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10/11/12 MARZO: INIZIATIVE PER RICORDARE FRANCESCO LORUSSO

Publie le mercoledì 9 marzo 2005 par Open-Publishing

Dazibao Movimenti Storia

NON C’E’ FUTURO SENZA MEMORIA

Il Centro di documentazione dei movimenti Francesco Lorusso - Carlo
Giuliani (c/o VAG, via Paolo Fabbri 110) in occasione del 28° anniversario dell’assassinio di Francesco Lorusso organizza nei giorni 10/11/12 marzo una serie di iniziative per ricordare Francesco.

GIOVEDì 10 MARZO alle ore 21 c/o VAG, via Paolo Fabbri 110
verrà messo in scena il reading STORIE Regia MARCELLO CAPPELLI

Narratore ALESSIO DI MODICA

L’Italia del dopoguerra ha perso quasi completamente l’abitudine di
prestare attenzione ai racconti tramandati oralmente, Oggi nell’epoca dei
mass media e dei telefonini la sua perdita nella cultura diventa ancora più
drammatica..

Solo di recente la tradizione orale sta conoscendo un revival ed è
diventata oggetto di studi e convegni internazionali grazie soprattutto
all’interesse che ha riscontrato da parte di altre arti ed in particolare
la letteratura ed il teatro.

Non sono lontani i tempi in cui la sera ci si riuniva ,in famiglia o con
amici, sulla porta di casa seduti sui gradini o al prendere il fresco; in
quei momenti si instaurava un rapporto intimo ed emozionale che spingeva a
riprendere i contatti con la nostra memoria. Allora prendevano corpo
immagini e racconti del nostro passato vicino e lontano: un viaggio
avventuroso, la concessione di una grazia, un fatto curioso capitato a
qualcuno, gesta di animali fedeli, storie di donne che si erano fatte
streghe ecc..E così il tempo passava e si tramandavano storie ed emozioni.
Da queste emozioni prende il via il nostro progetto, dal desiderio di
ritornare a contatto con il nostro passato erestaurare un rapporto diretto
con la memoria e le nostre origini, attraverso un contatto umano che
susciti emozioni dimenticate

Un’ora di racconti di frammenti di attualità e testi letterari di periodi
definiti della storia della letteratura, capace di provocare nel pubblico
la scoperta del brano come evento vivo, personalizzato, in trasformazione.
Il rapporto con la narrazione e con le immagini che ne scaturiscono ï
forte, intenso e immediato, la relazione tra il narratore e il pubblico è
viva e diretta: l’ascolto diventa costruzione personale delle proprie
immagini.

a seguire verrà presentato il libro

"DA FARO A FARO"

Prefazione di Haidi Giuliani al testo drammaturgico edito dalla casa

editrice Papageno di BARI

Il 21 luglio del 2001, dopo una campagna terroristica sostenuta dai grandi
media, dopo le cariche del giorno precedente, dopo l’assassinio di Carlo,
quasi trecentomila persone sono venute a Genova a manifestare.
Alcune di queste le ho incontrate e conosciute in seguito.

Mi hanno raccontato di essere partite senza sapere esattamente il perché.
Di aver deciso di venire dopo aver visto quel ragazzo con la sua canottiera
bianca steso sull’asfalto di una piazza.

In corso Italia, sul lungomare, era presente quel meraviglioso movimento
variegato che è stato definito, con termine negativo e vagamente
spregiativo, il “popolo no-global”: camminavano fianco a fianco, in una
bellissima giornata di sole, provenienti da tante regioni d’Italia e
d’Europa, il boy scout e il ragazzo dei centri sociali, la giovane suora e
il vecchio comunista, la donna impegnata in un’associazione di solidarietà,
l’ambientalista, il pacifista, l’intellettuale di sinistra...

Sono stati aggrediti, gassificati, picchiati, rincorsi, feriti, alcuni in
modo grave. Alcuni porteranno per sempre i segni di quelle
lesioni. Alcuni ancora oggi non riescono a ripercorrere quelle strade.
Qualcuno ancora oggi non riesce a dormire la notte. “Non sapevo il perché,
ma sentivo di dover andare”, questa è la frase che ho sentito ripetere più
volte, a proposito di quella giornata.

Non sapevano il perché ma sono venuti a difendere la democrazia.
E’ stata una prova terribile; eppure il movimento, accusato, insultato,
umiliato, violentato, incarcerato, è ritornato più numeroso di prima.
E c’è sempre qualcuno che, a distanza di due anni, passa da piazza Alimonda
per lasciare un biglietto, un fiore, un ricordo a quel ragazzo minuto che
per primo ha opposto resistenza alla repressione.

