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LOTTA MAPUCHES - CHI HA COMPRATO LA TERRA A DIO?

Publie le mercoledì 14 luglio 2004 par Open-Publishing

America Latina Ida Sconzo

di Ida Sconzo

Benetton contro Mapuches

La storia recente del popolo Mapuche ha lasciato finalmente le cantine dei siti umanitari, anarchici e alternativi. Ha lasciato le pagine delle poche e valorose riviste del no profit italiano ed europeo, è salita agli onori della cronaca, è entrata nei templi dell’informazione ufficiale.
Era ora.

Il salto di livello è dovuto alla lettera aperta che, Adolfo Pèrez Esquivel, argentino, Premio Nobel per la Pace 1980, ha indirizzato a un italiano: Luciano Benetton. La scintilla, o forse la goccia che ha fatto traboccare il vaso è una sentenza del Tribunale di Esquel, in provincia di Chubut, in Patagonia. Le parti in causa nello strano processo erano: l’italiano Benetton contro i Mapuches Atilio e Rosa Curinanco. Ma il particolare strabiliante è che nella diatriba tra l’imprenditore multinazionale degli "United Colours" e una coppia di indigeni, che voleva vivere sul proprio territorio, ha vinto il primo. Davide battuto da Golia, come sempre accade nell’impari lotta tra ricchi e poveri.

Le accuse che le comunità Mapuches muovono alla multinazionale italiana Benetton, sono pesanti: sul territorio dei loro padri, Benetton possiede circa un milione di ettari divisi in otto lotti, sette dei quali nel versante Argentino, in Patagonia e uno sul versante cileno. Il terreno, in pratica una fetta della Nazione Argentina e quasi tutta l’antica Nazione Mapuche, è stato venduto dallo Stato argentino.

I mapuches dicono che Benetton può attraversare tutta la Patagonia senza uscire mai dai suoi terreni.
Sul più grande latifondo dell’America meridionale, pascolano circa 280mila pecore. La comunità Mapuche-Tehuelche, in un recente comunicato (I nuovi volti della colonizzazione) definisce così l’azienda: "Benetton - la multinazionale della menzogna, i colori uniti della simulazione". I terreni, acquistati dalla multinazionale a prezzi stracciati, in quanto disabitati - scrivono i mapuche - in realtà non lo erano, dato che ci vivono da sempre le comunità autoctone".

In seguito alla dastrica riduzione dei territori, gli indigeni sono stati relegati in una striscia di terra denominata "Riserva de la compania", dove sono costretti a vivere in stato di sovraffollamento. I Benetton hanno fatto recintare i terreni e il fiume Rio Chubut, che pur essendo proprietà dello Stato, non è accessibile, come il Rio Lepe, recintato da cancelli e filo spinato.
I mapuches che hanno sempre vissuto di pastorizia, non possono più disporre nè dei pascoli nè dell’acqua. Molti sono stati costretti a vendere i propri terreni a prezzi irrisori e altre terre sono state abbandonate.

L’organizzazione Mapuche-Tehueleche "Once de Octubre" denuncia anche lo sfruttamento della manodopera indigena a basso costo (200 euro al mese dall’alba al tramonto).

La lettera del Premio Nobel

La vicenda merita, adesso, le prime pagine dei maggiori organi d’informazione grazie all’intervento di un uomo, poco noto in Italia, che si chiama Adolfo Pèrez Esquivel. Un argentino architetto, scultore, insegnante, impegnato fin da ragazzo, nella difesa dei diritti umani attraverso la non-violenza. Più volte arrestato, prima in Brasile poi in Equador e di nuovo a Buenos Aires, Pèrez è stato torturato e incarcerato senza processo per 14 mesi. Nel 1980 gli viene conferito il Premio Nobel per la Pace.

"Riceva il mio saluto di Pace e Bene.

Le scrivo questa lettera, che spero legga attentamente, tra lo stupore e il dolore di sapere che Lei, un imprenditore di fama internazionale, si è avvalso del denaro e della complicità di un giudice senza scrupoli per togliere la terra ai fratelli Mapuche, nella provincia di Chubut, nella Patagonia Argentina.

Vorrei ricordarle che Mapuche significa Uomo della Terra e che esiste una comunione profonda tra la nostra Pachamama, " la Madre Terra", e i suoi figli.

