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L’ombra del patibolo all’alba del 2007

Publie le sabato 6 gennaio 2007 par Open-Publishing
1 commento

Dazibao Giustizia Governi medio-oriente

di Domenico Gallo

Le drammatiche immagini dell’esecuzione di Saddam Hussein, agitano la coscienza infelice del nostro tempo e ci trasmettono dei messaggi
inquietanti. Nella loro icastica esemplarità esse si manifestano come un segno dei tempi, ci porgono una chiave di lettura per comprendere il senso tragico del tempo che stiamo vivendo.

Un tempo in cui i patiboli e le uccisioni dei nemici vengono esibite e trasmesse, via tv o via internet, per alimentare il circolo vizioso delle vendette e delle punizioni reciproche, nel contesto di una guerra senza
senso e senza fine. Del resto le orribili immagini televisive in cui si vede un Saddam Hussein prigioniero, ammanettato, costretto a morire e filmato per il ludibrio dei suoi nemici, in che cosa differiscono dalle immagini trasmesse, via internet, dai gruppi jihaddisti quando documentano l’uccisione del nemico preso prigioniero?

Il rituale lugubre
della morte, nella
sua essenzialità,
squarcia i veli
dell’ipocrisia e fa
emergere un linguaggio
asciutto, essenziale. Dimostra
che, al fondo, il terrorismo
jihaddista e la cosiddetta
guerra al terrorismo,
condividono la stessa
barbarie. Sono due facce della
stessa medaglia, impastate
della stessa sostanza.

Quel patibolo attraverso il
quale è stata suggellata la
vittoria definitiva della guerra
americana contro il regime di
Saddam Hussein staglia la sua
ombra minacciosa ed oscura
l’alba del nuovo anno,
presagio di un futuro che si
annunzia poco radioso, se
non ci sarà una netta
inversione di tendenza.
E’ vero che in un contesto,
come quello iracheno, in cui
ogni giorno vengono
perpetrate violenze di massa
ed incontrollabili da parte di
attori pubblici e privati, dalle
forze della Potenza occupante
(malgrado lo schermo
giuridico di una apparente
indipendenza), come da
quelle del governo fantoccio,
come dai gruppi tribali e
religiosi, la soppressione fisica
di Saddam Hussein non altera
la lugubre ragioneria della
morte.

Tuttavia non si può
sottovalutare la potenza dei
simboli. Quella esecuzione,
salutata con grida di giubilo, a
Washington come a Teheran, e
trasformata in un evento
mediatico internazionale
mediante la televisione, è un
fatto politico che esprime
significati profondi, ma
ambigui, che ci interrogano.
Il primo significato, quello più
apparente, ma anche il più
superficiale, è quello di
annunziare simbolicamente
l’avvento di un nuovo ordine.
Quando a Washington si
saluta oltraggiosamente la
forca come un trionfo del
diritto e della giustizia e come
un passo fondamentale per la
costruzione della democrazia
in Iraq, in effetti, si propone
una caricatura blasfema di
concetti che nella cultura
dell’Occidente hanno un ben
differente significato.

Ma al di
là della corruzione del
linguaggio il concetto è chiaro.
Attraverso questo simbolo,
l’impero annunzia il suo
“ordine”, nel quale la
“giustizia” è uno strumento
della forza, al servizio del
Sovrano, che l’adopera per
completare il lavoro delle sue
armate ed il “diritto” è sempre
e solo il diritto della forza.
Infine l’uso della parola
“democrazia” è un modo per
rinominare l’asservimento ed
il caos organizzato. In questo
modo trova compiuta
attuazione la profezia di
George Orwell che, in 1984,
annunziava l’avvento di una
“neolingua”, attraverso la
quale il Potere rovesciava i
concetti con i quali siamo stati
abituati a pensare per
disarmare ogni velleità di
opposizione.