Senza pentirsi dei suoi ventitre anni.

La mamma di Carlo

Ci piacerebbe che l’iniziativa del 10 fosse un’occasione per raccogliere
fondi per il supporto legale di Genova. Ma anche per lanciare una proposta
in città a quanti hanno raccolto firme per l’appello lanciato dal comitato
"Piazza Carlo Giuliani" a favore di un cippo in Piazza Alimonda. Firme che
vorremmo riunire quella sera per consegnarle pubblicamente il giorno dopo a
Giuliano Giuliani ospite dell’iniziativa "Archiviazione: il dibattimento
negato" a Marzabotto.

VENERDì 11 MARZO
ore 9,00
Via Mascarella angolo via Irnerio
 
davanti ai CERCHI DI GESSO intorno i buchi nell’intonaco
provocati dai proiettili che non uccisero Francesco Lorusso ...
 
CI TROVIAMO COME OGNI ANNO A RICORDARE QUEL GIORNO
IN CUI MORI’ FRANCESCO ...
IL GIORNO NEL QUALE IL POTERE PIANTO’ UN PIOLO DI FRASSINO
NEL CUORE ROSSO DI UN SOGNO ...
IL SOGNO DI UNA SOCIETA’ A COLORI ...
DEBOLE FIAMMA CHE COVA SOTTO LA CENERE!!! (Renzo)
 
VENERDì 11 MARZO
ore 10,00
Via Mascarella 37 - davanti alla lapide che ricorda l’assassinio di
Francesco
 
come ogni anno, in questi lunghissimi 28 anni, con Agostino e Giovanni
Lorusso, con i compagni e le compagne e gli amici di Francesco
con un fiore, un biglietto, un ricordo, ognuno col suo modo personale di
salutarlo, per non dimenticare
 
VENERDì 11 MARZO
ore 11,30
 
Al giardinetto Francesco Lorusso, nelle vicinanze della multisala di via
Berti 2
davanti al monumento che ricorda Francesco
con i familiari e gli amici
 
VENERDì 11 MARZO
ore 18,30
c/o VAG, via Paolo Fabbri 110
 
Inaugurazione della mostra fotografica sul
Movimento del ’77 a Bologna
foto di Enrico Scuro, ristampe a cura dei fotografi di UFO
 
VENERDì 11 MARZO
ore 21,30
c/o VAG, via Paolo Fabbri 110
 
Proiezione speciale del documentario sulla lotta degli autoferrotramvieri
REGALO DI NATALE
di Marco Carraro ed Emiliana Poce
(Italia, 2004, dur. 30’)
Saranno presenti:
il regista Marco Carraio
Claudio Signore (COBAS ATM di Milano)
Italo Quartu (RdB-CUB Trasporti ATC Bologna)
Introduce Davide Turrini (giornalista di Liberazione)
 
SABATO 12 MARZO
ore 18,00
c/o VAG, via Paolo Fabbri 110
presentazione del libro
SETTANTASETTE - LA RIVOLUZIONE CHE VIENE
a cura di Sergio Bianchi e LanfrancoCaminiti
pp. 432
euro 20,00
88-88738-57-6
 
In Italia il movimento politico, sociale,culturale, esistenziale del 1977 è
stato artefice, non di una rivolta effimera ed estremistica, ma di una
rivoluzione che ha annunciato la fine del Novecento e, insieme, il presente
che stiamo vivendo. Quel movimento, infatti, in un brevissimo arco di tempo
ha consumato definitivamente tutto il repertorio dellýimmaginario
storicodella sinistra a fronte di una trasformazione epocale, produttiva
epolitica, delle societê occidentali. Di quel movimento, prima represso nel
sangue e nel carcere, poi imploso nella droga, è rimasta nella memoria
collettiva una flebile eco nella truce ruvidità della lotta armata.
Rimozioni, omissioni e falsificazioni lo hanno perseguitato per quasi
trent’anni negandogli l’intelligente lungimiranza che aveva invece saputo
esprimere. Questo libro, accostando documentazione d’epoca a
interpretazioni attuali daparte di alcuni suoi protagonisti, vuole
contribuire a ristabilire la verità.
 
a seguire, per tutta la serata
proiezioni di video e filmati sul movimento del ’77
 
Un ricordo di Gabriele Giunchi
11 marzo: Memoria di un giorno di storia

Chi si trova a possedere un segmento di verità vera in relazione ad un
evento eccezionale ed é in grado di corroborarlo con informazioni
precedenti e ragionamenti deduttivi, con elementi di casualità, con quella
sensazione forte dell’incombere di un destino e con la sequela concatenata
degli accadimenti che seguirono, non può che cercare di aggiungere il
proprio tassello a quelli di coloro che assieme a lui si sforzano di
ristabilire l’ordine delle cause e degli effetti prodotti da quell’evento,
non può liberarsi della tensione di ricomporre una verità soddisfacente per
trovar pace tra la fatica di chi non si rassegna alle amnesie e alle
rimozioni di comodo.

