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Brasile come un far west: referendum contro le pistole facili

Publie le domenica 23 ottobre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Referendum America Latina

di Leonardo Sacchetti

Un voto sulla vendita delle armi in uno dei paesi più violenti del mondo: è questo il referendum a cui sono chiamati a rispondere domenica oltre 120milioni di brasiliani. Un sì o un no alla proposta di "proibire la vendita di armi da fuoco". Un referendum che - ben oltre il quesito - sta spaccando in due il Brasile, mettendo l’una davanti all’altra le due anime dei brasiliani: quelli che non ce la fanno più della violenza di Rio o di San Paolo e quelli che non rinunceranno così facilmente a privarsi del "diritto a difendersi", armi in pugno.

L’ultimo sondaggio (Idope) presenta questa divisione: i sì alla proibizione sono inchiodati al 41%, mentre i no hanno superato il 50%. Una spiegazione di queste cifre arriva dalla comunista Jandira Feghali, schierata per il sì: «Nessun brasiliano viene assaltato al semaforo con un mitra. Chi si arma così non lo fa certo per canali legali». Eppure, in Brasile, oltre il 70% degli omicidi è legata al fuoco di piccoli revolver. Una cifra che si accosta ad altre percentuali: nel subcontinente brasiliano vive il 3% della popolazione mondiale, ma si registra il 13% di crimini commessi con armi da fuoco. «Ma la proibizione della vendita di armi non ridurrà la criminalità», ha ripetuto Carlos Murgel, presidente della Taurus, leader nazionale nella vendita delle armi.

Il fronte del sì vede schierato tutto il Partito dei Lavoratori (Pt) del presidente Lula, con sua moglie che si è spesa in molte assemblee pubbliche «per avere meno armi e più vite». Ma, in questi mesi, il Pt non gode di molta stima tra gli elettori brasiliani: i casi di corruzione in Parlamento, hanno trasformato le varie iniziative di Lula in bicchieri mezzi vuoti. Come nel caso dei progetti per tamponare la violenza di strada nelle varie baraccopoli, le Città di Dio come quella raccontata dal film di Fernando Meirelles.

«La vittoria del sì - spiegano dal quartier generale del Pt - è un passo importante per rendere più difficile l’acquisto di armi da fuoco e di munizioni, rinforzando meccanismi democratici di consegna delle pistole come già previsto dallo Statuto del Disarmo». Lo Statuto è entrato in vigore nel dicembre di due anni fa e che, in cambio della consegna volontaria di armi, consentiva una ristretta legislazione per il loro acquisto. Adesso, sul tavolo degli imputati, è finito l’articolo 35 di tale Statuto. In parte, però, è stato grazie alla nuova legge per il disarmo che, nel 2004 e per la prima volta in 13 anni, il numero di morti ammazzati in Brasile è sceso dell’8,2%. Una diminuzione che, in ogni caso, lascia un saldo di oltre 36mila morti all’anno. Solo in Venezuela, secondo l’Unesco, si muore di più a causa delle pistole.

Lula sa di trovarsi davanti alla prima vera prova elettorale dopo gli scandali di corruzione del suo Pt. Forse per questo, il presidente-operaio non ha dichiarato come voterà oggi, chiarendo una volta di più la sua distanza (per lo meno istituzionale) con il partito. A settembre, la presidenza della Repubblica aveva diffuso i dati sul disarmo ottenuti grazie allo Statuto: mezzo milione di pistole consegnate alla polizia, in cambio di 200 dollari. Un successo che però non ha risolto il dramma della violenza armata, ormai diventato un affare per qualsiasi cartello criminale. Un successo minimo rispetto ai 17 milioni di armi in circolazione nel Paese, di cui la metà detenute illegalmente.

Il voto di oggi rappresenta un’eccezione a livello internazionale: mai i cittadini erano stati chiamati a rispondere a un quesito del genere. Lula lo sa, sa che avrà sul collo decine di occhi interessati e questo referendum potrebbe essere l’avvio della sua corsa per farsi rieleggere. Ma potrebbe anche trasformarsi nell’ennesimo passo falso del suo mandato.

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