Tra le braccia di Pachamama ci sono le generazioni che vissero e che riposano nei tempi della memoria.
Deve sapere che quando si toglie la terra ai popoli nativi li si condanna a morte, li si riduce alla miseria e all’oblio. Ma deve anche sapere che ci sono sempre dei ribelli che non zoppicano di fronte alle avversità e lottano per i loro diritti e la loro dignità come persone e come popolo.

Continueranno a reclamare i loro diritti sulle terre perchè sono i legittimi proprietari, di generazione in generazione, sebbene non siano in possesso dei documenti necessari per un sistema ingiusto che li affida a coloro che hanno denaro.

É difficile capire quello che dico, se non si sa ascoltare il silenzio, se non si è in grado di recepire la sua voce e l’armonia dell’universo che è una delle cose più semplici della vita. Qualcosa che il denaro non potrà mai comperare.

Quando giunsero i conquistatori, gli "huincas" (i bianchi), massacrarono migliaiai di popoli "con i loro pali di fuoco" perpetrando etnocidio per appropriarsi della loro ricchezza e rubando loro terra e vita. Purtroppo questo saccheggio continua fino a oggi.
Signor Benetton, Lei ha comprato 90 mila ettari di terra in Patagonia per accrescere la sua ricchezza e potere e si muove con la stessa mentalità dei conquistatori; non ha bisogno di armi per raggiungere i suoi obiettivi ma uccide, con la stessa forma, usando il denaro. Vorrei ricordarle che "non sempre ciò che è legale è giusto, e non sempre quello che è giusto è legale".

Vorrei dirle che Lei ha tolto, con la complicità di un giudice ingiusto, 385 ettari di terra, con la armi del denaro, a un’umile famiglia Mapuche con una dignità, un cuore, una vita; loro sono Atilio Curiñanco e Rosa Nahuelquir proprietari legittimi da sempre, per nascita e per diritto dei loro padri.

Vorrei farle una domanda, signor Benetton: Chi ha comprato la terra a Dio?

Lei sa che la sua fabbrica dagli abitanti del luogo è chiamata "la gabbia", cinta con fil di ferro, che ha rinchiuso i venti, le nubi, le stelle, il sole e la luna. E’ scomparsa la vita perchè tutto si riduce al mero valore economico e non all’armonia con la Madre Terra.
Lei si sta comportando come i signori feudali che alzavano muri di oppressione e di potere dei loro latifondi.

A Treviso, quel bel paese nel nord Italia, dove Lei ha il centro delle sue attività, non so quello che pensano i cittadini e le cittadine riguardo alle sue azioni.

Spero che reagiscano con senso critico e pretendano che Lei agisca con dignità e restituisca questi 385 ettari ai legittimi proprietari.
Sarebbe un gesto di grandezza morale e le assicuro che riceverebbe molto di più che la Terra: la grande ricchezza dell’amicizia che il denaro non potrà mai comprare.

Le chiedo, signor Benetton, che viaggi in Patagonia e che incontri i fratelli Mapuche e che divida con loro il silenzio, gli sguardi e le stelle.

Credo che il luogo che con la sua presenza chiamano "La gabbia", verrebbe chiamata "L’amico" e la gente di Treviso sarebbe onorata di avere nel suo paese una persona con il cuore aperto alla compresione e alla solidarietà.

La decisione è sua. Se decide di restitutire la terra ai fratelli Mapuche mi impegno ad accompagnarla e dividere con Lei e ascoltare la voce del silenzio e del cuore.

Tutti siamo di passaggio nella vita, quando arriviamo siamo in realtà in partenza e non possiamo portare niente con noi.
Possiamo, però, lasciare al nostro passare le mani piene di speranza per costruire un mondo più giusto e fraterno per tutti.
Che la Pace e il Bene la illumini e le permettano di trovare il coraggio per correggere i suoi errori".

Luciano Benetton risponde

"Portiamo occupazione e sviluppo non siamo signori feudali.
Gentile signor Pérez Esquivel, ringraziandola per la sua lettera, franca e diretta, le rispondo subito che sono disponibile a incontrarla per aprire un confronto sul tema delle terre in Patagonia. Confronto che dovremmo estendere anche agli altri proprietari terrieri e ai rappresentanti del governo argentino.

Sono convinto che un civile dialogo tra le parti rappresenti l’unica strada per comporre le molteplici posizioni e le differenti opinioni. A maggior ragione se si tratta di un tema complesso come quello delle terre patagoniche, che presenta complicati risvolti storici, sociali ed economici. Che coinvolge i diritti spesso contrastanti di numerosi gruppi etnici diversi, oltre che due governi sudamericani. Che propone interrogativi morali e filosofici antichi quanto il mondo.