Sono passati venticinque anni da quei giorni di marzo durante i quali alla
nostra verità relativa si contrapponeva una pretesa di verità assoluta che,
unita allo stato d’assedio, agli arresti, alle insinuazioni più infami,
rendeva impossibile ottenere giustizia e onore.
Oggi il tempo trascorso e l’evoluzione di problematiche sociali non del
tutto dissimili a quelle che originarono il Movimento ’77, ci consentono di
rivisitare la verità senza la pretesa di guardarla dritta in faccia, come
suggeriva Benjamin, ma meditandola per quel che di utile può insegnarci
ancora.

Mi risolvo pertanto a riferire memorie nitide, senz’altro scopo che
favorire una riflessione utile al nostro presente ostico e preoccupante.
L’ultima cosa che mi aspetto é sperare in una giustizia postuma. La prima
(e la sola), che si rifletta senza far uso eccessivo di naftalina in
relazione a forme di pensiero, metodi di lotta, nostalgia di strutture
organizzative oggi improponibili.

Dedico questi ricordi a Virginia Lorusso scomparsa da pochi anni. La sua
figura mite e tenace, misurata e dolce avrebbe meritato ben altro destino.

GLI ANTEFATTI

Una settimana prima dell’11 marzo vengo convocato in via ufficiosa dal
dirigente della Squadra Politica della Questura di Bologna, Graziano Gori.
E’ persona che conosco bene poiché, essendo stato io membro della
Segreteria cittadina di Lotta Continua, era a lui che indirizzavo le
richieste per l’autorizzazione di manifestazioni e comizi. E’ un "nemico" a
cui riconoscerò sempre il merito della correttezza e con cui valeva il
senso della "parola d’onore".

Mi comunica con toni preoccupati che, per decisione del Ministero degli
Interni, vista l’esuberanza del Movimento e l’imprevedibilità delle sue
iniziative, la gestione dell’ordine pubblico in città non sarà più
competenza del suo Ufficio, ritenuto troppo "morbido con la piazza", e che
tutto é rimandato da ora al Comando dei Carabinieri.
La decisione é stata presa a seguito di contrasti giudicati insanabili tra
ipotesi repressive e di contenimento diverse. Mi si raccomanda pertanto,
d’ora in poi, una maggior prudenza e un maggior autocontrollo. Ogni
mediazione, conclude, non ha più possibilità di darsi.

Per quanto preoccupante, questa comunicazione difficilmente poteva essere
riferita in modo efficace alle assemblee di Movimento, sempre animatissime
e poco propense a raccomandazioni paternalistiche.
Sta di fatto che già in occasione dell’8 marzo si ebbe la prima avvisaglia
del cambiamento di clima: un corteo di donne fu duramente caricato dalla
Polizia e ci furono parecchie contuse. La perturbazione era in arrivo.

11 MARZO

Di quel giorno ricordo anche le nuvole e il colore del cielo. Verso
mezzogiorno andai in piazza Verdi per pagare la quota necessaria a
partecipare alla manifestazione nazionale prevista a Roma per il giorno
successivo. C’era un banchetto e una bandiera rossa, si chiacchierava tra
pochi, data l’ora.

Da Porta Zamboni giunsero le detonazioni tipiche del lancio di candelotti e
il primo pensiero che mi colse fu quello di assistere in diretta ad una
vera e propria "invasione di territorio", dato che fino a quel momento
nessuna iniziativa repressiva aveva riguardato la cittadella universitaria.
D’istinto mi coprii il volto con un lembo della bandiera e corsi verso la
zona degli scontri, incontro al fumo denso che si allargava.
Qualcuno mi disse che era inutile tentare di avvicinarsi da quella parte e
si decise di provare a passare per via Bertoloni.

Mi bastò affacciarmi per capire che non era aria neppure lì: sul muro,
all’altezza dei cavi della corrente elettrica, vidi distintamente le
scintille prodotte da colpi di arma da fuoco. Già questo fatto costituiva
una "prima volta", un innalzamento del livello di scontro.
Poi non ricordo perché, procedendo verso gli sbocchi successivi, si decise
di non risalire via Centotrecento.

