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L’altra meta’ di casa nostra : abbandono e disperazione nella Costa Caribe dopo l’uragano "Beta"

Publie le martedì 22 novembre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Catastrofe America Latina Giorgio Trucchi

di Giorgio Trucchi

Dopo il violento impatto dell’Uragano Beta sulla Costa Caribe del Nicaragua, da più parti si era alzata la voce sulla necessità di fare un’esauriente verifica sulle debolezze dimostrate dal Sistema di Prevenzione di Disastri e dalla Protezione Civile ma, soprattutto, che era necessaria la mobilitazione immediata da parte del Governo per portare i primi importanti soccorsi alla popolazione.

Sono passate ormai due settimane e per le migliaia di persone che hanno perso tutto, la situazione nelle Regioni Autonome del Atlantico Nord e Sud (Raan e Raas) sembra ogni giorno più difficile, anche a causa di due Tormente tropicali sopraggiunte dopo il passaggio dell’uragano.

Il Governo nicaraguense, finita l’emergenza, ha dato priorità alle negoziazioni con i partiti politici per arrivare ad approvare le leggi di carattere economico che permetterebbero di "rispettare" o meglio ubbidire, agli accordi-capestro con il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e la disperazione della gente dei villaggi colpiti dai disatsri naturali è passata in secondo piano.

Secondo le prime stime, nella zona della Raan i danni ascendono a circa 67 milioni di cordobas (circa 4 milioni di dollari), 19 mila ettari di coltivazioni sono stati distrutti dall’inondazione del Rio Coco (su 26 mila ettari presenti) e sono circa 56 mila le persone che hanno bisogno immediato di generi alimentari e medicine, calcolando chi permane ancora nei centri di rifugio e chi non si è mai mosso dai propri villaggi, ma che è rimasto senza nulla.

Nella Raas, dove l’uragano è entrato con tutta la sua forza, la situazione è stata controllata parzialmente, ma restano ancora moltissime le persone che sono rimaste senza nulla e che stanno aspettando i soccorsi governativi per potersi sfamare e ricostruire le proprie case.

La disperazione della popolazione costeña non è purtroppo una cosa nuova e i disastri dell’uragano e delle alluvioni si innestano su una realtà di storico abbandono da parte delle istituzioni del Governo centrale e del Potere legislativo.

Poche settimane prima dell’arrivo di "Beta", le istituzioni regionali della Raan avevano lanciato un grido d’allarme per le drammatiche situazioni in cui erano costrette a vivere decine di migliaia di persone, per i fondi sempre più miseri che venivano destinati alla zona, per la mancanza di vie di comunicazione, l’altissimo costo dei trasporti, le prime alluvioni della stagione invernale e una preoccupante riproduzione di grossi topi (ratas) che stavano divorando le scorte alimentari e diffondendo malattie.

Una zona, quella della Costa Atlantica, da sempre utilizzata per il saccheggio delle sue preziosissime risorse di pesca, oro e di legname pregiato da parte delle multinazionali e di ricchi imprenditori nazionali senza scrupoli che, con il passare degli anni, hanno fatto man bassa dei territori ancestrali delle popolazioni indigene della zona.

Nei giorni successivi all’uragano, il giornalista nicaraguense Francisco J. Sancho Más ha scritto sull’argomento.

"E adesso? L’acqua continua a permanere ovunque: Waspam, Puerto Cabezas e altri villaggi continuano ad essere inondati.

E’ vero che, prima dell’arrivo dell’uragano, la gente si era preparata e la solidarietà non aveva aspettato la sua entrata e la mobilitazione delle istituzioni di governo, a prima vista, non è stata male, paragonata ad altre occasioni.

Però alcune autorità sono tornate a Managua per dire al Presidente della Repubblica che la "missione era compiuta", mentre era solo l’inizio.

"Per poco l’uragano non ci passava sopra lasciandoci con l’animo in tensione ed ora c’è bisogno di molto aiuto", ma dopo?

Il carico di droga (valutato di 360 milioni di dollari) catturato da una nave dell’Armata inglese che stava arrivando con un carico di aiuti per la gente colpita dall’uragano, è una foto di ciò che succede sulla Costa Atlantica.

360 milioni di dollari di droga passano a tutta velocità davanti alla nostra "altra metà" senza che nessuno li fermi, se non una nave da guerra straniera.

L’altra fotografia è quella vista settimane fa quando la gente, senza pudore e senza paura, si è ammassata al porto implorando la Polizia affinché le restituisse i carichi di droga lanciati a mare da una barca in fuga.

Dall’altro lato, da Managua, tutto continuerà ad arrivare tardi.
Uno ha paura che continueranno ad arrivare tardi gli autobus che vanno a Puerto Cabezas.

Non c’è soluzione. Continueranno ad arrivare tardi e strapieni di gente, con animali dentro l’autobus o sul tetto.

