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Nucleare: Dal rischio grave alla società autoritaria

Publie le sabato 16 aprile 2005 par Open-Publishing

Dazibao Nucleare Europa Catastrofe Storia

Tradotto dal francese da Karl&rosa

La catastrofe di Chernobyl ha scosso le coscienze. Ma non é stata sufficiente a provocare il vasto dibattito che esige l’emergenza della "società nucleare". Perché i rischi sono enormi, l’avvenire é ipotecato come non lo é mai stato per nessuna civiltà industriale, un nuovo rischio si profila: quello della creazione di un ordine autoritario per meglio "gestire" il nucleare.

L’industria nucleare rappresenta certamente, almeno per il momento, l’aspetto più importante e più puro dell’impatto sociale della scienza (e naturalmente degli scienziati). E’ per questa ragione che le analisi relative all’ingerenza della scienza nella nostra società non se ne interessano affatto.

Gli incidenti hanno sempre fatto parte della produzione industriale. Il rischio é riconosciuto come una componente della nostra società. Anzi, il diritto di produrre impunemente rischio dovrebbe essere riconosciuto come motore essenziale dello sviluppo tecnico. I discorsi sul rischio si moltiplicano. Vi si mescola alla rinfusa le esplosioni delle tubature del gas negli edifici, il tabacco, il trasporto di fusti di prodotti tossici, l’incidente nucleare, le ferrovie, gli errori di pilotaggio degli aerei, l’ozono etc.

L’incidente nucleare é menzionato molto di rado per la sua specificità. Eppure, con il nucleare, l’incidente industriale diventa grave. Passa dallo stadio della produzione artigianale ad un livello veramente moderno. Un tempo sottoprodotto per consumo locale, é arrivato ormai al consumo di massa. Entro qualche giorno, lo spazio colpito dalla catastrofe raggiunge dimensioni mai immaginate per gli altri tipi di industrie.

I suoi effetti possono danneggiare la salute di popolazioni numerose e dei loro discentendi per secoli. Se nel 1976, dopo l’incidente di Seveso, alcuni responsabili della sanità italiani si sono chiesti se si doveva evacuare Milano, a Chernobyl, dieci anni più tardi, 135.000 persone sono state trasferite da una regione di 300.000 ettari senza speranza di ritorno.

La decisione dei Sovietici fu presa in meno di quarantott’ore e questo termine deve essere considerato troppo lungo, tenuto conto dei rischi. D’altronde le evacuazioni iniziali furono insufficienti, dato che fu necessario continuarle in seguito. Se le autorità non si fossero limitate a tener conto dei criteri di protezione sanitaria, avrebbero dovuto neutralizzare territori giganteschi (1).

Una catastrofe nucleare necessita dell’intervento molto rapido di centinaia di lavoratori per limitare le dimensioni del disastro. A Chernobyl, l’ignoranza dei rischi di irradiazione e l’esistenza di un potere autoritario hanno permesso di trovare senza troppe difficoltà dei "volontari" in numero sufficiente. La conoscenza dei pericoli rischia fortemente, per i prossimi incidenti, di ostacolare in misura considerevole il reclutamento di volontari, soprattutto se si vuole restare in regime di democrazia liberale (2). L’ignoranza diffusa é necessaria per una gestione "dolce" delle crisi nucleari. Dato che i responsabili sociali non possono essere sicuri di mantenere quest’ignoranza a lungo, devono, e dovranno sempre di più, costituire strutture formative compatibili con i concetti fondamentali della democrazia.

Per i responsabili, l’incidente grave si definisce piuttosto per il suo impatto mediatico che per le sue conseguenze oggettive sulla popolazione. Tanto più che, per l’irradiazione, a parte le dosi acute che portano ad un ristretto numero di morti spettacolari, le pesanti conseguenze del bilancio reale sono differite: molti decenni per i cancri mortali, generazioni future per gli effetti genetici. I mezzi per gestire questi effetti oggettivi sono molto limitati e soprattutto molto costosi (massicce evacuazioni e neutralizzazione di vasti territori).

Inversamente, i media sembrano particolarmente adatti alle crisi: "In questo contesto di elevata turbolenza, la messa in relazione - la comunicazione - diventa un fattore strategico di primaria importanza. Comunicazioni interne agli organismi interessati, comunicazioni fra organizzazioni, comunicazioni al pubblico attraverso i media (o per via diretta nei casi di estrema urgenza): l’esperienza mostra la necessità di controllare queste linee molteplici di informazione" (3). Cosi’ il controllo del rischio grave passa attraverso il controllo dei media.

Controllo dell’informazione

L’informazione, o piuttosto il controllo dell’informazione, quello che più spesso si chiama "comunicazione" é la chiave per la gestione di una crisi grave. E’ importante che le decisioni prese dalle autorità preposte alla protezione delle popolazioni siano accettate da tutti, indipendentemente dalla loro reale efficacia. Ne va della stabilità del corpo sociale.

