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ERGASTOLO...

Publie le martedì 27 marzo 2007 par Open-Publishing
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Dazibao Giustizia Estradizioni Oreste Scalzone

Firmate la petizione

di Oreste Scalzone

Partendo dal grado zero della reazione etologica posso affermare che sin da quando ero bambino un riflusso empatico parossistico coniugato con un dispositivo claustrofobico mi fa sentire la parola ergastolo come un irreparabile annuncio di morte, lento, prolungato, una lunga agonia di pomeriggi che non passano mai fino alla morte. Associo l’ergastolo a una frase che tentavo di leggere, scimmiottando i grandi, in unepocain cui,bambino precoce, pensavoche Marx fosse russo: "si sono chiuse dietro di lui (o di lei) - Rina Fort, il maestro Graziosi, Ghiani e Fenaroli - le porte dell’ergastolo". Che era poi Portolongone, eufemisticamente ribattezzato Porto Azzurro.

Era l’epoca di Chessmann, che trovò l’assurdo coraggio di condannarsi a tredici anni di braccio della morte, solo per evitarla. E non cambierei opinione quand’anche fosse alla fine riuscito ad evitarla. E oserei correggere il presocratico che pensa di poter liquidare la questione della morteperché prima non c’è e dopo non è più un problema: il braccio puzza di morte e non solo.

In Sinopsys, nel 1983, osammo lanciare - nella riprovazione generale - la parola d’ordine dell’amnistia per tutti e per ciascuno, contro il carcere, dedicando un capitolo specifico a questa questione: "carcere lungo, peggio che morire".

Ammettendo l’elemento specista che - a torto o a ragione - c’è, perché parlo di animali di specie umana, che si sono quantomeno sentiti promettere il paradiso della libertà, eventuali differenze rispetto all’intimità di questa sensazione primale (tra un Pinochet e un amico, tra Milosevic e un compagno, tra Saddam ed Hess) non è che n on esistono ma sono successive e stanno a quest’istanza primordiale come la cultura alla natura o la politica alla vita.

Cesare Battisti è comunque stato un compagno di destino, fino al giorno in cui, prendendo la parola per primo sulla sua fuga, ridissi parafrasando il Lenin di Negri ("la teoria è grigia, l’albero della vita è verde") ha scelto il verde della vita contro il grigio della politica, della morale e della giustizia penale. Al di là di ogni semplice idea salveminiana sul diritto all’evasione, dissi allora a Le Monde che un canarino che non scappa da una gabbia aperta pur sapendo che può finire in bocca a un gatto è malato. Ora che l’ossessione penale è diventato il crac dei popoli l’arte della fuga è diventato un dovere. Al di là delle rispettive collocazioni, o anche delle amenità oltretutto autolesionistiche che alcuni bellimbusti intellettualoidi avevano indotto Cesare Battisti a far proprie, il volo di Cesare mi stava a cuore, tanto più oggi, poiché nel frattempo la peste si è diffusa.

Oggi un ministro della Giustizia di rassicurante stampo democristiano è costretto a rasare i muri e a straparlare perché aveva firmato un modesto indulto reclamato per anni da un Papa e che è diventato un crimine osceno anche sulle colonne dell’"Unità", a cura di Travaglio che aizza riflessi da popolaccio: così ilministro farnetica di abolizione della prescrizione.

Oggi la stessa emergenza è un ricordo lontano, si scambia l’amnistia per la grazia, dove basta il diniego di un parente dellavittima a inibirla. Così aboliscono la costituzione. Oggi il crimine non interessa quasi più. Al limite qualcuno se c’era dormiva. E’ l’impunità che sfugge al monopolio statale della sua elargizione premiale lo scandalo totale. La fuga, la slealtà verso il boia è crimine supremo e la certezza della pena non è + inquietudine e assillo di Alfredo Rocco ma è affidata al sommo giurista Sergio Segio che infatti venne a reclamarla per Cesare Battisti, così come lo specifico maestro di Cesare Battisti, Arrigo Cavallina, dalle colonne di Le Monde, che riecheggiavano La Stampa e La Repubblica.

Anche se non credo, essendoci conosciuti all’epoca, Battisti Cesare, io, noi, altri e altre, siamo stati anche partecipi di una stessa rivoluzione e le rivoluzioni vivono così.

A mezza altezza, che anche i nostri anarchici di Catalogna e operai di Czepel non erano innocenti... e non è bella la testa di un agrario spaccata come si vede nelflm Bronte... e forse è anche vero quello che dice il dottor Lenin che se ne intende, che forse la Ceka, Djerjinski e il Terrore rosso hanno evitato il bagno di sangue.

Ma le anime morte quando si svegliano dal lungo sonno secolare piangono davvero quando si inginocchiano nella neve a capo scoperto e piangono davvero lo zar piccolo padre di cui passa il feretro. Anche davanti alla sede del Kgb di Budapest si levava il fumo della carne bruciata dei cekisti e non è bello.

Ma noi stiamo con le anime morte e con i marinai di Kronstadt e con gli anarchici di Catalogna e gli operai di Czepel e i contadini di Bronte, contro la civiltà dei Bixio, contro le Armate Rosse e quanti - ce l’ha insegnato la microfisica del potere di Foucault - istituendo la giustizia proletaria e popolare, forse riducono il flusso di sangue ma ne preparano assai di più.

http://orestescalzone.over-blog.com/

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