non credete a quello che Blair vi sta raccontando.

E’ molto triste dover dire che non so se possiamo andare a fare i reporter in Iraq. Non so se possono personalmente continuare ad andare.

Quest’ultimo viaggio è stato così pericoloso e spaventoso, che ho detto ad alcune persone che stavano andando di ragionare se i rischi valessero la pena".

http://www.zmag.org/italy/lewin-fisktopi.htm