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Devolution dell’istruzione: un pericolo incombente da evitare.

Publie le domenica 15 gennaio 2006 par Open-Publishing

Dazibao Movimenti Scuola-Università

di Gemma Gentile

UN CONVITATO DI PIETRA

Ma rendiamoci ben conto che mentre la scuola pubblica è espressione di unità, di coesione, di uguaglianza civica, la scuola privata è espressione di varietà, che può voler dire eterogeneità di correnti decentratrici, che lo Stato deve impedire che divengano correnti disgregatrici. La scuola privata, in altre parole, non è creata per questo. [...]

Bisogna insomma evitare questo nauseante sistema, questo ripugnante sistema che è il favorire nelle scuole la concorrenza al ribasso: che lo Stato favorisca non solo la concorrenza della scuola privata con la scuola pubblica ma che lo Stato favorisca questa concorrenza favorendo la scuola dove si insegna peggio.
(P. Calamandrei, Discorso - Roma 1950)

Le riforme costituzionali

C’è un convitato di pietra presente alle discussioni di questi
giorni sul futuro della Scuola e sul relativo programma di governo dell’Unione: le riforme costituzionali già attuate e quelle ancora in forse, perché (per fortuna) sono ancora in attesa di referendum confermativo.

Nessuno ne parla esplicitamente, ma la sua presenza è davvero
ingombrante. Ignorare questa problematica decisiva , a mio avviso, fa il gioco dei poteri forti, che vogliono imporre proprie soluzioni, senza discutere in modo trasparente.
L’istruzione è una istituzione vitale dello Stato che deve
garantire, in assoluta certezza, la sua unità ed il suo pieno
funzionamento, secondo le indicazioni scritte nella nostra
Costituzione.

Mi rendo conto che tra coloro che hanno lottato in difesa della
scuola c’è un certo imbarazzo ad affrontare tali temi, perché lo
stesso appellarsi all’autonomia scolastica e alle Regioni, in questi anni di resistenza alle raffiche di leggi, norme e circolari, provenienti dallo "tsunami" Moratti, talvolta ha assunto sfumature ambigue.

Sui diritti dell’autonomia calpestati e sulla incostituzionalità di leggi burocratiche, calate dall’alto, senza interscambi con gli organi decentrati, si è imperniata la difesa del mondo della scuola. Il movimento ne faceva un problema di affermazione di democrazia, altri avevano in mente propositi diversi.

Molti già conoscono ciò che bolle nella pentola delle voraci forze economiche del mondo globalizzato (i moderni "pescecani"); è necessario riflettere e mettere in connessione questo con quanto accade intorno a noi. Solo a partire da questo chiarimento generale, il dibattito sulla "scuola che vogliamo" diventerà più realistico e incisivo.

Già negli anni `90 il ministro dell’Educazione della comunità belga francese, Laurette Onkelinckx, sotto la spinta delle lobby
economiche, esortava ad abbandonare "la pesante nave" dell’insegnamento diretto dallo stato e a sostituirla con
una "flotta di piccole navi più facili da governare". Le parole
d’ordine, lanciate da queste lobby erano "flessibilità"
e "deregolamentazione" (ahimé, diventate il nostro incubo
quotidiano). Era ciò che richiedeva la Tavola rotonda degli
industriali europei. Con soddisfazione Eurydice, la rete informativa sull’istruzione in Europa, annunciava che "Praticamente, tutti i paesi interessati hanno introdotto nuove regolamentazioni che dislocano il potere decisionale dallo stato centrale alle autorità regionali, locali, comunali e, da queste, ai singoli centri di insegnamento". [1]

La modifica costituzionale del Titolo V (che ha rotto l’atmosfera di sacralità che c’era intorno alla nostra giovane Carta Costituzionale ed ha inaugurato la stagione dell’intervento sulle norme costituzionali, come se fossero leggi comuni, aprendo il varco ai colpi mortali inferti alla nostra democrazia dalla riforma costituzionale della destra) e la stessa introduzione
dell’autonomia, così come è stata proposta, assecondano
oggettivamente le spinte del mondo economico mondiale, interessato a guadagnare nuovi spazi di profitto nel campo dell’istruzione.

