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Il servo del popolo

par Antonio Recanatini

Publie le mercoledì 30 novembre 2016 par Antonio Recanatini - Open-Publishing
2 commenti

Dopo la morte di Fidel, sono stato invitato a film, documentari e discussioni sul Comandante Castro. Ho visto e letto di tutto. Ho soprattutto constatato, toccato con mano, la superbia, l’immodestia, la presuntuosità di studiosi (visto che si dice così, lo faccio anch’io), con il passaporto italiano.
Qualcuno di essi, addirittura, voleva spiegare la storia di Cuba a studiosi Cubani, che difendevano la figura di Fidel. Bisogna aggiungere, però, che questi "suddetti" studiosi Italiani, difficilmente permettono che studiosi "stranieri" dibattano sulla nostra ingloriosa storia.
Sono un po’ permalosi, ma solo un po’.
Qui, dovrei soffermarmi sul razzismo e inoltrarmi in altri canali e, magari, chiedere "con quale strumento misurate il valore culturale di un popolo?" Ma non voglio sia questo il punto cruciale, semmai solo da evidenziare.
Dal mio personalissimo punto di vista, anzi, amerei dire, da mediocre cultore: Cuba non sarà più la stessa, lo sappiamo tutti. Forse quell’orgoglio ingombrante dei Cubani diventerà flessibile, forse Cuba cambierà talmente tanto, che i loro padri non saranno in grado di raccontare la stupenda favola, il sogno.
Non voglio entrare in merito, l’ho fatto troppe volte in questi giorni, invece avrei dovuto leggere più dichiarazioni, cercare di capire e non continuare a chiedermi "ma questi sanno cosa significa lottare per un ideale? Ma quanti di questi rischierebbero la pelle per un’eventuale rivoluzione?"
E’ morto il servo prediletto del suo popolo, non un funzionario delle imposte, un voltafaccia, un cameriere delle banche, quindi Giù le mani da Fidel!
Prima di ambire a una qualsiasi Resistenza, dovremmo interpellare e assoldare la periferia, il proletariato meno sporco di luoghi comuni e ancora macchiato di istinto naturale, perché il resto è il vuoto, il nulla, l’inconsistente.
Tempo fa, un Compagno Italiano, trapiantato in Brasile mi scrisse in una mail "io credo nella voglia di rivalsa dei Sudamericani. Tu dirai che sto facendo una cazzata, già lo so, ma io ci credo e basta".
A dire il vero, nel frattempo si è innamorato; "altrimenti che italiani saremmo?"
Sono stato sempre scettico sul Sud America, ho sempre pensato alle origini, all’occupazione; addirittura, a volte per dileggio, ho accostato la figura di Bolivar a dio.
A me non piace parlare di sinistra, infatti non è la sinistra a doversi porre dei quesiti, ma i comunisti, quelli che ancora sognano.
Fidel ha ripetuto più volte che, per aspirare, bramare, sognare un mondo migliore, non ci si può affidare a una Rivoluzione, ma al cambiamento.
Questo suggerimento dovrebbe coinvolgere tutti, perché quando si parla di Rivoluzione bisogna contestualizzare anche la peluria sotto le ascelle. Oggi, ad esempio, basterebbero poche testate nucleari per smembrare l’Italia. I paesi guerrafondai, i fornitori di armi sarebbero ben disposti a vendere, a smuovere i soldati, a conquistare, a lasciare disordine e morte.
Il fascino della Rivoluzione rimane intatto, sia chiaro, ma prima bisogna uscire di casa, scendere le scale, guardare la gente, parlare, confrontarsi. Cambiare!
Per mangiare bisogna procurarsi il cibo, possibilmente anche apparecchiare la tavola; in fondo siamo riconosciuti come rivoluzionari solo in cucina, forse i migliori in assoluto, sempre in cucina.
Su questo neanche io ho dubbi!
Da qui a diventare un popolo di Marxisti c’è di mezzo una voragine infinita, un vuoto interminabile, composto da desolazione, tristezza, solitudine, competizione. Solo l’unione dal basso porta a elevarsi, a volare nell’azzurro infinito, a porre le basi del socialismo e non all’accettazione di un regime capitalista o, meglio conosciuto, come dittatura mondiale.
A parte certi miei vezzi da "poetucolo", credo che, prima di tutto, bisogna allargar le braccia e "scendere le scale", toccare con mano il dolore altrui, per dirsi d’aver vissuto. Azione è uscire dalla solitudine, forse aveva ragione Luigi Pintor.
Il confronto e la condivisione sono le armi in nostro possesso, non so per quanto tempo ancora. Bisogna parlare di cambiamento, di riassorbimento delle culture dei popoli, di condivisione dei beni. Bisogna parlare di sentimenti, curare l’istinto a creare, trovare punti di contatto e continuare a confrontarsi. Un mondo migliore non è impossibile, bisogna crederci fino in fondo, sentire il bisogno sulla pelle, nelle ossa, nelle "voci di dentro", avrebbe detto Eduardo De Filippo.
Le questioni e le turbe psichiche di chi vuol gettare fango sul glorioso passato di Cuba, scovando tafferugli tra rivoluzionari, per poter puntare il dito su Fidel, fanno leva su una mossa infame, scandalosa, vergognosa, disdicevole.
Nonostante tutto, questi incontri sono stati utili, almeno per imparare a tenere a bada la mia irruenza, poco costruttiva, quasi fuorilegge.
Colgo l’occasione per ringraziare i vari gruppi e associazioni culturali, che mi hanno invitato, come ringrazio Rifondazione Comunista che continua ad invitarmi, inesorabilmente e, forse, contro gli interessi di partito.
Ci aspettano giorni pesanti, missioni impossibili e non siamo pronti. Continuiamo a perderci, anche dopo la morte di un gigante, di un pilastro della nostra storia, forse è davvero l’ultima nota di un brano controverso, chiamato Novecento.
Hasta Siempre, Fidel!

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Messaggi

  • Un mondo migliore sarà possibile solo se sarà nuovo, servirà una distruzione colossale per tornare a sperare e lottare, ma ormai si è disarmati.
    Stalin è stato reso indifendibile, la stessa fine farà Fidel, un po’ d’attenzione alla propaganda via via sempre più martellante sul "dittatore finalmente scomparso" aiuterebbe a capire la direzione presa.
    L’imperialismo obtorto collo ha salvato dal ludibrio storico Lenin e Guevara grazie alla loro prematura scomparsa in piena rivoluzione, considerandoli ormai innocui, pure i papaboys ne hanno fatto T-shirt, ma chi è rimasto sul campo non ha trovato scampo.
    Cosa c’entra?
    C’entra, c’entra... mi sembra d’averla già vissuta questa fase.