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Il Manifesto: la resa dei conti. Ecco perchè rischiamo la pelle

Publie le venerdì 23 giugno 2006 par Open-Publishing
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Dazibao Stampa

di Francesco Paternò

E’ anomalo che un’anomalia duri da più di trentacinque anni, ma la difficile esistenza de il manifesto è tutta qui. Siamo un mostro. Da salvare, perché se muore non si riproduce più. Perché proprio adesso rischiamo di chiudere, perché abbiamo difficoltà a pagarci gli stipendi da febbraio: è una storia singolare da giornale libero e di mercato, un’anomalia mondiale. E che vuole risanarsi per ripartire. Più o meno la stessa missione - fatte le dovute proporzioni - del ministro Tommaso Padoa Schioppa.

L’attuale pericolosissima crisi nasce da lontano. Su un fatturato di 17,5 milioni di euro e 121 dipendenti, il contributo della legge per l’editoria alla nostra cooperativa vale il 25% mentre quello da incassi pubblicitari il 9,6% contro circa il 50% degli altri giornali.

Il resto delle entrate sono da vendite da edicola e dalle poche promozioni che siamo in grado di fare - perché le promozioni necessitano di investimenti importanti - e comunque tutte rigorosamente in utile. Dai libri alla musica dei cd, dove il manifesto ha affermato in poco più di dieci anni un vero marchio di qualità.

Nonostante abbiamo ridotto gli oneri degli interessi passivi dal 10 al 5% fin dagli inizi del millennio, il peso del debito ci sta stritolando. Pure a fronte di un risanamento patrimoniale cominciato nel 2001 che ha portato a una secca riduzione del debito oneroso e a fronte di bilanci che, tra alti e bassi, non producono più da anni voragini nel conto economico e indicano anzi un certo equilibrio di gestione.

Il 2005 abbiamo chiuso con una buona media di 29.000 copie vendute, a causa però di eventi eccezionali come la vicenda del sequestro della nostra Giuliana e la morte di Nicola Calipari. O addirittura per la scomparsa di Giovanni Paolo II.

Quel che ci sta spingendo sull’orlo del baratro è però il peso del debito, che sacrifica le risorse finanziarie correnti e azzera ogni possibilità di investimento. Quel che incassiamo serve a far fronte al piano di ammortamento del debito a breve e medio termine. Ogni volta che discutiamo una nuova possibile iniziativa ci chiediamo: e il budget? E’ sempre zero, facciamo qualche miracolo, certamente si può e si deve provare a far meglio, ma la situazione è questa. La campagna che lanciamo oggi sta nell’esigenza di trovare subito risorse straordinarie per equilibrare i flussi finanziari, per stare contemporaneamente dietro al debito pregresso e avere denari per investire.

Dove? Sul giornale innanzitutto, il cuore del mostro; su nuove iniziative editoriali che abbiano un peso sul mercato culturale e politico, come è successo con il nostro supplemento dei trentacinque anni; sul web, strumento principe per crescere nella comunicazione mentre è in atto una crisi mondiale della forma quotidiano, come evidenzia l’erosione di copie vendute dal New Yok Times a Le Monde e Libération per arrivare fino al nostro piccolo, grande manifesto. Internet e carta, connessioni e concorrenza, il futuro prossimo. E’ di pochi mesi fa uno studio del Washington Post su se stesso che poneva due domande oggi ineludibili per chi fa informazione: quanto perdiamo con il giornale on line? E quanti soldi avremmo perso se non avessimo fatto l’edizione on line?

Questa erosione globale delle vendite dei quotidiani (complice anche la crescita della diffusione free press) ci ha investito all’inizio del 2006. Sicuramente ci abbiamo messo del nostro, con molti errori. Abbiamo provato a rispondere con il nuovo giornale messo in edicola il 28 aprile scorso. Addio all’elegante formato americano, ecco il giornale che state leggendo più compatto nella formato, per tagliare i costi di carta e stampa (nel 2006 il prezzo della carta è aumentato principalmente per il caro-petrolio dell’8,5% e rischia di salire oltre l’11% entro dicembre), e più soggettivo nei contenuti, in particolare con la pagina 2 riservata agli editoriali e ai contributi dei lettori. Una scelta che scarta con il resto del panorama editoriale italiano.

Un giornale che ha dato nel primo mese segnali positivi, ma che non bastano più. Come non bastano più i 5.892 abbonamenti in essere tra postali, coupon e web, un record nella storia della nostra impresa ma al di sotto dell’obiettivo dei 7.000 indicato da Valentino Parlato all’inizio della campagna 2005-2006, nello scorso novembre. Un obiettivo mostruoso, verrebbe da dire.

Salviamo il mostro. Perché sappiate che questo nostro esperimento antimercato rischia di chiudere. Noi ce la mettiamo tutta ma la risposta spetta a voi lettori de il manifesto e ai non lettori che tuttavia pensano che questo giornale sia un utile personaggio nella commedia, o tragedia, che stiamo vivendo.

http://www.ilmanifesto.it

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