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C’era del marcio in Danimarca - Alle origini del clima che ha favorito il caso delle "vignette"

Publie le sabato 11 febbraio 2006 par Open-Publishing
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VIGNETTE BLASFEME

Alle origini del clima che ha generato l’ultimo «scontro di civiltà», in un paese noto finora per il welfare, che si scopre di destra e xenofobo. Tutto cominciò in socialdemocrazia

de NIKOLAJ HELTOFT * COPENHAGEN

Quando la faccenda è esplosa sulla stampa internazionale e l’industria del formaggio danese è stata colpita dal boicottaggio, la «crisi delle vignette» aveva già di gran lunga oltrepassato i limiti del suo contesto originale. I disordini nelle capitali arabe e asiatiche, la pubblicazione «solidale» delle vignette in tutta Europa, l’incendio delle ambasciate e il cambio di posizione da parte delle superpotenze mondiali, rendono difficile tornare allo specifico da cui queste vignette sono emerse.

Una cosa è però certa: non è facile rispondere a chi in questi giorni si chiede come il periferico e provinciale stato danese abbia potuto generare una delle crisi globali più gravi dall’inizio della guerra in Iraq. Perché proprio la Danimarca, famosa per il suo welfare, l’euro-scetticismo, il Lego e i suoi - oggi boicottati - mediocri latticini? In Danimarca i disegni satirici su Maometto nascono in un clima di xenofobia anti-islamica che negli ultimi decenni ha trasformato il paese in uno tra i più difficili da raggiungere se non sei europeo e il tuo nome è Mohammed.

Nella società danese vige da anni la separazione tra la popolazione maggioritaria e le minoranze etniche; c’è una crisi di identità e una radicalizzazione delle problematiche socio-culturali nella seconda e terza generazione di migranti, come avviene in molti altri paesi europei. I ragazzini dei deserti di cemento urbano sono uguali a quelli di ogni altra capitale europea: vestiario street-ware, scarpe Nike, irrequietezza e forte desiderio di benessere economico. Lo Jyllands-Posten, il giornale che ha pubblicato le vignette, aveva già detto la sua, conformemente al tradizionalismo della campagna cristiana danese - la Jutlandia , appunto - su come trattare questi ragazzini: dovrebbero essere puniti più severamente, dovrebbero abbandonare la cultura dei padri, le ragazze dovrebbero smettere di portare quei loro veli... Insomma, le cose che ci si aspetta da un giornale conservatore.

Il fatto significativo, che rende diversa la pubblicazione dello scorso settembre da quella successiva negli altri paesi europei, è che in Danimarca la xenofobia parla apertamente attraverso la metà dei media, più della metà del parlamento e attraverso l’intero governo attuale.

Scacco matto socialdemocratico

Lo spostamento verso posizioni di estrema destra, che oggi caratterizzano il dibattito pubblico danese, è stato rapido ma profondo. Il resto d’Europa aveva già notato l’influenza della destra estrema nelle politiche ufficiali del governo. Nel novembre del 1997 per esempio, Liberatión parlava della «febbre dell’odio» che aveva colpito le politiche danesi sull’immigrazione, mentre il Frankfurter Allgemeine Zeitung, durante le polemiche sull’ostruzionismo europeo contro l’ascesa di Haider al governo austriaco nel 2000, con una laconica considerazione faceva notare che in Danimarca le tesi di Haider erano già politiche di governo.

Siamo negli anni ’90 e la Danimarca è governata dal centro-sinistra socialdemocratico. Paradossalmente, furono proprio i socialdemocratici ad assumere un ruolo chiave nello spostamento a destra. Se è esistito un partito politico capace di definire il sistema danese durante il XX secolo, è stato quello socialdemocratico (Sd), mediatore nelle lotte sociali, fornitore di un welfare esteso gestito dallo stato e di un sussidio di disoccupazione. Socialdemocrazia e Stato divennero due entità indistinguibili. Anche dopo la crisi ideologica degli anni ’80 thatcheriani, nell’adottare l’agenda neo-liberista il partito confermava la sua capacità storica di includere ogni tendenza politica, economica, sociale presente, funzionando come istituzione piuttosto che come partito in senso stretto.

Mentre i movimenti politici xenofobi, dalla fine della II guerra mondiale, erano rimasti ai margini, la fondazione nel 1995 del Dansk Folkeparti (Partito del popolo danese- Df) segnò una svolta netta. Il nuovo partito combinò con successo politiche di welfare e xenofobia, protestantesimo popolare e resistenza all’Unione Europe. Affrontando la seria minaccia di perdere parte della loro base elettorale, i socialdemocratici scelsero così di rispondere a questo. Ma la loro risposta fu fatale.

