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LA GUERRA DEI FIORI ROSSI

Publie le domenica 21 gennaio 2007 par Open-Publishing

Dazibao Cinema-video - foto Enrico Campofreda

di Enrico Campofreda

Giocato in chiave ideologica antiregime maoista il nuovo film di Zhang Yuan - con la coproduzione del patron veneziano Marco Müller - parte dai bimbi dell’asilo per giungere alla società. Che un tempo così come irrigimentava i piccini dalle ninne alle popò li conduceva dritti alle marce collettive in Piazza della Pace Celeste.

E’ una scuola infantile di Pechino negli anni Cinquanta il luogo del racconto, protagonisti i bambini cui viene consegnato dalle maestre un fiore rosso se l’operato è consono alle aspettative dell’educazione statale, socialista e popolare.

Ma Qiang è un bambino contro, non sta granché bene in gruppo, non si omologa, vede nella maestra un’autorità che proprio non gli va a genio e si ribella, facendo pipì a letto oppure davanti ai compagni. Fomenta addirittura una rivolta contro l’insegnante considerata divoratrice di bambini.

Temi reali e plausibili ma agitati dal regista - e ancor più dallo scrittore autobiografico Wang Shou sul cui racconto è costruita la sceneggiatura - in modo tutt’altro che spontaneo. Non bastano un centinaio di teneri infanti coi culetti al vento per riprodurre sensazioni liriche perché nonostante la leggerezza di certi momenti (la materia scatologica al centro della vita infantile, il gioco, le fantasticherie, le paure) ogni cosa sembra suggerita a forza con un’antispontaneità che aleggia anche nelle più favorevoli scene collettive.

Assolutamente forzati i richiami a Truffaut: il bambino che nel finale è seduto su un masso può richiamare l’Antoine Doinel de “Les 400 coups” che raggiunto il mare passeggia sulla battigia in quell’ingresso nell’età adulta fatto di pensieri e problemi. Ma proprio la giovanissima età dei cinesini li pone di fronte a un tema ribellistico che appare più grande di loro. Rifiutare l’accorpamento comportamentale è più consono ai sentimenti dell’adolescenza che alla verginità dei quattro anni.

Ammesso che il “buon selvaggio” che alberga in Qiang lo conduca a rifiutare le convenzioni e l’omologazione il racconto resta pur sempre distaccato, quasi calcolato, per nulla empatico verso lo spettatore. Che a tratti sbadiglia. Quanta e quale distanza, per esempio, dalla delicatezza e profondità d’un “Etre et avoir” di Philibert! Forse la coppia “ribelle” Whang Shou e Zhang Yuan studiando la lezione di certo cinema francese potrebbe condire l’ideologia di ritorno con un pizzico di poesia.

Regia: Zhang Yuan
Soggetto e sceneggiatura: Zhang Yuan, Ning Dai
Direttore della fotografia: Yang Tao
Montaggio: Jacopo Quadri
Interpreti principali: Dong Bowen, Ning Yuanyuan, Chen Manyuan, Zhao Rui, Li Xiaofeng
Musica originale: Carlo Crivelli
Produzione: Downtown Pictures, Citic Culture and Sports Enterprises, Century Hero Film Investment, Beijing Century Good-Tidings Cultural Development
Origine: Cina, Italia, 2006
Durata: 90’