Chiedendomi "Chi ha comprato la terra a Dio?", lei riapre un dibattito sul diritto di proprietà che, comunque la si pensi, rappresenta il fondamento stesso della società civile. Ma se si accetta il principio che la proprietà è necessaria, si può ben discutere se sia necessario o meno che resti sempre nelle stesse mani.

Da parte mia credo che nel mondo terreno e ormai globalizzato la proprietà fisica, come quella intellettuale, sia di chi può costruirla con la competenza e il lavoro, favorendo anche la crescita e il miglioramento degli altri.

A questo proposito mi permetta di riassumerle, al di là delle forzate interpretazioni ideologiche e delle implicazioni d’immagine, qual è nel merito la posizione del nostro gruppo, che è una posizione di imprenditorialità e passione.

La Compañia de Tierras Sud Argentino, attiva dal 1891, è stata acquistata da parte di Edizione Holding (la finanziaria della famiglia Benetton) da tre famiglie argentine nel 1991. La nostra era, ed è tuttora, una sfida di sviluppo: trasformare questa azienda storica, con più di 100 anni di tradizione ma ormai decaduta, formata in gran parte da terre desertiche e inospitali, in una impresa agricola dedicata in particolare all’allevamento delle pecore ed altre attività agricole.

Senza entrare nel crudo dettaglio delle cifre, abbiamo investito per portare l’azienda a buoni livelli di produttività, ben consapevoli che questo avrebbe contribuito a produrre sviluppo e lavoro per il territorio e i suoi abitanti.

I risultati fin qui ottenuti sono positivi, certo non dal punto di vista degli utili, ma sicuramente per il livello di qualità raggiunto nell’allevamento ovino e per la crescita occupazionale nell’area.
Del resto, più in generale, non penso che scoraggiare gli investimenti degli imprenditori possa rappresentare una politica alla lunga redditizia, per l’Argentina come per qualsiasi altro Paese che voglia guardare a ragionevoli obiettivi di crescita, specie in un momento così delicato per l’economia internazionale.

Per questa serie di motivi, mi creda, appare quanto meno ingeneroso descrivere le tenute argentine di Edizione Holding come latifondi medioevali improduttivi, e noi come signori feudali. Abbiamo semplicemente seguito le regole economiche in cui crediamo: fare impresa, innovare, operare per lo sviluppo, continuare a investire per il futuro. E, nel contempo, essere aperti a ciò che l’esperienza e il rapporto con il mondo possono insegnarci.

Con la consapevolezza dolorosa ma realistica, da lei stesso ricordata, che niente possiamo portare con noi alla fine del viaggio. Ma nella ferma convinzione che sia il viaggio stesso - le cose viste e fatte, i rapporti umani, le strade percorse, gli obiettivi pensati e raggiunti - a rappresentare il nostro capitale più prezioso".

La Nazione Mapuche

La Nazione Mapuche (Mapu = Terra, Che = Uomo, "Popolo della Terra") si trova nel Cono Sur dell’America del Sud, nei territori oggi occupati da Cile e Argentina. Il Wall-Mapu, universo ancestrale dei Mapuches, popolo nomade, precolombiano, comprende le comunità Puelche (dell’Est), Pikunche (del Nord), Williche (del Sud), Pewenche (Araucaria), Lafkenche (del mare), Nagche (della pianura), Wenteche (delle vallate).

Il popolo della terra risiede soprattutto nelle province del Bìo-Bìo, Arauco, Malleco, Cautìn, Valdivia, Osorno, Llanquihue y Chiloé. Buona parte dei Mapuches si sono trasferiti nei grandi centri urbani di Santiago, Concepciòn, Valparaiso, Temuco y Valdivia. A Temuco, (dove studiò Pablo Neruda) su 176.712 abitanti, 38.410 sono Mapuches.
La lingua dei Mapuches è il Mapudungun (dungun = linguaggio), la lingua indigena più parlata in Cile. Malgrado i forti tentativi di assimilazione, il popolo Mapuche, è riuscito a conservare lingua, religione e struttura politico-sociale e gestisce, tutt’ora, le riserve indigene nelle quali è costretto a vivere sin dall’inizio del XX secolo.