Ci trovammo infine in un piccolo gruppo - cinque, sei persone - a procedere
per via Mascarella.

Qui, per una ragione che non so spiegare neppure ora (forse per rendermi
più utile, forse per l’inesperienza a situazioni del genere essendo sempre
stato "esonerato" dalla partecipazione a scontri con la Polizia in ragione
del fatto che mi trovavo in regime di buona condotta per due sentenze
definitive, forse per una strana forma di coraggio o.... di paura) decisi
di fare corsa solitaria e parallela sotto il portico di sinistra.

Correndo, vedevo gli altri procedere verso via Irnerio. Uno di loro,
portatosi in mezzo alla strada, tirò un sasso verso un gruppetto di
carabinieri ma sbagliò clamorosamente la mira scheggiando il palazzo
d’angolo.

Una sciocchezza, se non fosse che, dopo, quel segno diventò la "prova" che
qualcuno aveva sparato anche da via Mascarella e alimentò l’assurda
insinuazione che Francesco poteva essersi trovato al centro di un tiro
incrociato e dunque poteva essere stato colpito dai suoi stessi compagni.
Giunto a poco più di dieci metri dallo sbocco su via Irnerio vidi, in
prossimità dell’incrocio un camion, del tipo di quelli dell’esercito, ed
alcuni carabinieri: tutto sommato pochi, come pochi si era dalla parte di
qua.

Poi non vidi più, per effetto di una prospettiva troppo obliqua, ma sentii
i rimbombi secchi di otto - nove colpi almeno di arma da fuoco, in rapida
successione.

Feci retromarcia immediatamente, così come facevano gli altri,
parallelamente a me. Solo che loro portavano, ognuno per un arto, il peso
di un corpo senza energia. Ci ricongiungemmo e ci fermammo davanti
all’uscita posteriore di un cinema.

Francesco morì lì, tra sguardi sbigottiti, mentre gli rivolgevo parole
vane.

Fermammo una macchina per tentare di raggiungere l’ospedale più vicino. Nel
frattempo giunse un’ambulanza e caricò il corpo di Francesco, ma le facce
degli infermieri non lasciavano speranze.

Andai comunque al S. Orsola per sentirmi dire quello che ormai era già
tragicamente palese.

Seppi subito dopo che contro i carabinieri era stata lanciata una molotov,
che Francesco aveva avuto il tempo di dire "mi hanno beccato" e di fare con
le sue gambe circa dieci metri, fino al punto in cui cadde, dove poi fu
posta la lapide.

Seppi anche che ad originare tutto era stato un diverbio e una scaramuccia
tra qualche decina di compagni ed esponenti di Comunione e Liberazione
riuniti in assemblea. Roba che in altri tempi si sarebbe risolta con due
parolacce, qualche spintone e poco più.

Capii immediatamente che l’esautorazione dell’Ufficio Politico della
Questura aveva acceso sulla strada una competizione esacerbata tra reparti
della Celere e Carabinieri, quasi una gara efficientistica all’insegna
della recrudescenza: visto il volume di fuoco prodotto, in condizioni che
facilitavano la mira ad un tiratore (la prospettiva ad imbuto del portico),
era persino possibile che i colpiti fossero più di uno...

Da quel momento fu chiaro ad ognuno che tutto sarebbe stato diverso.
Già nel primo pomeriggio, Piazza Verdi era piena di gente, ma il tono delle
voci era sommesso. Si fece una rapida assemblea tra l’odore pungente della
benzina: si decise di dirigere il corteo verso la sede della Democrazia
Cristiana, l’Ufficio di rappresentanza del Resto del Carlino e la Stazione.

Nessuno parlò di vetrine, nessuno fece niente per impedire che andassero
distrutte. Certo, era inquietante il rumore dei tonfi dei vetri che
andavano in frantumi ai lati del corteo: cascate di ghiaccio attorno a noi,
che portavano nell’animo un gelo ben più grande.

Personalmente trovai offensivo che il servizio d’ordine del PCI presidiasse
il Sacrario dei Caduti della Resistenza e trovai di gusto discutibile il
saccheggio conclusivo del Ristorante "Al Cantunzein". Ma erano pensieri
silenziosi: io non avevo fame.