Mentre da una parte tentava di distanziarsi dalla sfacciata retorica razzista del Df, il governo socialdemocratico guidato da Poul Nyrup Rasmussen, oggi leader dei Socialisti Europei, durante gli ultimi anni `90 approvò insieme alla destra le più restrittive leggi sull’immigrazione di tutto il dopoguerra europeo (furono poi considerate violazioni aperte delle convenzioni internazionali), limitando pesantemente l’accesso degli immigrati ai servizi sociali. Un ministro dell’Sd propose di spedire i detenuti immigrati su delle isole e il primo ministro danese dichiarò che la Danimarca «non è, e mi auspico non diventi, una società multietnica». Intanto però, la destra guidata dal Df, seguita dai maggiori quotidiani come l’Ekstrabladet e l’ormai noto Jyllands-Posten, raddoppiavano la posta. Nel 2001 i socialdemocratici persero consenso, dopo una campagna elettorale dove i partiti di destra, mostrando fotografie di famiglie di immigrati detenuti che uscivano dai tribunali, chiedevano pene più severe ed espulsioni.

La pressione aumenta

Durante gli ultimi cinque anni, i governi di destra hanno approvato tra l’altro una legge che impedisce a tutti i giovani con meno di 24 anni di portare in Danimarca una moglie o un marito non europeo. Quest’ultima legge è stata propagandata come «legge contro i matrimoni forzati», nonostante quell’anno tali matrimoni furono appena una decina. La scelta dei governi di unirsi all’asse atlantico, rivitalizzato dopo l’11 settembre, con la Danimarca che partecipava alla guerra in Iraq come terza forza dopo l’Inghilterra; la continua sottolineatura da parte del governo dello scontro culturale tra i valori democratici danesi e il «fondamentalismo islamico», rappresentano elementi che possono dare qualche suggerimento sul contesto in cui i musulmani e le comunità arabe danesi si trovino a vivere attualmente.

La destra, capeggiata dal Df, ha assunto con successo il ruolo di «vera socialdemocrazia».. In questi anni la finanziaria è stata scritta dal ministro delle finanze insieme a un leader del Df. Lo storico Sd danese, con un’enorme parte della base elettorale che si è fatta convincere dal messaggio che è stato ripetuto per più di una decade dai suoi leader, si è messo da solo nell’angolo. E se vogliamo credere ai sondaggi effettuati dopo la «crisi delle vignette», la marcia della base socialdemocratica verso l’estrema destra non si è affatto conclusa. In Svezia e Norvegia, dove i governi socialdemocratici hanno scelto in modo diverso, tira un’aria completamente diversa.

Libertá di espressione?

Questo è il clima politico in cui lo Jyllands-Posten, come si pretende, ha sentito la necessità di difendere la libertà di espressione pubblicando vignette di Maometto con un turbante di bombe o un coltello in mano. Il primo ministro danese, Anders Fogh Rasmussen ha rifiutato per mesi di commentare i disegni, nonostante i rappresentanti di tutte le comunità musulmane avessero espresso le proprie preoccupazioni, chiedendo al premier di prendere per lo meno una posizione. Pochi, se non nessuno, dei musulmani danesi aveva mai messo in discussione il diritto legale del quotidiano a pubblicare quelle immagini. Dopo l’ultimo rifiuto di Fogh Rasmussen di incontrare gli ambasciatori del mondo musulmano sulla questione, qualcuno, stavolta tra i gruppi musulmani più conservatori, si è rivolto ai paesi arabi per chiedere aiuto. Oggi dicono che non avevano previsto le conseguenze. Vero o no, il fatto che i musulmani danesi siano «andati in missione» ha causato una dura reazione da parte della destra, che ora chiede l’espulsione di un certo numero di imam, etichettati come «traditori della patria». Questa richiesta ha trovato sostenitori anche all’interno dello stesso Sd.