Prevalentemente dediti alla pastorizia, all’artigianato e, più recentemente, all’agricoltura, i mapuches rappresentano, in Cile, la fascia più povera della popolazione.

Dagli Inca a Pinochet

I mapuches, chiamati dagli spagnoli "araucani", possono essere considerati come i primi guerriglieri dell’America Latina, (Luis Sepulveda: Patagonia Express - Feltrinelli 1995) si sono battuti prima contro l’Impero Inca, poi contro la dominazione spagnola, in difesa del proprio territorio. Nel 1881 le terre mapuche furono occupate militarmente nel corso della cosiddetta "pacificazione dell’Araucania" che provocò migliaia di vittime. La loro lotta dei Mapuches continua anche nel XX secolo, contro l’oligarchia cilena, tranne che nel periodo del governo del Fronte popolare (1938-41) e quello di Unità popolare di Salvador Allende che, con la riforma agraria, aveva restituito ai Mapuche 700 mila ettari di terra. Nel 1974 Pinochet (dittatore dal 1973 al 1990) riconsegnò ai latifondisti l’80% dei terreni. Soltanto quattro anni dopo, una Commissione delle Nazioni Unite dichiarò ufficialmente: "Dal giorno del colpo di Stato, i latifondisti, i militari e la polizia, hanno iniziato una vera e propria caccia ai Mapuches".

Mentre Allende, con la legge n° 17.729 del 1972, aveva garantito, nella Costituzione, diritti fondamentali ai Mapuches (restituzione dei diritti sulla proprietà della terra, sostegno a iniziative sociali e culturali, un sistema sanitario efficiente e l’insegnamento della lingua Mapudungun, il dittatore Pinochet dichiarò: "Non esistono popolazioni indigene". Come conseguenza della legge 2.568 del 1979, quasi il 90% delle proprietà Mapuche sono state espropriate, vendute o concesse a imprese forestali ed ex latifondisti. Con l’abolizione della proprietà collettiva tutte le strutture economiche, politiche, sociali e culturali del Popolo della Terra, furono smantellate. Arresti, torture, esilio, ridussero tra gli anni 70 e 80, le comunità mapuche da 2.060 a 665.

Una legge simile (n° 2.885) rese legale l’espropriazione delle terre Rapa Nui, sull’Isola di Pasqua.

Dopo Pinochet

Finita la dittatura i decreti, per l’espropriazione delle proprietà comunitarie, sono stati annullati, ma la lotta del "Popolo della Terra" non si è conclusa. La Legge Indigena (n° 19.253 del 1993) classifica i Mapuches come "popolazioni" e non come "popolo", differenza fondamentale dal punto di vista del diritto internazionale.
Da anni, le comunità mapuche sono mobilitate per ottenere il riconoscimento della propria identità e la difesa dei propri territori. Studenti, ecologisti, attivisti, negli ultimi anni, sono stati arrestati con l’accusa di terrorismo. Pochi giorni fa, il 13 gennaio 2004, il dirigente indigeno mapuche Vìctor Ancalaf, leader delle comunità di Collipulli, è stato condannato a 10 anni di carcere per aver diretto "azioni terroristiche" contro l’impresa elettrica Endesa-Espana, nella regione dell’Alto Bio-Bio. Ancalaf è detenuto dal novembre 2002 nel carcere di El Manzano di Concepciòn, con i dirigenti del coordinamento Arauco-Malleco, José Huenchunao e Héctor Llaitul, per associazione illecita.

L’avvocato di Ancalaf presenterà appello alla Corte interamericana dei diritti umani presso l’OSA (Organizzazione degli Stati Americani) perché "non esistono prove e la sentenza si basa su semplici indizi".
Il Premio Nobel per la letteratura José Saramago e i filosofi Edgar Morin e Alain Touraine, in una lettera inviata al presidente cileno Ricardo Lagos, esprimono la propria preoccupazione per gli indigeni mapuches e ricordano che diverse organizzazioni, nazionali e internazionali, per la difesa dei diritti umani, hanno denunciato violazioni dei diritti fondamentali, nei confronti di questo popolo.