Il movimento della scuola, pur subendo lo strapotere che hanno i
dirigenti scolastici nelle scuole autonome, è riuscito ad
utilizzare tutto il positivo che vi ha trovato, cioè gli spazi di
libertà nei confronti del dispotismo del centro, facendo propri
quegli strumenti usati nella storia da tutti coloro che hanno
lottato contro l’autorità arbitraria. Gli insegnanti, infatti,
apprezzano l’autonomia, se questa significa libertà di insegnamento e di progettazione, ma respingono tutto ciò che, in nome di un presunto aumento di libertà, sottrae loro spazi, tempo e strumenti per dedicarsi con efficacia al proprio lavoro. [2]

A questo punto però, non è possibile eludere oltre il cuore del
problema e non soffermarsi sul nesso tra i disegni che vengono
proposti ed attuati sull’istruzione e le modifiche costituzionali.

Si può osservare che, come la controriforma Moratti scardina il
sistema scolastico, allo stesso modo le riforme costituzionali
scardinano il sistema-Stato.

Questo scardinamento non è il risultato di una spinta dal basso da parte di masse che chiedono spazi di autogoverno, ma è un disegno calato dall’alto, che serve, al contrario, a sottrarre gli spazi di democrazia conquistati e ad eliminare le tutele che comunque lo Stato prima garantiva.

La Moratti ha destrutturato la scuola attraverso la messa in crisi della collegialità a cui è stata contrapposta la gerarchizzazione del corpo docente e la funzione del tutor, mediante il frazionamento del tempo scuola, l’isolamento dell’alunno solo con il suo percorso personalizzato, il suo tutor e i suoi genitori, per opera della polverizzazione della scuola in tante unità, costituite dalle singole scuole autonome, in concorrenza l’una con l’altra e unite solo dal rapporto burocratico con il vertice centrale.

Le modifiche costituzionali, operate dalla destra, destrutturano lo Stato e costituiscono un vero e proprio attentato alla democrazia, riducendo il nostro Paese ad una "monocrazia", come ha rilevato il prof. Gianni Ferrara ordinario di Diritto Costituzionale alla Sapienza [3]. Tale regime prevede un potere smisurato concentrato nelle mani del premier, mentre il Paese è gettato nel caos con la devolution che ne mina l’unità, creando differenze e iniquità in un Paese che non è mai riuscito ad essere omogeneo dalla sua fondazione come Stato, non avendo mai sanato al suo interno la questione meridionale.

Le stesse modifiche costituzionali volute dalla sinistra (e tuttora vigenti) hanno anche loro un elevato tasso di insidiosità e di pericolosità per chi crede nello spirito costituzionale tuttora presente nella prima parte della Carta. Vediamo, infatti lo Stato ridotto a concorrente con le Regioni, in campo legislativo, in materie delicatissime quali l’istruzione, la
sanità, ecc., cosa che oggettivamente mette in crisi il senso
dell’intera Costituzione, che sancisce l’uguaglianza tra i
cittadini, nella sua prima parte (art. 3, art. 34, ecc).

Vediamo lo Stato che, in base al principio di sussidarietà,
favorisce dappertutto l’autonomia privata, altra contraddizione
rispetto allo spirito costituzionale (art. 33, art. 41, art. 42,
art. 43, ecc.).

"Non è costituzionalmente legittimo modificare direttamente la
seconda Parte della Costituzione e surrettiziamente, ma
efficacemente e fatalmente, la prima Parte." afferma ancora il prof.

Ferrara e cita ad esempio l’introduzione che è stata fatta, nel
Titolo V modificato, del termine "livelli essenziali" (es. art. 20 comma 2), riferiti ai diritti sociali; questa comporta che si passi ad un livello di "garanzia minimale", con la conseguenza che "il sistema che ne risulta ammette la differenziazione, consentirà programmaticamente non l’eguaglianza ma la disparità di trattamento che viene riconosciuta, addirittura sancita, ... costituzionalizzata" [3].

Lo scorso governo di sinistra, in effetti, ha introdotto un
federalismo più blando e democratico di quello introdotto
dall’attuale governo di destra, ma la sua è stata una scelta
comunque totalmente arbitraria.[4] Basti pensare che, nella storia, la forma federale dello Stato si è affermata sotto la pressione di Stati che volevano federarsi. Nel caso del nostro Paese, il processo avviene all’opposto. Nasce infatti dall’iniziativa burocratica centrale.