A partire dall’inizio del boicottaggio, il governo danese è rimasto tutt’altro che in silenzio: ha lanciato un tour diplomatico in Medio Oriente per richiedere «dialogo interculturale». Il fatto che il primo ministro non si sia mosso fino a quando l’economia danese non è stata chiamata in causa, è davvero emblematico. Perché invece, quando si è trattato di muoversi verso la riconciliazione con la popolazione danese musulmana, non molto è successo. Quando il quotidiano Jyllands-Posten, in un articolo successivo alle vignette scriveva che la gente «deve essere pronta ad accettare il disprezzo, il dispetto e il ridicolo», il suo programma era chiaro: le comunità musulmane danesi, oltre al diprezzo e al ridicolo quotidiano, dovrebbero accettare un po’ di più, in nome della libertà di parola. È stato stupefacente leggere che il quotidiano non voleva offendere nessuno, perché era esattamente quello il suo obiettivo. Per essere ancora più chiari: questa pubblicazione non ha mai riguardato la difesa della «completa libertà di espressione». È piuttosto, la strumentalizzazione di qualunque cosa, dalla lotta delle donne al benessere degli animali, alla libertà di espressione in questo caso, che è divenuta la strategia della nuova destra per attaccare una debole, discriminata e isolata minoranza. La pubblicazione ha cercato di testare quanto lontano ci si possa spingere, usando la libertà di espressione come alibi e veicolo di una specifica propaganda politica.

C’è qualcosa di storicamente familiare in tutto ciò, mentre anche l’Europa secolare e di sinistra si sente forzata ad assumere una posizione di principio sulla questione complessiva. Perché non possiamo difendere il governo iraniano che vuole giustiziare i disegnatori, e perché è un fatto che noi gioiamo della nostra libertà, seppur limitata, di prenderci gioco del potere. Ma, conoscendo chi usa strumentalmente questo principio che noi ci sentiamo obbligati a difendere, dovremmo piuttosto rabbrividire, invece di assumere posizioni semplicistiche. Per dirla chiaramente: nello stesso modo in cui oggi ognuno di noi, guardando le immagini degli ebrei che venivano pubblicate nella rivista nazista Der Stürmer, forse concorderebbe sulla necessità di riferirsi al contesto politico in cui queste erano state create e l’ideologia che le aveva prodotte, dobbiamo allo stesso modo insistere nel guardare alle vignette su Maometto nel loro contesto, non solo attraverso posizioni di principio.

Dobbiamo invece cercare una via d’uscita che rompa la logica e l’ideologia dello scontro di civiltà. Solo così saremo in grado di trovare una via di uscita. Questo sembra essere il nostro fardello storico, ma anche quello dei giovani arabi di Copenhagen, con i loro atteggiamenti hip hop, le loro Nike e il loro sognare di poterla trovare, questa via d’uscita.

* attivista e segretario parlamentare dell’Alleanza rosso-verde danese

http://www.ilmanifesto.it/Quotidian...


http://www.edoneo.org/

Messaggi

  • Sono una musulmana italiana e concordo in pieno con l’analisi del giornalista che scrive qui sopra.La sinistra in certi paesi ha seguito la xenofobia della piccola borghesia incarognita dall’ingoranza e dall’impoverimento subito a causa della globalizzazione.IN iTALIA CORRIAMO UN ALTISSIMO RISCHIO di adeguemento al razzismo della destra soprattutto dopo che quest’ultima ha fatto salire la tensione sulla presunta caratterizzazione degli immigrati come delinquenti .Un giovane maghrebino e’ stato massacrato di botte a Sassuolo e la reazione di parte dell’opinione pubblica e’ stata di difesa dei carabinieri che l’hanno pestato solo perche’ ubriaco.Il giovane che e’ ora all’ospedale perche’ le botte gli hanno provocato un ematona al cervello , e’ stato prima arrestato poi condannato agli arresti domiciliari per resistenza a pubblico ufficiale.Nessuno si e’ chiesto se c’erano le condizioni per l’arresto.E’ la destra stessa ad alimentare condizioni di vita disumane per gli immigrati e la propensione alla delinquenza e’ appena del 4,5 per cento,notevolmente inferiori a quella del sottoproletariato urbano italico di periferia. Non solo non sono delinquenti ma sono delle persone che sopportano un notevole carico di sofferenza .Nonostante cio’ non e’ raro trovare immigrati che dicono di trovarsi bene in Italia strano per noi italiani che li vediamo soffrire.Comunque la questione delle vignette e’ stata chiaramente montata per colpire i musulmani.Da noi in Italia non l’abbiamo bevita la provocazione.Abbiamo attivato la IADL che e’ l’associazione che si occupa delle difesa legale delle minoranze e denunciato i quotidiani che hanno pubblicato le vignette e ci siamo rifiutati di scendere in piazza per non alimentare provocazion. Abbiamo preso distanza dalle violenze contro persone e cose che sono controproducenti in una situazione come questa. l’importante e’ che ci sia il rispetto per le credenze religiose ma anche per gli atei e che questo rispetto escluda l’offesa alle credenze religiose di tutti.Anche per non alimentare lo scontro di civiltà voluto da americani e sionisti

    salam amina