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INTERVISTA - Faccia a faccia con il segretario di Rifondazione comunista e i suoi progetti

Publie le giovedì 23 marzo 2006 par Open-Publishing

Dazibao Partito della Rifondazione Comunista Parigi Fausto Bertinotti

"Comunisti oltre il comunismo"

Il segretario di Rifondazione racconta la sfida di governo e il progetto della Sinistra europea: "Con Marx oltre Marx". Perchè nella storia della sinistra "l’uguaglianza ha prevalso sulla libertà" della persona umana

di VALENTINO PARLATO

In questi giorni si è scritto molto delle svolte di Fausto Bertinotti e del suo modo innovativo e anche audace di affrontare i problemi della sinistra. Così, ieri verso mezzogiorno, siamo andati a trovarlo in tre (per curiosità e per amicia). Eravamo Gabriele Polo, Cosimo Rossi e io. Si è sviluppata una conversazione a quattro voci (ma era difficile frenare Fausto), che qui abbiamo cercato di sintetizzare. Ci assumiamo la responsabilità di tutti gli errori, Però la conversazione si è riveltata utile e provocatoria, sopratutto ricca di sconfinamenti.

Forse però è tempo di cercare nuovi percorsi, contro il veccio provocatorio "chi lascia la via vecchia per la nuova....". Cerchiamo di dividere la discussione in due piani. Un piano è quello che si è letto sui giornali, la persona in sostituzione della classe e l’addio al simbolo: la svolta, o la svolta delle svolte. Un altro piano è cosa succede dopo il voto: queste elezioni si dovrebbero vincere, ma dopo, com’è che Rifondazione sta nel governo?

Sul primo aspetto c’è un elemento totalmente forviante in alcuni titoli. Il ragionamento, sul terreno della cultura politica, non è nient’altro che uno sviluppo e un’attesa di accelerazione che ancora manca.

Questa cosa della svolta delle svolte, comunque, possiamo assumerla?

Se si intende come completamento di una fase. Lo è in quanto partito della sinistra europea. Non è la svolta delle svolte sul terreno della cultura politica: lì c’è ancora l’attesa di un salto. Certo è la precipitazione in un’idea di soggettività poltica: la svolta è nel senso che dà luogo a un processo costituente di questo che chiamiamo puntigliosamente sezione italiana del partito della sinistra europea. La parte di cultura politica è lo sviluppo dei nostri punti di discontinuità. L’ispirazione è sempre quella: ricavare dal nocciolo duro della critica anticapitalista il fondamento per la ricostruzione di una cultura e di una teoria politica della trasformazione: cioè del superamento del capitalismo. Quindi, in primo luogo, la rottura con lo stalinismo.

Perché?

Perché è un ingombro... Ma la rottura con lo stalinismo è anacronistica... Questo le pensi tu, io penso che invece sia attualissima: perché penso che lo stalinismo è una modalità che si autoriproduce e che insidia permanentemente la politica. Ogni volta che ti affacci al cambiamento incombe costantemente la cosa che più è stata introiettata in un secolo, cioè la conquista del potere, l’alterità e l’autonomia della politica. Ma è un fatto che ogni qual volta ci si trova a un passaggio vero lo scontro si fa duro... Vabbè, non vuol dire che debba essere affrontato in maniera militare, come invece c’è una propensione a fare.

Ed è così vero che ciò che tende a prendere la forma dell’eco staliniano si chiama ortodossia. Se guardo all’Europa ci sono partiti assai consistenti: moltissime delle formazione dell’est, dove l’Europa si sta allargando, ripetono questo schema. Ma non lo sento solo fuori, lo sento dentro di noi. E’ un vizio fortissimo. Ma a un certo punto può essere una necessità... Penso di no. Penso che quella cosa sia la catastrofe. penso che si debba avere un’idea della trasformazione come elemento processuale.

E’ l’idea consiliare che va ripresa, è l’idea della partecipazione critica anziché del dominio della grandi forze organizzate. Diciamo così: democrazia anziché comunismo. Diciamo piuttosto democrazia per la trasformazione. Quindi, in ultima analsi, sì: non democrazia invece che, ma verso il comunismo. Poi viene la questione della nonviolenza... Anche su quella, però, io dissento. Nel senso che la violenza è nella società, è nelle cose. Anche il capitalismo, Perciò lo voglio superare. Ma mica viviamo in unmondo di buoni. D’accordo. Noi però bisogna essere diversi. D’accordo.