Il giorno dopo, dal primo pomeriggio cominciarono gli scontri
all’università. In mattinata venne rifiutata la parola ad un esponente del
Movimento alla manifestazione sindacale: il cerchio di ferro si chiudeva.
Per otto ore si resistette: sulle barricate verso sera suonava un
pianoforte. Poi qualcuno decise e praticò l’esproprio dell’armeria Grandi:
in tutta risposta arrivò una raffica di mitra ad altezza d’uomo. Per me la
misura era colma.

Il giorno dopo ci svegliammo coi blindati in città e i tiratori speciali
sui tetti. Cominciarono gli arresti di chiunque per strada formasse gruppi
superiori a cinque persone e rifiutasse di disperdersi: così finirono
dentro decine di tifosi del Bologna, venuti in centro in modo organizzato e
circa 260 compagni. La detenzione di limoni era considerata sufficiente a
dimostrare una volontà di resistenza. Radio Alice era chiusa.

DOPO MARZO......

Seguì lo stato d’assedio e il divieto assoluto di manifestazione. Seguì la
teoria del "complotto" imbastita dal PCI per estirpare dalla sua città -
simbolo il corpo estraneo di un movimento che aveva il difetto di essere
nato contemporaneamente alla strategia del "compromesso storico" e di
risultare indecifrabile e ingombrante per i criteri statici della loro
lettura politica.

Nelle assemblee che seguirono si prese atto che quel processo
straordinariamente innovativo che permetteva di tenere insieme differenze,
devianze, soggetti diversi, in una convivenza certo non sempre idilliaca ma
sostanzialmente tollerante, doveva omologarsi all’emergenza, far quadrato
per difendere la propria identità senza degenerare.

Solo allora si diedero le condizioni perché qualcuno potesse definirsi con
qualche approssimazione leader rappresentativo dell’intero Movimento, ma
non ricordo nessuno fare gomitate per questo.

Sotto i banchi, sarebbe stato strano il contrario, apparvero i primi
volantini delle Brigate Rosse.

Il resto é noto. Voglio ricordare solo due giornate emblematiche, assai
diverse fra loro.

11 aprile. Nevicava e faceva freddo, quasi un presagio degli anni a venire.
Venne concesso il permesso per un corteo da Piazza Verdi a Via Mascarella.
Non ricordo altre manifestazioni con così pochi sorrisi: il giudice
Catalanotti iniziava, con un accanimento in sintonia coi tempi, la sua
campagna di arresti ricorrendo alla bisogna anche alla testimonianza del
suo stesso autista, tutt’attorno si respirava l’aria pesante delle
delazioni e delle insinuazioni più squallide. Per un mese finì in galera
anche il carabiniere M. Tramontani, accusato per l’assassinio di Francesco,
ma la dizione "uso legittimo delle armi" prevista dalla legge reale, lo
fecero volatilizzare.

1° maggio. Su proposta di Graziano Gori (ancora lui) accettai di fare un
tentativo estremo che appariva all’inizio una scommessa: firmare la
richiesta di autorizzazione di un corteo da Piazza Azzarita a Piazza
dell’Unità, assumendomene tutte le responsabilità in caso di incidenti. A
lui serviva per dimostrare ai tanti detrattori che il dialogo col Movimento
era ancora possibile e, con esso, un’altra impostazione dell’ordine
pubblico in città, a noi per riacquistare visibilità e tornare in piazza.

Sfilammo in diecimila e sarà proprio Graziano Gori (che morì l’anno
successivo in un incidente stradale che lasciò qualche dubbio...) a
impedire che una manovra avventata di alcuni gipponi creasse un tremendo
malinteso che poteva avere conseguenze imprevedibili.

Sembrerà strano a dirsi, ma l’unica tutela che avemmo in quel periodo ci
venne da quel singolare poliziotto.

Quel giorno si sorrise e ci sgranchimmo un po’ di più.

Ma in quei tempi il Comune uscì con una delibera che impediva a chiunque di
sedersi sulle aiuole e sui gradini del sagrato di S. Petronio: ogni
raffigurazione o apologia dell’ozio era bandita dalla città del doppio
lavoro.

E tutte le sere, a mezzanotte si diventava tutti Cenerentola: la Polizia
sgombrava Piazza Maggiore con cariche sincronizzate ai rintocchi del
campanile. L’assedio continuava con altre forme.

Rimaneva il "pierino": un beverone che prendeva il nome da un vecchio
gestore frastornato da tanto improvviso successo.

Rimaneva la volontà di difendere la propria agibilità politica ed
espressiva. L’ultima occasione fu il Convegno di settembre. Dopo seguì il
grande freddo.