Il prezzo dello sviluppo

Dal 20 maggio al 17 giugno 2002, migliaia di Mapuches hanno partecipato ad una marcia (percorrendo a piedi 637 chilometri dalla città di Temuco a Santiago del Cile) per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sull’occupazione del loro territorio, i trasferimenti di popolazione, le pessime condizioni di vita e la compromissione degli equilibri ecologici nella regione in cui vivono. La marcia fu proposta da Consejo de Todas Las Tierras, organizzazione molto nota all’estero e attiva alle Nazioni Unite, che ha presentato una proposta nazionale per il riconoscimento della Nazione Mapuche.
Destinatari delle proteste le industrie del legname, l’impresa elettrica Endesa, e sul versante argentino, la società italiana Benetton.

L’industria del legno

A partire dal 1989, i governi cileni di centrosinistra, adottando una strategia economica neo-liberale, hanno puntato a un rapido sviluppo del paese, favorendo le attività di imprese forestali e società legate al capitalismo internazionale. Sul territorio mapuche, si sono così insediati gruppi come Matte-Larrain e Angelini. Matte-Larrain attraverso numerose imprese forestali (Aserraderos Mininco, Servicios Forestales Escuadron, Immobiliaria Pinares, Sociedad Forestal Crecex S A, Forestal Rio Vergara, Agricola y Ganadera Monteverde) controlla oltre il 40% della produzione e dell’esportazione del legno, nella regione mapuche. L’Angelini, con la consociata americana International Paper e il Gruppo neozelandese Carter Holt Harvey, possiede le imprese Celarauco, Forestal Cholguan e Aserraderos Arauco, che con le filiali Cellulosa Arauco e Costituction, fatturano 107 milioni di dollari ed esportano negli USA, in Cina, Giappone e Corea del Sud, il 24% sul totale del legname mapuche esportato.

Nel settore del legname operano in Cile anche Shell, Mitsubishi, Trillium Corporation e Schidheiny.
Nella regione, l’area di sfruttamento forestale è aumentata di oltre il 50%, tra la fine degli anni 70 e la fine degli anni 90, quando occupava già un milione 667mila ettari. Nello stesso periodo, i terreni destinati alla coltivazione di grano e mais per le comunità, sono stati ridotti del dieci per cento.

Lo sfruttamento delle foreste, da parte delle imprese forestali, se da un lato rappresenta la seconda voce tra le merci più esportate dal Cile, dall’altro producono rischi seri per l’ecosistema. Nel territorio mapuche infatti esistono esemplari di alerce (anche 4mila anni d’età) alti più di 50 metri e, nel parco del Conguillìo, si trova l’unica foresta di sole araucarie del mondo. I boschi, (secondo una ricerca effettuata dalla Corporazione nazionale delle foreste (Conaf) organismo governativo cileno) subiscono deterioramenti, a causa delle sostanze chimiche utilizzate nei processi di trasformazione del legno in cellulosa. Al posto di encina, maòeo, roble e rauli (specie vegetali a rischio d’estinzione) vengono piantati pinus radiata e eucaliptus, esemplari d’importazione a rapida crescita.

Le coltivazioni intensive provocano erosione del suolo e impoverimento delle risorse idriche. La riduzione degli spazi destinati alle colture di autosussistenza e l’impoverimento del suolo privato, per necessità, dei tempi di riposo, spingono la popolazione mapuche verso le città.
Ogni anno, vengono tagliati tre milioni e mezzo di ettari di foreste, in tutta l’America latina, più del 60% del legno duro tagliato nel mondo.

La diga Ralco

L’Endesa-Spagna, sede centrale a Madrid, con i suoi impianti sparsi in 12 nazioni, è una delle più grandi società del mondo nel campo della fornitura di elettricità e si rivolge a oltre 20 milioni di utenti. I suoi interessi riguardano anche la gestione di gas, acqua e servizi primari. La società, con numerose affiliate in Europa e in tutto il Sud America, ha investito 500 milioni di dollari per la costruzione di sei centrali idroelettriche nella valle del Bio-Bio (cordigliera delle Ande). La diga Ralco, in particolare, sorgerà nella regione in cui vive la comunità mapuche dei pewnche (circa 4mila pesone) e provocherà il trasferimento di circa mille individui in una zona dal clima più freddo. La grande multinazionale sostiene che, le condizioni di vita degli indigeni pewnche sono già troppo precarie per poter essere ancora compromesse, mentre i rappresentanti delle comunità mapuche, protestano perché un trasferimento di massa significherebbe la perdita delle proprie tradizioni e la rottura del vincolo ancestrale con il proprio territorio.

