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Argentina : non c’è l’accordo sul mercato unico, Bush torna a Washington a mani vuote

Publie le lunedì 7 novembre 2005 par Open-Publishing

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Mar del Plata, l’Alca naufraga. Vince l’asse Chavez-Lula-Kirchner

di Angela Nocioni Mar del Plata

Non c’è accordo politico possibile su un mercato unico che vada dall’Alaska alla Patagonia, sul modello dell’Area di libero commercio delle Americhe disegnato da Washington. Né ci sarà nel prossimo futuro. Non, perlomeno, finché l’asse Argentina-Brasile-Venezuela rimarrà tale. George W. Bush se ne va da Mar del Plata senza aver incassato l’unico risultato per cui ha accettato di sfidare i rischi di un summit per lui tutto in salita, a partire dall’accoglienza freddina dei padroni di casa.

Al quarto vertice del Sud e Nord America, trentaquattro Paesi presenti (tutti tranne Cuba che non è invitata perché non fa parte dell’Organizzazione degli Stati americani) l’ordine del giorno prevedeva discussioni su "lavoro e povertà". La delegazione statunitense ha imposto, attraverso i fedelissimi presidenti di Messico e Colombia, che si riannodassero invece le trattative sull’Alca, progetto di mercato unico la cui entrata in vigore, fissata per il primo gennaio 2005, è stata congelata dall’opposizione, modulata su posizioni differenti, di Argentina, Brasile e Venezuela col sostegno dei loro alleati regionali. Il braccio di ferro è stato duro. Washington ha affidato, prima al Messico e poi a Panama, la stesura di due proposte di mediazione. Argentina, Brasile e Venezuela si sono rifiutare di firmarle.

Alla fine «l’esplicita e chiara menzione dell’Area di libero commercio» chiesta dagli sherpa statunitensi, è scomparsa dal testo finale. La delegazione brasiliana, nonostante le difficoltà del governo Lula e le delicate trattative bilaterali in corso con Washington, pur di non lasciare al tandem Chavez-Kirchner il ruolo di guida politica della resistenza continentale alle pressioni della Casa Bianca, ha scavalcato a sinistra, almeno nei toni, i suoi alleati: «Le insistenze sull’imposizione di una discussione sull’Alca hanno drammatizzato il confronto politico - ha detto il brasiliano Amorim - se gli Stati Uniti hanno tanto a cuore il recupero del progetto dell’Alca comincino con l’eliminare le misure protezionistiche in agricoltura e poi ne riparleremo».

Il presidente Lula, velenoso, ha aggiunto: «C’è poco da insistere, tra un mese ci sarà la riunione dell’Organizzazione mondiale del commercio e le questioni di liberalizzazione dei mercati si discuteranno lì. Non capisco la fretta». Furioso, il consigliere di Bush per l’America latina, Thomas Shannon: «Costruiremo l’Alca ugualmente lasciando fuori Brasile, Argentina, Venezuela e Uruguay - ha replicato - non ci si può chiedere di togliere i sussidi alle esportazioni dei prodotto agricoli se l’Unione europea non toglie prima i suoi».

Il messicano Fox, che si è fatto in quattro per veder rientrare dalla finestra la discussione sul mercato unico, ha cancellato l’incontro con l’argentino Kirchner. Il cileno José Insulza, segretario generale dell’Organizzazione degli Stati americani, a cui era stato affidato il difficile compito di trovare una mediazione dell’ultimo minuto, fa sapere di ritenere il naufragio di un accordo di massima il risultato dell’ingresso del venezuelano Chavez nel Mercosur (il mercato del sud fondato nel ’94 da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, con Venezuela, Perù, Bolivia, Cile, Colombia e Ecuador come Paesi associati, Caracas sarà da gennaio membro a tutti gli effetti).

Chavez gongola. In ventiquattro ore ha mandato all’aria un vertice, strappato applausi al controvertice, rubato la scena a Diego Maradona e costretto a una radicalizzazione dei toni l’alleato Lula. Per di più torna a Caracas con in tasca tre contratti che legano l’Argentina di Kirchner mani e piedi alle forniture di petrolio e gas venezuelani (nuovi accordi per duecento milioni di dollari all’anno).

Gli Stati Uniti, a chiusura di vertice, portano a casa solo uno scontato rafforzamento dell’asse degli alleati che non pongono condizioni: Messico, Colombia, America centrale, Ecuador e Paesi del Caribe. Ma è uno scarso risultato. L’ ffensiva condotta da Washington fin dagli anni Novanta per estendere a tutto il continente l’Accordo di libero scambio nord americano (Stati uniti, Canada, Messico) è bloccata dal rifiuto ormai esplicito del Mercato comune del Sud in cui il petrolio venezuelano fa sentire il suo peso come elemento di contrattazione politica interna.

Per aggirare l’ostacolo, Washington firma in tutta fretta trattati bilaterali con l’America centrale e la Repubblica dominicana, l’Ecuador, la Colombia e il Perù. Questi accordi riguardano sia gli aspetti strettamente economici che la legislazione del lavoro, la proprietà intellettuale, le risorse naturali ed energetiche, la sanità e l’istruzione. I Paesi che firmano non riescono a ottenere che qualche minuscolo emendamento, ratificando di fatto un processo di neocolonizzazione mascherata.

Il naufragio della missione statunitense Mar del plata consacra l’asse Brasile-Argentina- Venezuela (e, nascosto dietro Chavez, Castro) che si mostra ancora una volta capace di intralciare le iniziative attraverso cui il Dipartimento di stato tenta di riguadagnare terreno nel continente. Quando, all’Assemblea generale dell’Organizzazione degli stati americani nel luglio 2004 in Florida, gli Stati Uniti hanno proposto una modifica della Carta democratica interamericana che permettesse di isolare i Paesi «che si allontanano gradualmente dalla democrazia» senza escludere la possibilità di intervenire militarmente, hanno raccolto solo mugugni. Nel vertice dei ministri della difesa di sud e nord America (svoltasi dal 16 al 18 novembre 2004, a Quito) sul tema della non ingerenza, Venezuela, Brasile e Bolivia hanno bloccato il progetto del segretario di Stato americano alla difesa, Donald Rumsfeld, di rendere operativo il nuovo modo di intendere la "sicurezza preventiva", creando una forza multinazionale latinoamericana sotto il comando del Pentagono.

Lasciando Mar del Plata in anticipo con la prospettiva di affidare la stesura del documento finale a una commissione tecnica che potrebbe non partorire un testo definitivo prima di due mesi, uno degli sherpa statunitensi ha ammesso: «L’intesa è ancora lontana, perchè la posizione dei Paesi del Mercosur è molto solida».

http://www.liberazione.it/giornale/051106/LB12D6E7.asp