La paura é molto temuta in caso di crisi. "L’esperienza del rischio é inseparabile, per un soggetto umano, da quella della paura. Si tratta allora di affrontare l’oggetto della propria paura. Il problema risiede nel fatto che la paura, come l’angoscia, é generalmente uno stato intransitivo, senza oggetto. Il passaggio all’atto di affrontare una paura puo’ sortire l’effetto di sopprimere la paura e di conseguenza di annientare il rischio stesso" (4). Per l’autore di questo testo, non si tratta delle piccole paure della vita quotidiana, poiché egli interveniva ad un convegno dedicato alla società di fronte a un rischio grave.

Il disastro di Chernobyl ha fatto nascere il concetto di radiofobia per spiegare i disturbi della salute di cui soffriva la popolazione. Permetteva ai dirigenti politici che facevano riferimento a scienziati esperti di non confessare che era economicamente impossibile proteggere efficacemente gli abitanti evacuandoli e che i mali di cui soffrivano o di cui avrebbero sofferto più tardi (cancro) facevano parte del costo sociale dell’energia nucleare. Infatti, questo concetto di radiofobia non é stato accettato bene e qualche disordine sociale non ha potuto essere evitato (5). La penuria di cibo é arrivata al momento giusto per calmare la rivendicazione della gente volta ad ottenere alimenti non contaminati.

Cosi’, qualunque sia il paese, gli organismi ufficialmente incaricati della protezione della popolazione (ministeri della sanità e dell’ambiente, autorità di sicurezza, istituto per la protezione nucleare etc.) vedono le loro funzioni ridotte ad un migliore inserimento sociale del rischio grave, il cui prototipo é il rischio nucleare.

Dato che per lo stato il controllo della comunicazione é una necessità, questo controllo avverrà mediante il tacito consenso dei media o mediante censura autoritaria. Nei due casi, il contenuto democratico della società ne sarà certamente intaccato.

L’incidente nucleare fa parte delle preoccupazioni dei gestori della società. Cosi’ il direttore della sicurezza nucleare dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA), Rosen, ha affermato alla conferenza di Vienna dell’agosto 1986 a proposito del disastro di Chernobyl: "Anche se ci fosse un incidente di questo tipo ogni anno, considererei il nucleare una fonte di energia interessante" (6). E Pierre Tanguy, ispettore generale per la sicurezza nucleare all’EDF, ha dichiarato nel corso di un convegno: "Facciamo tutto il possibile per prevenire l’incidente grave, speriamo di non averne, ma non possiamo garantire che non ce ne saranno. Non si puo’ escludere che nei prossimi dieci o venti anni un incidente nucleare civile grave avvenga in uno dei nostri impianti" (7).

La medicina in caso di catastrofe prevede la gestione dei soccorsi durante la fase d’urgenza per un gran numero di persone. "Lo smistamento fa parte della medicina in caso di catastrofe. Permette un utilizzo ottimale dei mezzi disponibili (di cure sul posto, di evacuazione, di ospedalizzazione) in funzione dello stato delle vittime (8). In base a questo concetto, non si é lontani dall’eutanasia considerata come una necessità economica.

Piani d’emergenza (Orsec-Rad) prevedono la gestione delle crisi nucleari, il confino della gente e del bestiame, l’evacuazione. Solo una parte di questi piani é resa pubblica, l’essenziale é assimilato alla sicurezza militare. Vengono effettuate simulazioni di incidenti nucleari. Non escono dai computer e la popolazione non é chiamata a partecipare. Si tratta solo di simulazioni.

Per quel che riguarda i criteri di decisione per la gestione a breve e medio termine, sembra che i responsabili non desiderino essere legati da obblighi di regolamenti stretti basati sull’unica preoccupazione della protezione sanitaria degli individui. Norme troppo severe per gli alimenti potrebbero far sparire ogni possibilità di attività agricola. Metterebbero il paese in una situazione di penuria alimentare che il bilancio governativo non potrebbe risolvere. Sarebbe possibile sopprimere l’alimentazione in acqua potabile di tutta una regione in seguito a norme troppo restrittive?

Come si potrebbe determinare in modo razionale nella nostra società democratica i criteri di gestione di un disastro nucleare?

Interventi ravvicinati di operatori sono necessari per gestire il reattore in sofferenza se si vuole limitare l’ampiezza dei danni. Costoro sono destinati a ricevere grandi dosi di irradiazione. Le dosi letali a breve termine possono riguardare solo un piccolo numero di persone. Inversamente, molte centinaia possono ricevere dosi che, a medio termine, rischiano di intaccarne la salute mediante l’indebolimento del loro sistema immunitario e, a più lungo termine, di aumentarne considerevolmente il loro rischio di mortalità per leucemia ed altre forme di cancro. Come garantirsi la disponibilità di questi gruppi di intervento in un quadro democratico? L’impossibilità di reclutarli potrebbe aggravare la situazione su vasri territori. C’é manifestamente un’incompatibilità fra il diritto dei lavoratori di proteggersi e la protezione della società nel suo insieme.