Continueranno ad aggiustarli come possono durante il percorso o lasceranno pezzi di autobus sulla strada davanti agli sguardi aperti dei bambini di Mulukukú o Laba.
La strada li accoglierà con i tradimenti di enormi buche inattese o di fiumi che abbandonano il proprio letto, animati da una pioggia esagerata che cade ovunque.

L’uragano è già passato e per poco ci prendeva in pieno unendo Atlantico e Pacifico in una sola tragedia.

Non possiamo dimenticare che molte persone delle popolazioni su cui l’occhio dell’uragano ha posto il suo sguardo, hanno perso tutto.

Ci sono anche alcuni scomparsi. Morti?, ma tutti coincidono sul fatto che sarebbe potuto essere peggio.

Emoziona la disponibilità della gente del Pacifico per aiutare e tendere una mano.
Ma la Costa Atlantica del Nicaragua non può aspettare sempre che si avvicini un uragano per sentirsi parte di un paese che e composto da tutti noi.

Semplicemente non può. E nemmeno noi possiamo illuderci di camminare senza di loro. Semplicemente così. E se la storia non ci farà cambiare, non potremo essere "il Nicaragua" senza il coinvolgimento della Costa Atlantica nel nostro sviluppo, con i suoi apporti e le sue richieste di benefici.

La Costa è stata la nostra culla, la nostra storia e il cuore della nostra libertà.

La Costa ha resistito ad essere strappata al Nicaragua quando era in mano agli inglesi e il Nicaragua non ha voluto essere diviso.

E’ come un amore, una vocazione meticcia, una vocazione indigena e una vocazione di negritudine che non vuole essere in un altro modo, nemmeno se glielo ordinano.
La Costa apporta la maggior parte delle nostre ricchezze e risorse ambientali, una ricchezza incomparabile e un potenziale turistico per nulla disprezzabile. Con coste che preservano l’incanto di territori vergini dalla presenza umana.

La Costa ci fa il favore di donare la propria eredità culturale e le sue differenze, facendo del Nicaragua il mosaico di colori che lo convertono nella terra di tutti, fatto per il mondo, dove pochi smettono di sentirsi a casa.

Insisto testardamente a dire che il futuro del Nicaragua è nella Costa Atlantica e questo lo vedremo quando alla fine ci sarà una via di comunicazione che ci unisca molto più velocemente di quelle che oggi languiscono per terra, fiume o aria.
Quello che non possiamo fare è lasciare la Costa Atlantica abbandonata allo sfruttamento delle vie di passaggio della droga o alla disperazione della gente che si lamenta per la fame che soffre.

Senza opportunità, senza lavoro, senza aspettative se non quelle di sopravvivere con quello che cada in mare. Quale altro futuro ci sarà per la Costa?

Solo con lo sforzo, con una valanga di solidarietà e con la volontà di condividere investimenti, potremo avere l’illusione di camminare insieme in questa bella storia che si chiama Nicaragua.

Manca lo forzo di pensare insieme, includere la Costa nelle decisioni, pensare insieme alla Costa, con la sua gente a tutti i livelli decisionali e non solo ricordarcene quando ci sono disastri naturali.

Nemmeno una strada può unire Managua a Puerto Cabezas e questo nonostante il beneficio che apporterebbe all’interscambio di merci e all’accelerazione del mercato.
Il turismo non smette di essere occasionale e non esente da rischi e questo limita molte possibilità.

Bluefields è vista solo come una tappa verso Corn Island e tra Puerto Cabezas y Bluefields si estendono coste così meravigliose come dimenticate.

Il Rio San Juan è solo il ricordo di una vecchia disputa e una parola per rivendicare il patriottismo. Il Rio Coco è un dolore per la coscienza, isolato e con la fame ciclica e la precarietà in cui vivono le popolazioni della zona.

Se ci addentriamo ancora un po’, verso la zona delle miniere, vediamo che non c’è stato nessun progresso negli investimenti affinché apportino significativi miglioramenti alla popolazione, per potersi allontanare dalla loro storia di sfruttamento da parte delle imprese straniere.

Senza dubbio, più tempo ci metteremo ad incontrarci o a riconoscerci come una sola unità e più tempo tarderemo a trovare il nostro destino.

Nella nostra vita quotidiana manca la nostra altra metà, quella che ci risveglia la coscienza quando arriva un uragano ed alla quale dobbiamo una storia di rispetto.
A parte della Cruzada de Alfabetización, rivoluzione, democrazia e dittatura hanno solo portato un cumulo di ferite e di oblio alla Costa.

E adesso, guardandoci negli occhi, senza alcun pregiudizio. Riconoscendoci meticci, negri e indigeni in tutta la nostra grandezza torneremo forse a sentirci innamorati di come brilla il sole da costa a costa, come se ognuna di esse fossero le nostre guance.
Non possiamo vivere gli uni senza gli altri, siamo due metà, nonostante ci siano tante spaccature interne, ma senza queste due metà non esiste una casa per nessuno. E’ la nostra casa.