Home > Agosto 1989, la città fluida del Leoncavallo

Agosto 1989, la città fluida del Leoncavallo

Publie le domenica 21 agosto 2005 par Open-Publishing

Dazibao Movimenti Storia

di Daniele Farina

Per Aldo Bonomi, in un recente congresso dei Ds milanesi, la funzione storica dei centri sociali è esaurita. In dieci anni deve essere il quinto annuncio e ciò alimenta il sospetto che si tratti di speranza più che di analisi. Immagino che nella "città infinita", nell’enorme piastra urbanizzata in cui si è trasformata ciascuna delle nostre città, le funzioni dei centri sociali siano state gradualmente assorbite dalla potenza poliforme dei centri commerciali. Sarebbe un processo di modificazione irreversibile che trascina con sé aggregazione e socialità nelle città fluide, scomposte e ridisegnate dal compasso del mercato.

Se fosse così dovremmo più in generale accettare che la valorizzazione capitalistica dell’intera nostra vita è un fatto compiuto e, peggio, incontrastabile. Ma la realtà ci consegna, con la puntualità quotidiana della cronaca, un elevato numero di luoghi occupati "abusivamente" o sgomberati o nel costante rischio di esserlo. Progetti tra loro diversi ma accomunati da un’idea di uso alternativo del territorio e delle relazioni sociali. La tentazione del gioco oppositivo, del "vero" e del "falso" è elevata.

L’occasione per una riflessione su questi temi è stata Milano, il 16 agosto scorso. Non nel corso di un dibattito formalizzato ma di una festa che si tiene da sedici anni. Alcune centinaia di persone si radunano da tutt’Italia e anche dall’estero lungo un informale tam tam. Trascorrono una serata insieme, guardano le mostre e i video tirati fuori per l’occasione e infine gli immancabili fuochi artificiali. Il motivo? Può sembrare strano ma segnano una data, il 16 agosto 1989. Si radunano al Leoncavallo di Milano, oggi spazio pubblico autogestito, perché quello fu il luogo sgomberato e demolito e la cui resistenza divenne metafora di un rifiuto più ampio delle politiche di governo che rimodellavano la "città da bere". Quella resistenza, pagata con una settantina tra arresti e fermi, fu una legittima difesa collettiva ad una violenza ammantata di legalità. Non rimase isolata e non è stata l’unica. Quella ricostruzione fu uno straordinario esempio europeo.

Se leggiamo lo sviluppo delle aree metropolitane è evidente che sul piano generale, l’ipotesi di una destinazione prioritaria delle aree ex industriali agli usi sociali e collettivi, al verde pubblico come ai servizi, è stata largamente ricacciata indietro. Milioni di metriquadrati sono stati invasi da edilizia privata e centri commerciali con buona indifferenza del colore delle amministrazioni. Ed è mancato anche sul versante della legislazione nazionale il riconoscimento dell’anomalia di queste esperienze, non completamente assorbibili nell’attuale normazione delle associazioni.

Se per l’allora vicesindaco del PCI di Milano, l’unico posto buono per il Leoncavallo era S. Vittore, centinaia sono stati gli esempi di un pregiudizio più ampio, radicato a sinistra che porta i geni di un’antica contrapposizione tra l’essere extra e l’essere parlamentari. Movimenti e partito.

Oggi che in una parte della sinistra, di alternativa ed europea, le contaminazioni sono germogliate consegnando alla storia patria la rigida distinzione tra società e politica, ci si aspetta un’azione di governo locale e nazionale che consenta la piena trasformazione dei centri sociali, delle officine, dei laboratori in spazi pubblici in cui l’autogestione e la partecipazione siano una occasione di crescita per una generazione. Per adesso abbiamo tanti bozzoli che possono trasformarsi in altrettante farfalle. Percorsi collettivi che stanno in mezzo al guado, impossibilitati a completare questa tensione. Abbiamo sgomberi minacciati ed eseguiti, abbiamo una sequenza impressionante di devastazioni fasciste sospinte dalla connivenza attiva della destra ventrale, che racconta da sola molte cose.

Luoghi oggi, in una fase carsica, sotterranea, dei movimenti dove si costruisce un pezzettino di futuro, ricchi di contraddizioni come di progettualità in potenza, luoghi di una sussidiarietà non sostitutiva verso i migranti, mutue assicurazioni contro i pescecani della cultura e del territorio, di incontro dei saperi e delle professionalità con i dannanti della terra, frammenti di lotta alla precarietà del lavoro.

Ma ha bisogno l’Unione di governo di spazi con queste funzioni pienamente espresse? Questo è il vero interrogativo e la risposta divergente è probabilmente il motore di analisi tra loro opposte.

Utile cogliere dunque una non ricorrenza, il 16 agosto, per avviare una riflessione. Nell’idea che una faglia corre entro i centri, le case occupate i luoghi sottratti al disegno totalitario della messa a valore della vita. Utile anche per ricordare che periodicamente divengono punti di accumulazione di tensioni che attraversano la società e che ogni tanto la terra trema, fortunatamente.

http://www.liberazione.it/giornale/050819/LB12D681.asp