Sarebbe stato più opportuno che il governo di sinistra, anziché
operare forzature parlamentari, si fosse adoperato per attuare
meglio la Costituzione, potenziando le Regioni e perfezionando o
istituendo meccanismi di coordinamento Stato - Regioni. Il
decentramento operato dalla modifica del Titolo V investe gangli
vitali dello Stato, come scuola e sanità, che vanno assolutamente
tutelati.

Aveva un senso parlare di federalismo ai tempi di Cattaneo. Ma, dopo la conquista regia e la sistematica spoliazione delle risorse del sud a favore del nord, in una situazione in cui permangono vaste e profonde sacche di povertà, una disoccupazione che colpisce il fiore della gioventù di questi territori e la diffusione di un’economia spesso malata e che vede operare al suo interno il braccio economico - affaristico della malavita, appare quasi grottesco che l’Unione possa proporre l’affido della scuola alle Regioni.

In un Paese pieno di iniquità e di sperequazioni tra le diverse
zone, occorre a dir poco molta cautela nell’attuare le modifiche del Titolo V, davvero molto pericolose. Sotto questa luce, constatiamo che non è possibile cancellare le leggi Moratti e voltar pagina, se non si risolvono questi problemi costituzionali, trovando soluzioni giuste.

Dibattito attuale sulla scuola

La riforma Moratti è stata criticata e combattuta da un ampio
ventaglio di soggetti. Qualcuno non ha condiviso l’autoritarismo del ministro e l’impoverimento a cui condannava la scuola con gli eccessivi tagli di tempo scuola e di risorse in genere. Ha visto le soluzioni morattiane troppo vicine a quelle prospettate dall’economista Milton Friedmann, che predica da anni la de-alfabetizzazione a livello mondiale, per lasciare studiare solo chi può permettersi la scuola privata. In più qualche altro non ha accettato la precoce canalizzazione.

Ne ha condiviso però l’impianto generale, compreso la regionalizzazione dell’istruzione e la gerarchizzazione del corpo
docente; qualcuno addirittura è arrivato ad accettare la sostituzione del diritto-dovere all’obbligo. Costoro non ritengono utile abrogare la legge Moratti: per loro basta operare delle modifiche ed attuare pienamente la regionalizzazione dell’istruzione e garantire l’autonomia.

Dall’altro lato c’è il largo fronte degli abrogazionisti che auspicano una scuola pubblica statale forte, unitaria, democratica, condivisa da tutti quelli che vi studiano e vi operano e obbligatoria fino a 18 anni, autonoma da ingerenze esterne volte al profitto, ma aperta alla società e al territorio, una scuola organica allo spirito della nostra Carta Costituzionale.

La bozza di programma di governo dell’Unione su Scuola, Università e Ricerca non prende posizione sull’abrogazione; auspica un rafforzamento della scuola pubblica con più tempo scuola, più finanziamenti e il ripristino del tempo pieno. Assegna all’istruzione un ruolo più importante, allo scopo di modernizzare il Paese. Ipotizza una scuola inclusiva, con l’obbligo a 16 anni e l’accoglimento dei giovani migranti.

Tali argomenti sono trattati tuttavia in termini molto generici. Non si parla di obbligo a 18 anni, neanche in futuro. Si propone una canalizzazione posticipata, a partire dal terzo anno delle
superiori. Nessun accenno alle compresenze nel tempo pieno e neanche al ripristino dei programmi nazionali. Secondo un’interpretazione abbastanza forzata della "sussidiarietà",
affermata nel Titolo V, viene considerata, nel documento
dell’Unione, come scuola pubblica quella costituta "dalle scuole
statali , dalle scuole pubbliche non statali e dalle scuole
paritarie", in palese contraddizione con la prima parte della
Costituzione, come già rilevato.

Nel complesso il sistema-scuola che emerge è di tipo "leggero",
sostanzialmente regionalizzato. Si sceglie quindi un modo di attuare il nuovo Titolo V, per la parte riguardante l’istruzione, in senso marcatamente decentrato. E’ una flotta di piccole navi, per usare i concetti del ministro per l’Educazione belga Laurette Onkelinckx, il sistema scolastico adottato dall’Unione nella bozza, che ha voluto evitare la "pesante nave" di un robusto sistema di istruzione statale.

Ciò delude coloro che hanno combattuto contro la destrutturazione
della scuola operato dalla Moratti (al di là del suo centralismo
burocratico) e quelli che combattono contro la devolution, operata dalla destra.

