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La faccia tosta di Fini: le due Simone come Ponzio Pilato

Publie le domenica 19 settembre 2004 par Open-Publishing

Guerre-Conflitti Alfio Nicotra

di Alfio Nicotra

Un fantasma inquieta il sonno di Gianfranco Fini: quello del pacifismo. Dato in crisi irreversibile dai suoi detrattori e trattato con alternata diffidenza dalla sinistra moderata, il movimento pacifista è stato ieri l’oggetto degli strali del maggiordomo nero di Palazzo Chigi. Il vicepremier ne deve avvertire tutta la sua vitalità e forza culturale e sociale. Lo dimostra la platea scelta per lanciare i suoi anatemi, la festa nazionale di Azione Giovani, e il tono da vera e propria crociata usato per l’occasione. «Dovete diventare l’avanguardia di una grande battaglia per la pace e contro il pacifismo» ed ancora «il pacifismo è la caricatura della pace. Ponzio Pilato era il primo pacifista della storia, si lavava le mani, guardava dall’altra parte». Con virilità mascolina, Fini ha riproposto il vecchio clichè coloniale dei soldati italiani "pacificatori" e il riflesso condizionato dei pacifisti ambigui e contigui con il terrorismo.

Proviamo a dare una spiegazione a tanta acredine.

La guerra non sta andando bene non solo per americani, inglesi e polacchi il cui numero di morti continua a crescere di giorno in giorno. I militari italiani a Nassiriya sono infatti da mesi immobili, acquartierati nei loro fortini e ci pensano tre volte prima di mettere il naso fuori. La richiesta di Frattini agli Usa - anch’essa evidentemente vissuta come concessione al pacifismo - di «bombardare con moderazione» evidenzia drammaticamente l’insulsaggine dell’Italia e della sua politica in Iraq.

La missione "Antica Babilonia" di umanitario non ha ormai proprio più nulla e i "pacificatori" rimangono lì, nel deserto, sperando di non tornare ad essere oggetto di rappresaglie e attacchi della guerriglia. L’intero Iraq è uno scannatoio a cielo aperto e anche se l’ordine di scuderia è la militarizzazione dell’etere e della stampa, l’opinione pubblica rimane sempre di più convinta che la guerra sia stata uno sbaglio (per di più - come dice Kofi Annan - illegale) e che le truppe dovrebbero tornare subito a casa.

Fini conosce bene anche i flussi elettorali e percepisce come la cultura pacifista, antimilitarista e fondata su valori forti come il ripudio della guerra, stia spostando a sinistra settori consistenti del mondo giovanile. Lo dimostra anche la crisi dell’arruolamento dei volontari nel nuovo esercito professionale. Il governo, nonostante la crescita della disoccupazione e della precarietà del lavoro, ha dovuto mettere mano al portafoglio e prevedere una crescente riserva di posti nella pubblica amministrazione da destinarsi ai militari volontari una volta congedati. Cose poco nobili per chi - rispolverando D’Annunzio e contrapponendolo a Che Guevara - vorrebbe che le nuove generazioni abbracciassero la carriera militare di slancio, in nome degli antichi valori della Patria e dell’Onore.

La cultura militarista - di cui Fini è espressione - è inceppata anche sul versante del coraggio. Ci vuole infatti una bella faccia tosta nel dare del pilatesco ai pacifisti proprio quando due suoi esponenti, Simona Pari e Simona Torretta, sono sequestrate da mani ignote e rischiano di essere uccise. Il lavoro svolto da "Un Ponte per" e dal movimento pacifista italiano e mondiale - se ne faccia una ragione l’on. Fini - è il vero antitodo alla violenza del terrorismo e della guerra. Perché, a differenza dei militari falsi "pacificatori" e vere forze di occupazione, il lavoro dei pacifisti costruisce e non abbatte i ponti, tiene aperte le scuole invece di distruggerle, potabilizza l’acqua invece di avvelenarla con armi micidiali. Sono ponti che si ostinano a stare in piedi nonostante in troppi abbiano dichiarato la guerra di civiltà, come dimostra lo straordinario sussulto del mondo arabo e della sua società civile a sostegno dei quattro del "Ponte per" e per la loro liberazione. Il terrorismo poi non è una entità metafisica. Non lo si combatte con la guerra ma con una politica che svuoti i giacimenti d’odio e rimuova le ingiustizie.

Diceva, ormai oltre dieci anni fa, padre Balducci che «nell’epoca della globalizzazione essere pacifisti significa diventare eversori dell’ordine delle cose esistenti». Forse sta qui la spiegazione della preoccupazione di Fini. Lo ha capito anche lui: i pacifisti possono, se vogliono, cambiare il mondo.

http://www.liberazione.it/giornale/040919/LB12D6A0.asp