Dato che gli effetti cancerogeni dell’irradiazione non comportano una soglia di dose al di sotto della quale l’effetto é nullo (9), la fissazione di limiti di dosi al di qua delle quali non c’é "intervento" implica l’accettazione da parte della popolazione implicata di un certo danno, nel caso specifico di un certo numero numero di morti di cancro.

Cosi’, quando i responsabili fissano dei limiti per i livelli "accettabili" di irradiazione, questo implica, per coloro che li stabiliscono o li raccomandano, l’accettazione di un certo numero di morti. Ma questo non viene mai esplicitato, e le popolazioni sono mantenute nell’ignoranza dei rischi reali. Cio’ riguarda le dosi limite per il confinamento e le evacuazioni, i limiti di contaminazione dei suoli sui quali la vita sarà considerata, a lungo termine, normale e senza che sia necessaria l’evacuazione, i limiti di contaminazione degli alimenti. Inoltre, dato che l’effetto cancerogeno dipende da numerosi fattori (età, stato di salute etc.) occorrerà stabilire norme differerenziate per tener conto degli individui a rischio o basarsi su un individuo standard?

La stretta protezione degli individui non é necessariamente compatibile con una protezione della società nel suo insieme. Come potranno essere fissati tutti questi livelli di accettabilità in democrazia? Chi oserebbe designarsi democraticamente come portavoce delle generazioni future per definire i livelli di accettabilità degli effetti genetici? E’ evidente che tutto cio’ é totalmente al di fuori dell’ambito democratico. Le decisioni possono venire solo da un gruppo di responsabili, la cui principale preoccupazione sarà la stabilità sociale e l’interesse nazionale, di cui si considerano a priori i garanti.

L’esistenza della minaccia di catastrofi nucleari, che solo catastrofi reali possono rendere credibile, é la condizione necessaria per affermare il potere de questo gruppo che prende le decisioni, per garantire nella calma il passaggio da una società democratica ad una società tecnocratica di tipo autoritario (10). Un certo rituale democratico é ancora possibile nella gestione di una società fortemente nuclearizzata. La presa di coscienza delle necessità per gestire socialmente le crisi nucleari potrebbe far si’ che questo stesso rituale diventi un impedimento e debba essere abbandonato senza che si sia domandato democraticamente alla popolazione di rinunciare alla democrazia.

Roger Belbéoch.
http://www.dissident-media.org/infonucleaire

1) La Gazette Nucléaire numeri 96/97, 100, 109/110, édita da Groupement de scientifiques pour l’information sur l’énergie nucléaire (GSIEN), 2 rue François Villon, 91400, Orsay.
(2) Per la direzione di EDF, "tutti i dipendenti sotto irradiazione sono, a priori, volontari per partecipare eventualmente a un intervento che implica un’esposizione d’urgenza". Documento EDF pubblicato dal "Canard enchaîné" il 19 luglio 1989.

(3) Patrick Lagadec, " Stratégie de communication en situation de crise ", testo presentato al congresso internazionale di ricerca "Valutare e controllare i rischi, la società di fronte a rischio grave ", 20, 21, 22 gennaio 1985, Chantilly.

(4) Denis Duclos, " Risque et sciences sociales", ibid.

(5) Bella et Roger Belbéoch " Tchernobyl, une catastrophe ; quelques éléments pour un bilan ", l’Intranquille numero 1, Parigi 1992 (CP 75, 76960 Notre-Dame-de-Bondeville). [Completato e pubblicato nel 1993 dalle edizioni ALLIA, Parigi].

(6) Le Monde, 28 agosto 1986

(7) Pierre Tanguy, "Il controllo dei rischi nucleari", Atti del congresso "Nucleare - Salute -Sicurezza", Montauban 21, 22, 23 gennaio 1988, Consiglio generale di Tran-et-Garonne, CP 783, 82013 Montauban Cedex.

(8) Pierre Huguenard (facoltà di Créteil-Parigi XII), "Medicina in occasione di catastrofi e rischio tecnologico grave", Annales des Mines, ott-nov. 1986.

(9) La Commissione internazionale di protezione radiologica (CIPR), nelle sue raccomandazioni del novembre 1990, esplicita l’assenza di soglia per gli effetti cancerogeni dovuti alle radiazioni, in particolare negli articoli 21, 50, 60 e 65. Leggere Roger Belbéoch, " Les effets biologiques du rayonnement ", Stratégies énergétiques, biosphère et société (SEBES), numero 2, novembre 1990, Ed. Médecine et hygiène, casella postale 456, CH-1211 Genève 4.

(10) Roger Belbéoch, " Société nucléaire ", Encyclopédie philosophique universelle, les Notions philosophiques, tomo II, Presses universitaires de France, Parigi, agosto 1990.

http://bellaciao.org/fr/article.php3?id_article=13895