E’ scritto nel testo: "Lo Stato, attraverso la definizione delle
norme generali, dei livelli essenziali e dei principi fondamentali è chiamato a garantire il carattere unitario del sistema nazionale pubblico di istruzione e a istituire un servizio di valutazione qualificato e indipendente, in grado di verificarne l’efficacia nelle sue diverse articolazioni al fine di predisporre gli strumenti e gli interventi di tipo perequativo in grado di ridurre le disuguaglianze e gli squilibri di carattere territoriale, economico, etnico e culturale.

Spetta alle Regioni la funzione strategica di programmare e gestire, valorizzando il ruolo delle Autonomie locali, lo sviluppo e la distribuzione territoriale dell’insieme dell’offerta formativa, compresa l’istruzione e la formazione superiore post secondaria...".

Come fa lo Stato a garantire il carattere unitario del sistema
nazionale di istruzione, se definisce solo le norme generali e gli standard e istituisce il sistema di valutazione, mentre sono le Regioni, coadiuvate dalle Autonomie locali, ad occuparsi della
gestione dell’offerta formativa e di tutto il resto?

Si gioca qui davvero con il fuoco. L’istruzione di un Paese
costituisce un suo fattore importante di civiltà e non può essere
considerata come mero ingranaggio del suo sviluppo economico.

Secondo le scelte ipotizzate nella bozza di programma dell’Unione, ogni Regione gestirebbe la sua fetta di istruzione. Non potrebbe però evitare di fare ciò se non in un’ottica localistica e spinta da istanze particolaristiche, utilizzando le risorse disponibili. Ne scaturirebbero sperequazioni tra zone diverse del Paese.

Come si vede, molte soluzioni indicate e che non sono idonee ad una scuola democratica e fattrice di reale progresso per il Paese, si incrociano con le problematiche scaturenti dall’applicazione delle modifiche del Titolo V. Nonostante ciò, non è possibile proporre un ulteriore modifica di questo, perché ciò sarebbe inopportuno, in quanto bisogna essere tutti protesi a battere la mostruosa riforma costituzionale di questo governo.

L’unica via di uscita è quella di pensare ad una distribuzione
diversa delle competenze tra Stato e Regioni. Bisogna partire dagli articoli fondanti della nostra Costituzione, scritti nella sua prima parte, quali l’art. 3, l’art. 33, l’art. 34, ecc. per trovare soluzioni che, nell’attuare le nuove norme costituzionali, non contraddicano gli articoli di cui sopra.

E’ assolutamente necessario che lo Stato abbia la piena competenza dell’istruzione fino al quinto anno della scuola superiore per garantire un’istruzione uguale per tutti.
Le Regioni potrebbero offrire servizi, soprattutto ai fini
dell’orientamento, nel triennio delle superiori. Alle Regioni
potrebbe essere affidata altresì la competenza dell’Istruzione e
Formazione Tecnica Superiore (IFTS), a cui si possono rivolgere i
diplomati dopo il quinto anno di scuola superiore, in età adulta.

Solo così si volta pagina: con l’abrogazione delle leggi Moratti e con una scuola statale forte e unitaria, che sia la stessa su tutto il territorio italiano, con indicazioni programmatiche nazionali, con scuole in cui si opera e si progetta liberamente, ma sentendosi parte di un unicum, senza gerarchie tra i docenti, scuole in cui venga valorizzata la partecipazione di tutti, dagli alunni, agli insegnanti, ai genitori, aperte al territorio e alla società.

Solo così il Paese può battere il mostro costituzionale partorito da questo governo.

Gemma Gentile

Per il Foruminsegnanti.it


[1] Riforme scolastiche e globalizzazione di Nico Hirtt
http://www.scuolidea.it/didattika/r...

[2] Sulle problematiche dell’autonomia cfr. C.Mauceri "Autonomia e
democrazia scolastica"
http://www.didaweb.net/fuoriregistr...

[3] "Federalismo e premierato, ovvero, del rovesciamento della
Costituzione e della negazione del costituzionalismo" di Gianni
Ferrara
http://www.carovanaperlacostituzion...

[4] Sulle vicende dalla Bicamerale alla devolution, cfr. Viviana
Vivarelli "La riforma buia"
http://www.brianzapopolare.it/sezio...

Download PDF:
http://www.foruminsegnanti.it/docum...