Ma una volta al governo, messo in relazione a forza che la violenza la praticano dal punto di vista dello stato e militare, questa scelta nonviolenta come la fai viviere?

Penso che, insieme allo sfruttamento e all’alienazione, quella che sta montando sia una vera e propria crisi di civiltà. Che poi per me è la crisi di un capitalismo vocato all’assolutizzazione della competizione e al rischio d’implosione. Di fornte a questo penso sia fondamentale l’idea dell’Europa, di un Mediterrano come contaminazione di civilità e di culture. Per cui la guerra va bandita strutturalmente, trasformata in tabù. Belle parole. Ma la politica che fa? Intanto bisogna avere un’idea della politica che proponi al tuo partito e quella che proponi al governo. Io scelgo per me un’opzione pacifista, ma non dico che debba essere assunta dai miei alleati.

Il governo che fa?

Al governo chiedo il ritorno al valore fondante dell’articollo 11 della Costituzione e il rifiuto a praticare la guerra. Cioè, non gli chiedo un’opzione che va dalla nonviolenza alla guerra come tabù. Prodi dice che con l’Onu si può intervenire. E’ una condizione necessaria ma non sufficiente.

Il genocidio è un terreno praticabile di intervento con il consenso di tutti?

Sì.

Il consenso di tutto è sufficiente a intervenire?

No. Anche perché troppo spesso l’Onu è sotto schiaffo. Quindi, vinte le elezioni... ...Si ritirano le truppe italiane dall’Iraq, e non è una piccola cosa. E’ importante. Perché, francamente, anche questa è una cosa che comincia a disturbarmi. Faccio tre anni di lotta, ma nel momento in cui sono per conseguire il risultato chi se ne frega. Ma che cavolo! Il ritiro dall’Iraq cambia la faccia del paese.

O no? O ci siamo sbagliati per tre anni? Non ci siamo sbagliati. Quello che volevo chiedere, però, è questo: dato che nel futuro governo ci saranno conflitti, come si gestisce questa cosa?

Prodi dice che con l’Onu si interviene, tu no. Non è così. Leggiamo i documenti: nel programma c’è scritto che siamo per il disarmo. Se poi ci sarà una contesa, l’affronteremo. La cosa originale, comunque, è che possano esserci contese gestite senza arrivare all’aut aut. Se ci spostiamo su questo terreno, io le difficoltà maggiori non le vedo sul terreno della politica internazionale, bensì su quello della politica economica.

Perché sul piano della politica internazionale ravviso una discontinuiotà profonda rispetto a Berlusconi e ai precedenti governi dell’Ulivo, quando noi per altro aveva avevamo prodotto una rottura prima della guerra nel Balcani. Non so però se ci viene suggerita la riproduzione di questo caso: se qualcuno dice che dobbiamo fare il braccio di ferro a rischio della rottura, verrei fosse esplicito... Ma no... Ecco: non è la mia ipotesi. La mia ipotesi è quella di avere costruito un programma perché penso che ci sia stata una discontinuità nel paese. Penso che dal 2001 a oggi il paese sia cambiato: in peggio per ciò che ci ha messo dall’alto Berlusconi, in meglio per ciò che ci hanno messo dal basso i movimenti. Ma non c’è una rappresentanza politica di quest’onda dei movimenti. Penso che il problema sia duplice: non c’è solo la rappresentanza, ma anche il contributo che i soggetti organizzati forniscono alla capacità di affrontare in avanti i problemi del movimento.

Quello della ricomposizione unitaria del movimento è un problema, non solo dei movimenti ma anche della sinistra. Che a sua volta non si ridefinisce senza il movimento. E questa, per me, è la svolta delle svolte: la politica di oggi non si ridifinisce se non in un lavoro politico prioritariamente concentrato sul movimento.

Cosa interegasce con questi movimenti?

