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6 AGOSTO 1945: HIROSHIMA : 200.000 persone uccise in un istante

Publie le sabato 6 agosto 2005 par Open-Publishing
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Dazibao Guerre-Conflitti USA Storia

LA GIORNATA DELLA MEMORIA.

Brano tratto da "Lettera da Hiroshima" di T. Hara dove
viene descritta l’esplosione della bomba e le ore immediatamente
successive.

"Mi ero alzato verso le otto di mattina quel 6 agosto 1945. Il giorno avanti, alla sera, vi erano stati due allarmi, nessuno dei quali seguito da bombardamento... Improvvisamente ricevetti un colpo sulla testa e tutto diventò oscuro davanti ai miei occhi. Gettai un grido ed alzai le braccia. Nelle tenebre, non sentivo che un sibilo di tempesta. Non arrivai a comprendere cosa fosse successo. Il mio primo grido, io l’avevo inteso come se fosse stato gettato da qualcun altro.Poi il mondo intorno mi ritornò visibile benché ancora non nettamente, ed ebbi l’impressione di trovarmi sui luoghi di tiri immenso cataclisma. Dietro la spessa nuvola di vere apparve un primo spazio blu, seguito ben presto da altri spazi blu sempre più numerosi.Brevi fiammate cominciarono a sprizzare dall’edificio vicino, un deposito di prodotti farmaceutici. Era tempo di abbandonare quei luoghi. In compagnia di K, mi aprii la strada fra le macerie.

Fumate vorticose si elevavano da tutte le case in rovina.
Raggiungemmo un posto in cui le fiamme mandavano un calore
insopportabile. Poi trovammo un’altra strada che ci portò sino
al ponte di Sakai. Il numero dei profughi che affluiva verso
quel posto aumentava sempre. lo presi la direzione del palazzo
Izumi. 1 cespugli calpestati dalle persone in fuga avevano
formato una specie di passerella. Gli alberi erano quasi
tutti decapitati. Ciascuno dapprincipio pensava che solo
la casa sua fosse stata colpita; ma una volta al di fuori,
ci si accorgeva che tutto era stato distrutto. Tuttavia,
benché le case fossero completamente distrutte, in nessun
posto si vedevano quelle buche che normalmente fanno le bombe.
Sull’altra sponda, l’incendio, che sembrava essersi calmato,
riprese a divampare.

Improvvisamente, nel cielo, al di sopra del fiume, vidi una
massa d’aria straordinariamente trasparente che risaliva
la corrente. Ebbi appena il tempo di gridare "Una tromba" che
già un vento terribile ci colpì. I cespugli e gli alberi
si misero a tremare; alcuni furono proiettati in aria da
dove ricaddero come saette sul tetro caos. Si aveva l’impressione
che il riflesso verde di un orribile inferno venisse a stendersi
al di sopra della terra.

Dopo
il passaggio della tromba, ben presto il crepuscolo invase
il cielo. Incontrai mio fratello maggiore il cui viso era
ricoperto come da una sottile pellicola di pittura grigia.
Il dorso della sua camicia era ridotto a brandelli e scopriva
una larga lesione che somigliava ad un colpo di sole. Risalendo
con lui la stretta banchina che costeggia il fiume, alla
ricerca di un traghetto, vidi una quantità di persone completamente
sfigurate. Ve ne erano lungo tutto il fiume e le loro ombre
si proiettavano nell’acqua. I loro visi erano così orrendamente
gonfiati che appena si potevano distinguere gli uomini dalle
donne. I loro occhi erano ridotti allo stato di fessure e
le loro labbra erano colpite da forte infiammazione. Erano
quasi tutti agonizzanti ed i loro corpi malati erano nudi.
Quando passavamo vicino a questi gruppi, ci gridavano con
voce dolce e debole "Dateci un po’ d’acqua", "Soccorretemi,
per favore"; quasi tutti avevano qualche cosa da chiederci.

Il cadavere nudo di un ragazzo giaceva nel fiume e, ad un
metro di distanza, accovacciate su un gradino, si trovavano
due donne. Riconoscemmo che erano donne soltanto per la loro
acconciatura per metà bruciata. Trovammo infine un piccolo
traghetto e, remando, giungemmo all’altra riva. Era quasi
notte quando toccammo terra. Anche da questa parte sembrava
che ci fossero molti feriti. Un soldato accovacciato sui
bordi dell’acqua mi chiese di dargli un po’ d’acqua calda.
Appoggiandosi alla mia spalla, camminava sulla sabbia con
sforzo. Bruscamente, mi disse: "Sarebbe meglio esser morti".
Acconsentii in silenzio e, in quel momento, senza scambiare
una sola parola, ci trovammo tutti e due riuniti in una incontenibile
collera davanti alla pazzia che ci circondava. Seduto ad
una tavola, un uomo dalla testa enorme e bruciata beveva
acqua calda in una tazza da tè.

Il suo strano viso sembrava fatto di una serie di grani di
soia neri; inoltre i suoi capelli erano tagliati orizzontalmente
all’altezza delle orecchie. Soltanto più tardi, dopo aver
incontrato molti altri ustionati con i capelli tagliati orizzontalmente,
finii per capire che le loro capigliature erano state distrutte
sino al bordo dei loro cappelli. Al momento della marea,
lasciammo la riva per risalire sulla banchina. Con l’oscurità,
la notte si trasformava in inferno. Si udivano grida dappertutto "Da
bere, da bere!". Improvvisamente un allarme: da qualche parte
una sirena doveva esser rimasta intatta. Il suo urlo lacerò la
notte. La città continuava a fiammeggiare: a valle, si scorgeva
il bagliore incerto dell’incendio. Nel quartiere dei tempio,
numerosi feriti gravi erano sdraiati un po’ dappertutto,
per terra. Non un albero, non una tenda per dar loro un po’
d’ombra. Noi ci costruimmo un riparo appoggiando pezzi di
tavole contro un muro e scivolammo li sotto. Dovemmo passare
ventiquattro ore in quel breve spazio, dividendolo in sei.
Due metri più lontano c’era un ciliegio che aveva conservato
qualche foglia.

