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MICHELOTTI, "IL SISTEMA CALCIO VA CAMBIATO ORA"

Publie le domenica 28 maggio 2006 par Open-Publishing

Dazibao Enrico Campofreda Sport

Ex fischietto internazionale con 86 partite dirette Alberto Michelotti di Parma ha arbitrato 144 match in serie A e 115 in B, prima di ritirarsi negli anni ’80. Ha la stessa età del commissario straordinario Guido Rossi e del nuovo capo dell’ufficio indagini Borrelli.

di Enrico Campofreda

Signor Michelotti questo calcio è ancora sport o è diventato un’associazione a delinquere?

“Purtroppo somiglia più a un’associazione a delinquere che allo sport che ho conosciuto e mi onoro d’aver servito. Del resto fra scommesse e corruzione, arbitraggi e carriere pilotate, doping, pressioni d’ogni genere praticate con minacce e addirittura sequestri di persona il riferimento non mi pare campato per aria. Ma ve lo immaginate Moggi che entra nello spogliatoio di Concetto Lo Bello, gli punta l’indice e lo chiude a chiave? Io quando Corso a San Siro mi disse: lei non metterà più piede qui, scrissi tutto e si beccò cinque giornate di squalifica”.

In effetti sembra fantascienza

“Lo è perché un tempo nel calcio c’era rispetto e misura in ogni ruolo. Se i nostri dirigenti vedevano che un presidente di club o un giocatore ci avvicinava ce ne chiedevano conto e ci censuravano fino a sospenderci solo per aver scambiato due parole. Nel ’66 ero in raduno a Viareggio, sul lungomare incrociai Armando Picchi, all’epoca famoso per essere il capitano dell’Inter di Herrera. Mi riconobbe, lo avevo diretto anni prima quando giocava a Varese, s’avvicinò per salutarmi “Signor Michelotti come sta? (lui era educatissimo ma era uso dare del lei all’arbitro in campo e fuori)” “Ciao Armando...” due battute e saluti. In albergo mi chiamò Campanati, massimo dirigente arbitrale, e mi chiese “Perché parlavi con Picchi?” Aveva visto o ci aveva fatto controllare, mi redarguì, non potevamo salutare né parlare con nessuno. Forse era un’esagerazione ma nel trasformarsi in compagni di merende di faccendieri s’è superato ogni limite! Sono umiliato e mi vergogno come ex arbitro e uomo di calcio”.

Si parla addirittura di sistema mafioso

“Non sta a me giudicare, c’è la magistratura. Però in alcuni dei personaggi indagati vedo arroganza, protervia, giochi di potere e cos’è questo se non quella sopraffazione tipica d’una mentalità malavitosa? Il nostro mondo non solo non ha ricevuto il ricambio dirigenziale che meritava, ma in Federcalcio, nell’Aia, alla Lega è da tempo terminata l’era dei giganti. I piccoli uomini che girano non hanno né polso né coraggio di opporsi a strategie prepotenti. E non parliamo dei singoli che nei vari ruoli anche di giudice si lasciano corrompere o risultano collusi”.

Una calciopoli insomma

“Calciopoli o meno è una porcheria che disonora l’ambiente e lo sport. Chi ha sbagliato deve andarsene e se scoperto colpevole dovrà saldare il conto con la giustizia sportiva e penale”.

Michelotti lei è un giustizialista...

“Sono un uomo umile che s’è fatto da sé e so cosa vuol dire esclusione e sopruso. Sa come mi chiamavano nell’ambiente arbitrale? il metalmeccanico perché differentemente dai colleghi che da assicuratori durante la settimana vestivano in giacca e cravatta io indossavo la tuta blu e andavo in officina. Sono orgoglioso di questo passato ma soprattutto dell’onestà che mia madre ortolana mi trasmetteva, questi valori oggi non s’insegnano più. Ed ecco dove finiamo“.

C’è bisogno di etica, dunque, e come conciliarla con regole e business?

“Forse non è possibile ma lo spettacolo degradante che abbiamo sotto gli occhi, beh quello si potrebbe evitare eccome. Semplicemente rispettando le leggi e non costruendole a misura delle truffe e dei vizi che si vogliono coprire. Non è possibile sopportare i continui escamotage con cui vengono aggirati presunti ostacoli delle norme. E’ indecoroso e immorale”.

Già, perché come crescono i giovani sportivi?

“Crescono nella confusione totale o, quel ch’è peggio, nell’illusione che qualunque scorciatoia sia legittima pur d’arrivare. Invece anche le carriere individuali necessitano di dedizione e sacrificio e questi sono valori coniugati con la rettitudine. Lo sport riflette la società e quando giro fra i sedicimila ragazzi tesserati nella mia provincia (è responsabile dei Centri di Avviamento del Coni di Parma, ndr) e vedo che tante specialità definite “minori” hanno sempre più crisi di vocazione perché le famiglie per prime progettano l’impegno sportivo dei figli anziché in funzione di passione, piacere, attitudine in relazione al possibile lucroso domani allora mi sento svilito. Hai forza a sgolarti che fra i bambini lo sport debba essere gioco e formazione psico-fisica, ci sono troppi genitori e allenatori che pongono la carriera al centro del futuro perché, dicono, non conta quello che sei ma quello che avrai. Se la vita si mercifica sin dalla più tenera età cosa ne può venir fuori? Attualmente un arbitro di A guadagna dieci milioni a partita, è chiaro che per restare nel giro si è disposti a molto più che a compromessi”.

Ma dagli scandali non ci si educa e non ci si emancipa mai se, dopo il totoscommesse degli anni Ottanta, sono cresciute generazioni ancora più avide e truffaldine?

“Siamo bravissimi a farci del male, molto male, da soli. Siamo creativi anche in questo e assai distruttivi. Fra due settimane con che faccia andiamo in Germania? Al posto di diversi azzurri io sprofonderei...”

Ma si farà tabula rasa della corruzione o il calcio è un malato terminale abbandonate a sé?

“Innanzitutto serve un energico colpo di spugna: via tutti coloro cui viene dimostrata colpa diretta o indiretta e mancato controllo. Se si comincia col turarsi il naso, si prosegue su una linea di disfatta totale, guardiamo il doping: da anni dev’essere combattuto, lo si fa parzialmente perché anche processi con palesi accuse non hanno prodotto azioni esemplari, e come nella vita politica se non c’è certezza di pena non si moralizza l’ambiente e si divulga il principio dell’impunità di fatto”.

Comunque Michelotti si sono dimessi quasi tutti, manca solo Galliani

“Ecco, via anche lui. Però si sono dimessi perché il bubbone era scoppiato, perché non potevano restare dov’erano, non per moralizzare l’ambiente visto che molti di questi signori la morale non sanno nemmeno dove sta di casa”.

A chi si riferisce, a Moggi?

“Lui e non solo, il pericolo è che Moggi possa diventare il capro espiatorio mentre il cosiddetto “moggismo” rappresenta un modo d’agire che potrebbe sopravvivere alla sua persona e ai suoi incarichi anche se smettesse domani. E’ il modo attuale d’interpretare il business nel calcio e coinvolge un gran numero di soggetti: dirigenti, tecnici, amministratori”.

E’ un sistema mutuato dalla politica?

“Pare di sì, da certa politica naturalmente, non voglio sparare nel mucchio. Come dico pure che esistono dirigenti sportivi corretti però molti non hanno coraggio e s’adeguano, lasciano che prevalga l’illecito, si fanno invischiare o al massimo sono omertosi. E’ il sistema che va cambiato”.

Da “Il Manifesto” 25 maggio 2006