Prima che una forza organizzata, una cultura politica. Questa è la sfida forse più importante e più interessante interessante di Rifondazione. Noi veniamo da comunismo: questo nostro armamentario ha perduto di efficacia ma le sue finalità sono ancora valide... Anche di più. C’è un elemento che di quella storia è imprescindibile, ed è il peso decisivo della questione del lavoro nella vita degli uomini e nella società. Per quello dico Marx, l’impianto marxiamo è sencondo me necessario ma non sufficiente. Per questo mi pare giusta la formula «oltre Marx», perché lo comprende. Penso che quello che ci hanno sollecitato ormai da anni il femminismo, l’ecologismo, le culture critiche e della differenza mi pongano un problema: non posso rispondere che uno più uno fa due. Insomma: né l’assembleaggio dell’organizzazione né l’assemblaggio dlele culture...

Devi partire da questi elementi per costruire una nuova cultura politica. E’ per questo che dico che il rapporto tra uguaglianza e libertà torna in maniera clamorosa. Ha sempre prevalso la libertà sull’uguaglianza. Nel socialismo realizzato per niente. In realtà ha prevalso l’uguaglianza fino a sterminare la libertà. Ed è accaduto persino nella nostra storia più bella: anche nelle forme di democrazia diretta abbiamo fatto prevalere l’uguaglianza, la rappresentanza dell’omogenietà anziché delle diversità. Noi abbiamo sacrificato l’idividualità, quindi la persona. Contro il travisamento, la vulgata del superamento di una visione di classe, che io invece ritengo una chiave di lettura fondamentale del capitalismo del nostro tempo, penso che tuttavia questa dimensione non possa essere ritenuta totalizzante.

Detto questo, allora, come riporti a unità tutte queste differenze? Guardiamo anche al movimento: quello che ha fatto di buono, come l’ha fatto? con il meccanismo del comitato centrale o con quello degli insiemi: decidendo insieme. In questo modo i partiti esistenti dovrebbero essere completamente rimessi in discussione e trasformati...

Certamente. Ma sempre attraverso la contaminazione. Prendiamo noi. C’è il Prc e ci sono forze con cui c’è una condivisione su tre punti esenziali: il no alla guerra, il no al politiche neoliberiste e la democrazia partecipata. Però hanno in antipatia il Prc: o perché partito o perché rifondazione o perché comunista. Io, per me, proseguo nella rifondazione. A questi altri che sono interessati non posso chiamarli, ma posso proporre loro la fondazione di un nuovo soggetto politico in cui c’è chi pensa di rifondazione un partito comunista e c’è invece chi pensa di fondare questo nuovo soggetto a cui pure noi partecipiamo. Secondo lo schema del movimento: tutti dentro, alla pari.

Ma qaunto di riflesso al processo di costruzione di un partito democratico che rischia di soffocare tutto il resto del campo?

Ci sono due cose che pesano. La prima, non lo nego, è l’attraversamento del governo.... Hai bisogno di acqua per traversare il deserto... Penso che non si possa fare con la dotazione politica che abbiamo, perché in quel modo siamo sempre attratti dall’aut aut tra accetazione e rottura. Per poterlo spezzare bisogna ricostruire un’autonomia dei progetti politici.

Qual è invece il peso del partito democratico?

Ci tengo a dei distinguo. Sono contrario al partito democratico perché è un’idea che mette fuori dalla politica uno degli elementi costitutivi della medisima nel mondo contemporaneo, cioè il lavoro. E sono contrareio anche perché è in fondo enfatizzazione della coalizione rispetto al radicamento del partito nella società. Perciò non sono nemmeno sicuro che sarà questo lo sviluppo delle cose. Anzi, sono assai incredulo. Però è una cosa seria. Appunto perciò, nel caso predesse corpo, penso che un atteggiamento aristocratico sarebbe disastroso. Perché in una società in cui il conflitto di classe, pur essendo cruciale, non ascende alla politica, può diventare attraente un’idea del partito grande contenitore, che in politica fa quel che può e consente di recuperare degli spazi nella società civile. Perciò facciamo male a sottovalutarla. E chi lo sottovaluta: lo avversiamo. Con un po’ di snobbismo, però. Mentre, secondo me, invece di scegliere la linea del contrasto bisogna scegliere la linea della competizione. Noi siamo un’altra cosa, un’altra forma di aggregazione. Penso che così possiamo attrarre parte della società civile e politica. Anche rispetto al rischio, concretissimo, che tra partito democratico e ortodossia della sinistra vinca il primo a mani basse.

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