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LA FRANCIA DOPO IL CPE

Publie le mercoledì 19 aprile 2006 par Open-Publishing

Dazibao Lavoro - Disoccupazione Movimenti Scuola-Università Francia

La lotta non è finita, gli stagisti si raccontano in un libro
Generazione precaria Il collettivo delle mascherine bianche ha messo insieme le storie raccolte su Internet. Imprese ed enti pubblici «stagiofagi»: al posto dei contratti ormai tirano i lavoretti gratis. Giovani indebitati e disperati. «Serve una legge»

di ANTONIO SCIOTTO

«Sois stage et tais-toi!». Un gioco di parole intraducibile per l’italiano, che scambia il termine «stage» con «sage» (saggio). Ovvero: sii saggio e stai zitto! Ma la saggezza dello stagista, che subisce in silenzio lo sfruttamento delle imprese, è in realtà molto più simile alla paura, all’impossibilità di essere riconosciuti e valutati, alla disperazione di essere spremuti e gettati via come un panno vecchio dopo sei mesi, un anno, anche due anni di lavoro sottopagato o (molto più spesso) completamente gratuito.

Ma da qualche mese gli stagisti francesi hanno preso la parola, grazie a un sito Internet visitatissimo (www.generation-precaire.org), e giovedì scorso è uscito il libro sulle loro stupefacenti vicende. «Sois stage et tais-toi!» (Paris, La Découverte, 228 pagine, 12 euro) è stato scritto a più mani, opera del collettivo «Génération precaire», attivo da settembre 2005 e presente alle manifestazioni contro il Cpe, subito all’occhio grazie a un look inconfondibile: i volti dei lavoratori rigorosamente coperti da una mascherina bianca.

L’ultima ruota del carro, ma grandi protagonisti

Gli stagisti sono l’ultima ruota del mercato del lavoro francese, ma ormai stanno diventando i grandi protagonisti dentro le piccole aziende e le multinazionali, nell’amministrazione pubblica, persino nelle «buoniste» organizzazioni non governative. Un po’ come i nostri cococò e cocoprò, mezzi lavoratori a compenso variabile e contributi-straccio, buoni per tutte le stagioni. Dato che questo particolare «non contratto» non è regolato nel Codice del lavoro della «République», le imprese e gli enti pubblici si sono tramutati in veri e propri organismi «stagiofagi», rinunciando quasi del tutto ad attivare dispendiosi contratti a termine o interinali (senza parlare dei tempi indeterminati, un’utopia), ripiegando sui molto più competitivi stages a basso costo.

Una «servitù volontaria», parafrasando il celebre saggio politico cinquecentesco di Etienne de la Boétie, che ormai accomuna un’intera generazione, fatta soprattutto di laureati dai 21 ai 35 anni che non riescono a trovare un posto di lavoro e si arrabattano tra gli annunci più disparati, prolungando fittiziamente l’iscrizione all’università o alle scuole convenzionate che possono fornire la lettera di stage.
In Francia si è consolidato un mercato specializzato, fatto di siti Internet con annunci di lavoro solo per stagisti, mentre nei circuiti tradizionali siamo già al rapporto di due offerte di stages contro una di contratti «normali». Gli stessi manager - il libro riporta interviste tratte da periodici specializzati - tengono sempre più conto di questa particolare figura lavorativa, e organizzano selezioni ad hoc, affidando interi reparti e ruoli di responsabilità proprio agli stagisti.

Un fenomeno che può sembrare strano in Italia, visto che nel nostro paese questo tipo di figura è relativamente più controllato e riguarda in genere gli studenti, i laureati o i post-master che hanno appena finito il corso di studi. In Francia, al contrario, ci si può trovare ad essere stagisti anche dopo diversi anni dalla laurea, e dopo aver accumulato diversi contratti (o precedenti stages), dunque con un’ottima preparazione ed esperienza alle spalle.
Non ci sono statistiche certe, ma secondo il Consiglio economico e sociale (organismo equivalente al nostro Cnel) ci sarebbero 800 mila stagisti attivi in Francia, che a parere degli esperti equivarrebbero a 60-120 mila posti di lavoro ordinari. Il risparmio per le imprese, al contrario, è certo: gli «stagiaires» possono essere pagati da zero euro in su, senza obbligo di rimborso di nessuna spesa.

I contributi scattano solo nel caso che vengano retribuiti al di sopra del 30% del salario minimo, pari a mille euro: dunque la gran parte dei datori di lavoro non concede più di 300 euro al mese di compenso. In Francia il mercato del lavoro è «congelato» come in Italia, e queste forme di dumping contribuiscono ad abbassarne il livello: basti pensare che secondo il ministero del lavoro il 22,8% dei giovani tra i 18 e i 25 anni è disoccupato, cifra che sale al 40-50% nelle zone disagiate e nelle banlieues. Dati che non tengono conto degli stagisti, tecnicamente non alla ricerca di lavoro perché iscritti alle strutture convenzionate. Ancora, secondo una indagine dell’associazione di quadri Apec, svolta nel 2005 sui laureati del 2003-2004, soltanto l’8% di chi ha fatto uno stage ha ottenuto un contratto.

In media, ammette lo stesso governo francese, ci vogliono 8 anni dopo la fine della formazione di base per ottenere un posto a tempo indeterminato. Siamo di fronte, insomma, a un immenso bacino di manodopera a basso costo che permette alle imprese un turn over continuo di giovani preparati e obbedienti: diverse testimonianze raccontano l’umiliazione di dover preparare, nelle ultime settimane di lavoro, lo stagista che prenderà il proprio posto.

E allora protestiamo: riconoscete il nostro lavoro

La protesta contro il Cpe, il contratto di primo impiego proposto e poi ritirato dal primo ministro Villepin, ha dato grande impulso al movimento degli stagisti. Si può comprendere, leggendo le storie raccolte nel libro, come la rabbia dei giovani disoccupati delle banlieues, accresciuta dalla discriminazione razziale, si sia incrociata con la disperazione di tantissimi «borghesi», laureati delle grandi città e della provincia, obbligati alla «servitù volontaria» degli stages e dei contrattini per anni di seguito, senza vedere una via di uscita in fondo al tunnel dello sfruttamento.

Molti sono costretti a indebitarsi, devono cambiare città e spendere di tasca propria per l’alloggio, i pasti, la benzina e persino il collegamento Internet per il telelavoro, trovandosi addirittura nella paradossale condizione di dover pagare per poter lavorare. Un’esasperazione che ha portato «Génération precaire» a organizzarsi, nel settembre scorso, fondando il sito e poi scrivendo il libro, chiedendo una legge che limiti l’uso dello stage e assicuri una retribuzione degna, in funzione dell’età, della mansione e della durata. La scelta delle mascherine bianche? Due motivi: «Uno pratico: dobbiamo nascondere la nostra identità, da precari rischiamo di essere licenziati. Il secondo è simbolico: siamo anonimi, senza salario né diritti, senza parola. Ma ora abbiamo deciso di prendercela».

http://www.ilmanifesto.it/


http://www.edoneo.org/