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Carne da Blog - Luis Sepúlveda

Publie le domenica 25 settembre 2005 par Open-Publishing
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Dazibao Internet Internazionale

Nella foto: Luis Sepúlveda

di Luis Sepúlveda

L’enciclopedia Blogger dice che un blog è un tipo di comunicazione informale e io aggiungerei, come lettore di numerosi blog, che è uno stupendo recipiente per vomitare.

E allora vomitiamo.

Il 4 settembre di trentacinque anni fa, in un giorno come questo, di primavera in Cile, festeggiavamo il trionfo di Unidad Popular, la vittoria elettorale di Salvador Allende, del compagno presidente Salvador Allende. Sappiamo tutti come finì quell’esperienza democratica di socialismo alla cilena, e sappiamo che oggi, con un gran senso di schifo e il vomito in gola, i cileni devono convivere con i loro despoti, con i torturatori, con quelli che hanno fatto sparire persone, hanno assassinato, hanno rubato a tutto spiano.

Vomitevole. Recentemente è morto di cancro il generale Forestier, un torturatore, un assassino, un soggetto che ha negato l’esistenza di desaparecidos e ha tirato le cuoia al sicuro da qualunque imputazione. Un soggetto vomitevole. Il governo cileno ha inviato le sue sentite condoglianze alla famiglia Forestier. Vomitevole. A me non è dispiaciuta la sua morte, è uno di meno, per lo meno questo, è uno di meno. Una settimana prima lo stesso governo cileno aveva amnistiato, nell’interesse della «convivenza nazionale», un criminale che sequestrò e sgozzò Tucapel Jiménez, un sindacalista cileno, tenace e coraggioso oppositore della dittatura.

Anche la convivenza è vomitevole se va avanti a colpi di perdono alle spalle delle vittime. Mesi fa sono stato a Seul e, camminando con amici cileni nella zona americana, ho conosciuto due marines degli Stati Uniti. Parlavano spagnolo con l’accento dei Caraibi. Erano di Portorico, un paese latinoamericano che è una stella sulla bandiera yankee. Andavano in Iraq, ma prima di mandarli al macello in Iraq li premiavano con una settimana nella Corea del Sud. Uno aveva ricevuto in regalo un lettore mp3, e l’altro una videocamera digitale. «Questo, una volta, era un paese comunista e noi l’abbiamo salvato» ha detto uno. «L’America mi ha dato la possibilità di venire qui» ha detto l’altro.

Poi mi hanno confessato che il loro inglese non era molto buono e che andavano in Iraq perché al ritorno li avrebbero fatti cittadini Usa, sempre che non tornassero indietro in sacchi di plastica. Vomitevole. Ho chiesto cosa ne pensavano dei cosiddetti volontari del Kansas e dell’Alabama che, in comodi camper e armati fino ai denti, sorvegliano il confine meridionale degli Stati Uniti, pronti a sparare alle espaldas mojadas, ai più poveri dei poveri, gente a cui hanno portato via persino la dignità e che cerca di entrare nel «paese delle opportunità», in quell’America, America che ha accolto e formato delatori geniali come Elia Kazan.

«In America tutti possono arrivare a diventare presidenti» ha detto uno. «Con un po’ di sacrificio, potremo goderci l’American dream» ha spiegato l’altro. La maggior parte dei soldati morti in Iraq, quasi duemila, sono neri e latini. Ne conosco uno che ha avuto un attacco di intelligenza latina e ha disertato: è il figlio del compositore nicaraguense Carlos Mejía Godoy. Visto che non era ancora cittadino americano, gli yankee non sanno cosa fare con lui, perché l’America non assolda mercenari e, si sa, i neri poveri e i latini poveri vanno ad ammazzare civili iracheni e a morire fra il Tigri e l’Eufrate come volontari. Vomitevole. Carne da blog.

Nel novembre dell’anno scorso, l’uragano Michelle colpì i Caraibi e si accanì con Cuba. Secondo Ben Wisner, dell’Istituto per lo Sviluppo della London School of Economics, l’uragano che danneggiò quasi 25mila case e ne distrusse completamente 2800, causò soltanto cinque morti. Il governo cubano evacuò 700mila persone, il 6,36 % della popolazione, in sole 24 ore. Le Forze armate rivoluzionarie si recarono nella parte meridionale dell’isola per aiutare la gente, e lo fecero. Non avevano ordine di sparare ad altezza d’uomo per «mantenere l’ordine».

La maggior parte delle vittime di Katrina sono neri e latini, i loro corpi galleggiavano nelle strade inondate di New Orleans, vicinissimo al Superdome, il gigantesco stadio che sarebbe dovuto servire come centro di rifugio ed evacuazione. Il presidente Bush era in vacanza. Condoleezza Rice si stava comprando scarpe in un negozio esclusivo per donne come lei. Era una tragedia prevedibile. Nel 2001, la rivista Scientific American aveva avvertito delle deplorevoli condizioni degli argini che contenevano le piene del Mississippi, dell’obsolescenza dei sistemi di pompaggio in caso di inondazione, della crescita incontrollata delle case in zone ad alto rischio e dell’insufficienza delle vie di evacuazione.

Quello stesso anno, l’Agenzia Federale per il Controllo delle Emergenze aveva avvertito il governo che, se non si adottavano misure immediate, un uragano avrebbe avuto conseguenze catastrofiche per New Orleans. Gli ingegneri militari Usa avevano raccomandato l’approvazione urgente di uno stanziamento di 27,1 milioni di dollari per riparare gli argini. Il governo di Bush l’aveva approvato, ma al momento di inviare il denaro ha deciso di stornarne l’80% per pagare le spese dell’Iraq. Così si pianificano le catastrofi imperiali. Vomitevole.

Quando lo Stato ci abbandona, quando il bisogno si impone, quando la sete e la fame minacciano di uccidere, l’istinto di sopravvivenza ordina di violare le leggi che non servono. È legittimo saccheggiare un supermercato se i soccorsi non arrivano. Ma la governatrice dello stato della Louisiana, Kathlen Blanco, invece di accelerare gli aiuti umanitari, ha armato di fucili M-16 tremila soldati della guardia statale. «Sanno come sparare per uccidere, sono più che desiderosi di farlo e spero che lo facciano». Le sue parole sono parte della storia degli Stati Uniti. Quella donna è una repubblicana di razza. Vomitevole.

Nella Casa Bianca, un intellettuale texano, ex alcolista non troppo redento, fondamentalista religioso e cretino integrale, chiede un colloquio con Pat Robertson, il pio reverendo che invoca a gran voce l’assassinio del presidente venezuelano Hugo Chávez. I suoi minuscoli occhietti da farabutto ritardato cercano il Venezuela sulla cartina dell’Africa. Vomitevole. Carne da blog.

(traduzione di Ilide Carmignani)

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