Due studentesse si erano lasciate cadere sotto questo albero:
avevano tutte e due il viso carbonizzato e, volgendo il loro
magro dorso al sole, supplicavano che si desse loro un po’
d’acqua. Erano giunte il giorno prima ad Hiroshima per partecipare
alla mietitura e così erano state colpite da questa grande
disgrazia. Il sole era al suo declino... Anche prima del
levar del giorno, ascoltavamo intorno a noi il mormorio ininterrotto
delle preghiere: in quell’angolo le persone sembrava morissero
l’una dopo l’altra. Le due studentesse morirono all’alba.
Nuovo allarme verso mezzogiorno; si intese un rombo nel cielo.
Le persone morivano l’una dopo l’altra e nessuno veniva a
portar via i cadaveri. Con l’aria sconvolta, i vivi erravano
tra i corpi. Si videro allora tutte le rovine nelle strade
principali. Uno spazio vuoto e grigio si estendeva sotto
un cielo di piombo. Soltanto le strade, i ponti ed i bracci
del fiume erano ancora riconoscibili. Nell’acqua galleggiavano
cadaveri dilaniati, gonfiati. Era l’inferno divenuto realtà.

Tutto ciò che era umano, era stato cancellato.

I visi dei cadaveri si somigliavano tutti, come se portassero
tutti la stessa maschera. Prima di irrigidirsi, le membra
degli agonizzanti si agitavano sotto l’effetto del dolore
e in maniera assai strana. I chilometri di cavi che coprivano
il suolo e gli innumerevoli frammenti di pali elettrici costituivano
un disegno pazzesco. Davanti allo spettacolo di un tram che
sembrava fosse stato rovesciato e bruciato nello spazio di
un lampo, o davanti a quello di un cavallo morto, con la
carcassa smisuratamente gonfia, si aveva l’impressione di
trovarsi al centro di un quadro surrealista. La nostra carretta
attraversava interminabili spazi coperti di rovine; la serie
delle case smantellate si prolungava sino alla più lontana
periferia. Trovammo un paese verde ed intatto soltanto molto
più avanti. La danza leggera delle libellule che folleggiavano
al di sopra dei campi verdi di riso ci commosse profondamente.

Di là, prendemmo la strada lunga e monotona che conduce al
villaggio di Yáwata. Era notte quando vi giungemmo. Il giorno
dopo dovemmo riprendere la nostra vita miserabile. Non solo
non si vedeva nessun segno di miglioramento dei feriti, ma
anche coloro che stavano bene si indebolivano ogni giorno
di più e deperivano per mancanza di nutrimento.Qualche giorno
più tardi vidi arrivare un allievo, mio nipote, che in seguito
doveva morire. Al momento dell’esplosione si trovava a scuola.
Quando vide l’accecante luce che entrò nell’aula, egli si
gettò sotto il suo banco. Il soffitto era crollato e l’aveva
seppellito, ma insieme con qualche compagno era riuscito
a venir fuori attraverso un buco. La maggior parte dei fanciulli
erano stati uccisi sul colpo. Con i suoi compagni, si era
rifugiato su una vicina montagna; durante l’ascensione aveva
continuato a vomitare un liquido bianco.

Una
settimana dopo il suo arrivo al villaggio cominciò a perdere
i capelli e divenne calvo in due giorni. Già s’era sparsa
la voce che un malato non avrebbe sopravvissuto alle sue
ferite se perdeva capelli e sanguinava dal naso. Tuttavia
mio nipote doveva vivere ancora qualche tempo malgrado il
grave stato in cui si trovava... ...Verso sera, attraversai
il ponte e mi diressi, attraverso i campi, in direzione del
terrapieno che si trova ai margini di Yáwata. Una libellula
nera asciugava le sue ali su una roccia. lo feci il bagno
là, respirando assai profondamente. Girando la testa, vidi
i piedi della montagna avviluppati nel crepuscolo, mentre
le cime lontane scintillavano ancora al sole che tramontava.
Si sarebbe creduto un paesaggio di sogno. Il cielo al di
sopra di me era di un silenzio assoluto.

Ebbi l’impressione di non esser venuto sulla terra che dopo
l’esplosione della bomba atomica".

R.N.

Messaggi

  • Che grande amarezza nel constatare che, fino ad oggi, sono stati proprio gli americani ad utilizzare la bomba atomica, commettendo il più grave atto di terrorismo, il più grande crimine contro l’umanità, in totale disprezzo della vita degli uomini e dell’intera natura. Perchè la bomba atomica non uccide soltanto migliaia e migliaia di uomini all’istante, ma distrugge intere generazioni e l’ambiente di aree molte vaste per lunghissimi anni. In un secondo si porta morte e distruzione e quanto tempo è necessario per ristabilire un pò normalità, se si può mai tornare alla normalità e dimenticare tutto quell’orrore? Perchè la guerra è solo morte, terrore e distruzione e nessuno di noi ha ancora imparato la lezione, men che meno gli americani.
    Cosa ci dovrebbe insegnare Hiroshima? Che bisognerebbe fare di tutto, di tutto per di evitare altri misfatti di questo genere. E invece il mondo, incoscientemente, pilotato da opposte fazioni di pazzi, sta scivolando verso la sua distruzione.