L’ecosistema del Bio-Bio è fra i meno contaminati e i più ricchi di tutta l’America meridionale. Molte specie protette hanno il proprio habitat naturale proprio nelle foreste di araucaria: cervi, puma, gatti selvatici, uccelli rapaci. La costruzione della diga provocherà, secondo gli esperti, la scomparsa della cultura mapuche e la distruzione dell’ecosistema.

Il progetto per la Carretera costera

prevede la costruzione di una strada che dovrebbe collegare la città di Concepciòn a San Juan de la Costa. Le comunità indigene e gli ambientalisti, sostengono che la realizzazione dell’opera produrrà inquinamento da traffico. Sembra inoltre che alcuni imprenditori abbiano espresso l’intenzione di comprare lotti costieri sul lago Budi, se ciò dovesse accadere, dicono i mapuche, provocherebbe maggiore penetrazione nel loro territorio e lo sfruttamento, a scopo turistico, della loro immagine.

La fabbrica di cellulosa a San Josè de la Mariquina

progettata dall’impresa Celco, l’apertura della più grande fabbrica di cellulosa dell’America latina, è collegata alla realizzazione della strada costiera. Dovrebbe nascere dallo sfruttamento dei boschi di tutta la regione che la strada attraverserà.
La produzione di cellulosa, affermano i mapuches e gli ecologisti cileni, è altamente inquinante per l’uso massiccio di sostanze chimiche. La fabbrica dovrebbe scaricare i suoi rifiuti tossici in mare e ciò provocherebbe seri danni alla fauna marina che rappresenta la fonte alimentare primaria per gli indigeni Lafqunches.

La Carretera "By-Pass"

L’autostrada è stata progettata per evitare il traffico nel centro urbano di Temuco. Se verrà costruita taglierà in due il territorio mapuche, e precisamente quello abitato dalla comunità di Truf Truf. L’area urbana si estenderà lungo i lati della nuova strada, creando non pochi disagi ai mapuches che hanno presentato proposte alternative.

Oleodotto San Vincente-Temuco

Progettato per trasportare il petrolio dalle raffinerie di Petrox fino alla periferia di Temuco, l’oleodotto attraverserà i territori di tre comunità mapuches.

I geni mapuches brevettati

Il popolo mapuches ha diffuso un comunicato di protesta anche nei confronti del "Proyecto de diversidad del genoma humano" (PDGH), nell’ambito del quale, un gruppo di scienziati, antropologi, sociologi, provenienti da USA, Europa, India e Giappone, componenti di un Comitato Esecutivo Internazionale, vorrebbe raccogliere campioni di sangue, radici di capelli, unghie e pelle, per conservare le informazioni genetiche dei popoli indigeni. I mapuches si chiedono: perché tutto questo interesse nel salvare geni di popoli indigeni abbandonati e repressi, e scrivono: "Consideriamo il progetto di brevetto genetico come il prodotto di un sistema malato, capace di generare una scienza che divide l’uomo, che lo isola, non solo dalla sua famiglia e dal suo popolo, ma lo suddivide in particelle sempre più piccole, con una chiara attitudine suicida... Ieri - affermano nel loro comunicato diffuso in Rete - ci hanno usurpato la nostra terra...oggi ci usurpano le ricchezze della terra e del sottosuolo e la nuova usurpazione è già cominciata: è il furto delle nostre conoscenze, della nostra sapienza e dei nostri geni...

Popoli, culture, progresso

Cinquemila comunità indigene (300 milioni di individui) in tutto il mondo, rischiano di essere assimilate e scomparire, con i propri usi, costumi e conoscenze. Culture ancestrali destinate a spegnersi e cedere il passo al progresso.
Rischiano di scomparire, fra le altre, la cultura Adivasi, in India (70 milioni); la Saami nel Nord Europa; quella dei Nomadi del mare nel Sudest asiatico; quella dei Pigmei nelle ultime grandi foreste africane; quella degli indigeni equadoriani, minacciati dalle industrie petrolifere; la cultura San dell’Africa meridionale; quella indiana, nell’intero Continente americano; le tradizioni dei popoli siberiani, nel nord della Russia, e il mondo dei Mapuches, (un milione in Cile, 250mila in Argentina) e ancora in Cile gli Aymara (48mila), i Rapa Nui (20mila), i Cunsa o Atacameno (3mila), i Coya (100) gli Yàmana (70) e i Kawèskar (100), che, tutti insieme, rappresentano il 10% dell’intera popolazione cilena (15 milioni di abitanti).