Questo messaggio, però,
nasconde un voler essere,
piuttosto che rappresentare
una realtà. La neolingua può
corrompere la parte più
debole dell’opinione
pubblica, ma non può
trasformare la realtà. I fatti
sono duri a morire ed un
ordine che non riesce ad
assicurare un minimo di
equità, di contemperamento
degli interessi, non può
garantire la convivenza
pacifica ed è destinato a
crollare poiché si tratta di una
costruzione fondata sulla
sabbia. E non saranno
certamente i pilastri di una
giustizia e di un diritto di
cartone a sostenerlo.

Il secondo
significato,apparentemente
più incisivo, è che George W.
Bush annunzia al mondo di
aver vinto e portato a
compimento la guerra iniziata
il 20 marzo del 2003,
annientando fisicamente il
simbolo del nemico. Il
corollario di questo principio
è che l’impero non fa mai le
cose a metà ed ha la capacità
di annientare tutti i suoi
nemici. Quando minaccia una
punizione, la porta a
compimento, costi quel che
costi. Dovrebbe trattarsi di un
messaggio rassicurante per gli
alleati recalcitranti e per
l’opinione pubblica
americana, ma in realtà si
tratta di un messaggio tragico
e ridicolo insieme.

E’ l’ultimo schermo costruito
per nascondere la realtà di
una guerra che non si può più
vincere, di una pax americana
che non si può più imporre, di
un caos crescente provocato
dall’irresponsabilità dei
condottieri dell’impero
d’occidente a cui quegli stessi
condottieri non sanno porre
rimedio. Per nascondere
questo disastroso fallimento si
è alzata una forca, attraverso
la quale “simbolicamente” si
celebra la vittoria di una
guerra che ormai non si può
più vincere.

Insomma, innalzando quella
forca il potere americano ha
voluto lanciare un messaggio
di apologia della propria forza,
per nascondere, a se stesso ed
alla propria opinione
pubblica, dietro una cortina
fumogena, il fallimento della
propria strategia di dominio,
basata sulla convinzione di
poter dettare l’ordine
mondiale con la forza
superiore delle proprie armi.
Senonché tale messaggio è
sbagliato, non solo perché
ingannevole, ma anche
perché è destinato ad
alimentare il caos. Poiché non
di giustizia si tratta, ma di
vendetta, non c’è bisogno di
avere la palla di vetro per
capire che questo gesto,
proprio per il suo forte peso
simbolico, si inserisce nella
spirale delle vendette e delle
punizioni reciproche,
alimentando gravemente il
circolo vizioso della violenza e
del caos.

All’alba di questo nuovo anno,
gli uomini di buona volontà,
debbono mobilitarsi per
scacciare l’ombra del patibolo
che grava sul nostro futuro ed
annunziare che un nuovo
mondo è possibile, che la
guerra ed il terrorismo non
sono il nostro destino, che il
diritto e la giustizia non sono
un surrogato della forza e che
alla violenza, come alla
barbarie si può porre fine.
All’ombra del patibolo non
cresce né il diritto né la
giustizia.

Liberation

Messaggi

  • suona

    suona il silenzio nella mia pena
    aspetto e aspetto prima di morire
    il giullare della gioia
    gli appelli per fermare le mie condanne
    mi sveglio in questa cella fredda
    la mia unika colpa è quella di essere innocente
    suona il silenzio nella mia pena irakena
    solo dio i può giudicare
    per i miei orrendi crimini
    ho usato il gas
    ma nessuno mi ha fermato
    un tempo ero un fedele alleato
    ed ora tu statunitense mi hai abbandonato
    quando uccidevo e stweminavo tu sapevi
    eppure non mi hai fermato mai
    suona l’ora della mia morte
    suona in un paese in guerra

    si al ergastolo no alla pena di morte

    by guido arci camalli arci guernica arci fuori orario arci bergamo arci bologna ARCI cervo arci ventimiglia arci val susa arci sonorica arci ceriana arci peppino impastato arci cuneo arci como arci peppino impastato, sprofondoimperia

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